Diritti
In arrivo un bombardiere carico carico di guai
L’ultima fotografia approfondita del programma JSF non fornisce un’immagine in salute. Forse non si vedono problemi enormi che imporrebbero un immediato stop, ma la serie di noie di progettazione e realizzazione è lunga e sorprendente. Le notizie sul programma parlano di problemi tecnici e di conseguenti aumenti di costi: un recente rapporto elaborato da alti ufficiali Dipartimento della Difesa USA rivela direttamente ed impietosamente la mole di guai del programma.
Tra le questioni maggiormente problematiche c’è il nuovo casco avveniristico che non funziona come dovrebbe e nessuno sa come risolvere problemi che sono stati identificati circa un anno fa. Da qui i grattacapi si propagano ad altri aspetti delle prestazioni tecniche ed operative dell’aereo: l’aggancio della coda della versione C non funziona correttamente e non si possono eseguire atterraggi su navi mentre le capacità di combattimento aereo scontano la probabilità di gravi impatti operativi pericolosi per la sopravvivenza e le prestazioni del veicolo in aria.
E’ un recente rapporto ("F-35 Joint Strike Fighter Concurrency Quick Look Review") elaborato da alti ufficiali Dipartimento della Difesa USA a rivelare direttamente ed impietosamente la mole di guai del programma.
Tra i più preoccupanti, quello del meccanismo di aggancio di coda che ha fallito tutti gli otto test di atterraggio e a questo punto richiederebbe significativi cambi di progettazione. Che potrebbero portare addirittura a ripensare la struttura del velivolo stesso.
"Se questo cambiamento non dovesse andare a buon fine vi è il rischio di dover mettere pesantemente mano alla forma stessa della cellula dell’aereo, con impatti significativi" pure sulla sua impronta radar, afferma senza mezzi termini il report in uno dei suoi passaggi più critici.
In uno dei mesi recenti, forse ottobre secondo indiscrezioni, ci sono state 725 diverse "richieste di modifica" in attesa di essere evase. Queste cifre sono indicative del grande volume di cambiamento ancora in corso su questo programma e il povero stato di avanzamento generale.
Il report fa provenire la maggioranza dei problemi, in particolare con il conteggio del conseguente impatto sui costi, dalla scelta di implementare le modifiche all’aereo (sia ai prototipi che ai velivoli di prima produzione) mentre la sua progettazione è ancora sotto test e viene continuamente cambiata. Il cosiddetto "concurrency risk", che è stato mantenuto come scelta di fondo nonostante problemi nello sviluppo dell’F-35 che "nell’ultimo decennio hanno coinvolto peso, producibilità e ascesa verticale" tra le altre cose.
Questo rischio e i vari grappoli di guai di natura progettuale e produttiva sono analizzati in profondità (con dati, modelli di analisi e grafici esplicativi) nel rapporto voluto dai vertici della Difesa USA.
Con questa prospettiva sono ovviamente molto più spiegabili le paure recentemente mostrate dagli stessi militari, in particolare dell’Aviazione.
La US Air Force è infatti giunta alla conclusione che è un po’ troppo presto per permettere a qualcuno, al di fuori dei piloti di prova, di volare con l’F-35. Secondo rivelazioni del sito InsideDefense.com lo stesso Segretario (cioè capo) del Dipartimento dell’Air Force Michael Donley ha concordato con Michael Gilmore, direttore dei test operativi, che l’F-35 non è pronto per iniziare l’addestramento dei piloti alla base di Eglin in Florida
"L’Air Force concorda con il Dr. Gilmore sui rischi ancora associati all’addestramento con il Joint Strike Fighter", secondo una sintesi di un memo inviato da Donley a Frank Kendall, capo ad interim dell’ufficio acquisizione armi del Dipartimento della Difesa. "Abbiamo sottolineato come un ordine MFR (military flight release), che consentirebbe di iniziare operazioni di volo non verrà inviato a breve e di conseguenza altri addestramenti non avranno inizio fino a che questi rischi non siano stati ridotti con processi stabiliti".
Chi non è d’accordo è ovviamente il gigante dell’industria militare Lockheed Martin, capocommessa dell’intero progetto; secondo loro sono in corso di definizione ulteriori contratti di acquisto. Procede dunque una pressione verso la seconda fase di produzione perché, a detta dell’azienda, le linee di produzione sono pronte e i costi operativi si stanno stabilizzando (nessuna parola invece su quanto si è speso fuori dal budget finora).
Oltre che in ambito militare, tutte queste recenti rivelazioni sono così numerose da mettere in discussione la sospensione (o anche la chiusura) del programma persino nella testa di alcuni importanti esponenti della politica statunitense e di alcuni boss del Pentagono.
"I problemi sorti negli ultimi 12 mesi ci hanno sorpreso per la quantità di cambiamenti a cui ci costringeranno e per il costo" ha dichiarato il vice ammiraglio David Venlet oggi a capo del Board del Programma JSF (che ha già raggiungo i 400 miliardi di Dollari di costo complessivo).
