Diritti
Stefano ed Emanuel, ecco le prime condanne. Ma non basta
Nella stessa giornata, due notizie di cronaca giudiziaria riportano alla ribalta episodi di violenze e abusi ad opera di agenti delle forze di pubblica sicurezza. A Roma dodici persone, fra agenti di custodia e personale sanitario, sono state rinviate a…
Nella stessa giornata, due notizie di cronaca giudiziaria riportano alla ribalta episodi di violenze e abusi ad opera di agenti delle forze di pubblica sicurezza. A Roma dodici persone, fra agenti di custodia e personale sanitario, sono state rinviate a giudizio per la morte di Stefano Cucchi, arrestato (ottobre 2009) e morto sei giorni dopo all’ospedale Pertini con evidenti segni di percosse.
Un funzionario dell’amministrazione penitenziaria, che aveva chiesto il rito abbreviato, è stato condannato a due anni di prigione per falso ideologico e abuso d’ufficio. E’ stato ritenuto responsabile di avere falsificato le carte, con la complicità di un medico, per ottenere il ricovero in un reparto – inadeguato per le condizioni di salute del detenuto – che desse garanzia di copertura dei responsabili del trattamento inflitto a Stefano.
Per la famiglia, che ha avuto il grande merito di imporre il caso all’attenzione generale, è un grande risultato, ma Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, si aspetta che il giudizio in tribunale faccia emergere una volta per tutte il legame diretto fra le percosse inflitte a Stefano e la sua morte.
Da Parma arriva la notizia di un’altra condanna, stavolta a due anni e dieci mesi, inflitta ad un agente della polizia municipale, per le percosse e le umiliazioni di tenore razzista subite da Emanuel Bonsu Foster, un ragazzo scambiato per spacciatore. Altri otto agenti sono in attesa di giudizio.
I casi di Stefano ed Emanuel fanno parte di una lunga serie di episodi analoghi: abusi e torture ad opera di uomini in divisa. Molti, ma non tutti, sono all’esame della magistratura. Quel che più manca, nell’insieme di simili vicende, è un intervento forte e chiaro all’interno degli apparati. Solo a Parma si è andati in questa direzione e oggi il Comune è parte civile nel processo ai suoi agenti, ma anche in questo caso non sono mancati tentativi di copertura ed eccessi di cautela.
Occorre affrontare la realtà – per quanto sgradevole essa sia – e agire, cioè ordinare inchieste interne, chiedere scusa alle vittime, ai familiari e ai cittadini, sospendere gli agenti e i funzionari indagati o imputati.
Non esistono altre strade, per tutelare la credibilità e quindi l’affidabilità, delle forze di sicurezza.