Diritti / Opinioni
Dopo il debito lo straniero
In Grecia la rabbia per la situazione finanziaria viene convogliata strumentalmente contro i migranti. Ma ondate xenofobe si registrano in tutta Europa _ _ _
All’inizio di agosto nel centro di Atene la polizia greca ha messo in atto una vistosa e scioccante retata di cittadini immigrati. Nell’arco di poche ore circa seimila persone sono finite nei commissariati della capitale per una verifica dei documenti, al fine di individuare i “clandestini da rimpatriare”. Una retata di massa, un arresto collettivo da regime militare. Il ministro per l’Ordine pubblico Nikos Dendias non ha nascosto l’intento politico dell’operazione: “La Grecia -ha detto- deve difendersi da un’invasione che rischia di portarci al collasso”, aggiungendo che “il problema dell’immigrazione oggi è perfino più grave di quello finanziario”. Sono parole e prese di posizione che suonano familiari. La solita politica del capro espiatorio, la consueta tentazione di “governare con la paura” additando un nemico esterno da neutralizzare con la forza pubblica. Niente di nuovo, se non fosse che il rigurgito di autoritarismo e discriminazione verso gli stranieri si colloca in un contesto di crisi sociale e politica ben più acuta che in passato. Ed è quasi un paradosso che proprio in Grecia, un Paese schiacciato in una morsa dai poteri finanziari e dal loro braccio politico insediato nei governi europei e ai vertici delle istituzioni di Bruxelles, si cerchi così smaccatamente di sviare rabbia e indignazione, concentrandoli sulla fetta meno tutelata della popolazione.
In Grecia e nel resto d’Europa stanno prosperando formazioni politiche xenofobe impegnate a rilanciare con grande forza parole d’ordine che parevano scolorite e con poca presa sull’opinione pubblica dopo la conflagrazione della crisi economica globale. L’emergenza debito sembrava aver preso il posto dell’emergenza sicurezza. Non è così. In Grecia e altri Paesi gli episodi di violenza e discriminazione sono in aumento e l’alibi della crisi viene utilizzato senza alcun pudore per giustificare continue limitazioni dei diritti di cittadinanza (nella Francia a guida socialista sono ripresi gli sgomberi di insediamenti rom). Possiamo dire che la fasulla emergenza sicurezza è oggi l’altra faccia della falsa emergenza debito ed entrambe contribuiscono a creare la vera crisi che attraversa l’Europa contemporanea: una crisi cognitiva, un deficit di conoscenze e quindi di consapevolezze.
Da un lato abbiamo governi, come quello greco, che giocano la carta della xenofobia per nascondere la propria paralisi politica, e dall’altra -altrettanto e forse più insidiosi- abbiamo governi e istituzioni sovranazionali che usano il ricatto del debito per colpevolizzare le singole nazioni (che avrebbero vissuto al di sopra dei propri mezzi) e ricattarle, in modo da coprire le vere responsabilità, che sono da attribuire a un sistema economico rapace e fallimentare, dominato dalla grande finanza.
Il risultato è un attacco sistematico ai diritti civili e sociali. C’è un progetto politico ben preciso in corso di attuazione, una sorta di ritorno al passato che usa il linguaggio del “nuovo” e si avvale dell’incapacità di discernimento sempre più evidente nell’opinione pubblica europea. Quando il premier italiano Mario Monti, che deve buona parte del suo credito al titolo di professore, mette in discussione lo Statuto dei lavoratori (anno di approvazione 1970!) usando un argomento -troppi diritti impediscono la creazione di posti di lavoro- notoriamente smentito da tutti gli studi disponibili, compie un’operazione politica e culturale analoga e parallela a quella espressa dal ministro greco Dendias dopo la retata di Atene. E non sono solo parole, perché le cosiddette riforme del lavoro, delle pensioni, della scuola, dell’impiego pubblico sono in corso da mesi e presentano tutte le stesse caratteristiche: una riduzione dei diritti e dei servizi in nome di un dimagrimento della spesa pubblica indicato come necessario per il rilancio del Paese, la ripresa dell’economia, la crescita del Pil e via imbonendo.
La crisi economica globale è quindi la cornice, ma potremmo dire il pretesto, per una ristrutturazione politica che guarda al passato -l’epoca precedente le riforme sociali e civili degli anni 60/70- e al tempo stesso punta a un modello di democrazia tendenzialmente plebiscitario e sotto lo stretto controllo dei poteri economico-finanziari. Questa ristrutturazione, per essere attuata, ha bisogno di un basso livello di consapevolezza diffusa circa la reale posta in gioco -lo smentellamento dello Stato sociale- e di una partecipazione minima dei cittadini alla vita pubblica.
I due fattori, naturalmente, si alimentano l’un l’altro ed entrambi sono favoriti da un sistema mediatico complice e da un ceto politico che nemmeno discute di possibili alternative alla dittatura dei mercati e si rifugia in formule tali da garantirsi il consenso formale dei cittadini. —