"Si tratta per la maggior parte di piccole cose, ma quando mettono tutte insieme guardando in che parti dell’aereo si trovano (e come sia difficile intervenire per sistemarli dopo l’acquisto) ci accorgiamo di trovarci di fronte ad un onere di acquisto che ci fa mancare l’aria. Fondamentalmente, tutta l’impostazione del progetto è stata un errore di calcolo" ha concluso Venlet.
La preoccupazione ha contagiato anche la politica, e persino un "falco" come il repubblicano John McCain ha sentenziato al Senato: "Quando il capo del programma militare più costoso e di alto profilo nella storia degli Stati Uniti dice efficacemente, ‘Un attimo! Abbiamo bisogno di rallentare molto i tempi di ciò che stiamo comprando!’… noi tutti dovremmo prestare molta attenzione".
Da tempo le organizzazioni del mondo del disarmo (e noi da questo blog) denunciano come il supertecnologico cacciabombardiere USA in realtà si trovi in mezzo a problemi di ogni tipo e che il Pentagono ha preteso ed ottenuto che per la prima volta Lockheed Martin pagherà delle penali per i ritardi e le crescite di costo; una impostazione del Dipartimento della Difesa che non sembra diminuire di forza (come non diminuiscono i problemi).
Tanto è vero che ad Ottobre Robert J. Stevens, amministratore delegato della Lockheed, ha dovuto ammettere che il Pentagono stava trattenendo una parte dei pagamenti relativi all’F-35, pur insistendo che l’azienda stava compartecipando al costo derivante dai problemi di fissaggio che si sono evidenziati nei test di volo. Stevens ha detto che il Governo si era tradizionalmente accollato tali costi, ma che Lockheed era disposta a farsene carico in cambio di riservatezza sulla situazione.
Funzionari del Pentagono hanno affermato che non finiranno di negoziare un contratto per il prossimo gruppo di aerei o non pagheranno Lockheed Martin per parti già acquistate a meno che l’azienda non si impegni a condividere qualsiasi costo di modifica.
Già ora la compagnia e i suoi fornitori hanno un credito per circa 750 milioni di dollari che, con questa posizione ferma, potrebbe salire a 1,2 miliardi entro fine anno.
Eppure il nostro paese, che è uno dei partner del progetto, non sembra ridiscutere l’intenzione di acquistare oltre 130 caccia F-35, anche se le notizie di tagli alla spesa pubblica hanno finalmente fatto nascere qualche dubbio sulla effettiva validità di questa operazione. Molti sono però i paesi che hanno da tempo iniziato questa riflessione.
Il Canada ha chiesto al proprio Parliamentary Budget Officer (un ufficio che fornisce analisi economiche indipendenti al Parlamento) di condurre uno studio sulla partecipazione al JSF dai risvolti interessanti, sia per quanto trovato sul costo complessivo, che sull’utilizzo degli aerei e l’impatto per tutti gli anni di utilizzo.
Partendo dal presupposto, analizzato criticamente, che il Canada ha scelto per le proprie necessità di aeronautica militare direttamente questo programma JSF senza mettere in pista alcuna idea di scelta concorrenziale, il PBO ha stimato un costo totale per il paese, somma di contratto di acquisizione e mantenimento operativo, di 29,3 miliardi di dollari USA. Diviso per i 65 velivoli da comprare, questo si traduce in un costo di circa 450 milioni di dollari (costanti 2009) per tutta la vita di ogni aereo. Questa cifra va confrontata con il costo medio di acquisto per aeromobile: sebbene Lockheed Martin continui a credere ad una sua diminuzione anche gli analisti canadesi considerano impossibile credere, con tutte le recenti prove a disposizione, che essi si riduca a stime previsionali dell’azienda di oltre 10 anni fa.
Non solo tali valori di costo unitario di produzione non si avvicinano per nulla alle stime di costo totale del PBO, ma sono addirittura notevolmente inferiori a previsioni effettuate da organismi del Dipartimento della Difesa USA che vanno da 91 a 128 milioni di dollari.
Un confronto che dimostra inoltre precedenti nostre sottolineature rispetto al fatto che, in un programma aeronautico del genere, il conto più salato arriva dopo la fattura di acquisto (secondo i dati PBO ancora di più del raddoppio di costi da sempre considerato).
Il problema finanziaro è comunque quello principale per tutti, in questo frangente di crisi economica generalizzata. Addirittura nella civile ed istituzionale Norvegia (dove alcuni esponenti politici hanno persino espresso preoccupazione che un acquisto del caccia da Lockheed Martin potrebbe configurare una violazione della Convenzione internazionale sulle munizioni a grappolo) alcuni ufficiali del Ministero della Difesa sono stati più "stealth" del caccia stesso nascondendo al Parlamento i costi totali, più alti del previsto, nelle fasci di scelta in confronto con il caccia svedese Gripen.
Anche nell’emisfero meridionale, l’Australia andrà a decidere nel 2012 se continuare l’acquisto di 100 F-35 (controvalore, 16,8 miliardi dollari) o cercare un’alternativa realistica proprio per i ritardi nelle consegne per i continui superamenti dei costi.
Detto tutto questo, in Italia… cosa stiamo aspettando?