Diritti / Opinioni
Così è cambiata la democrazia
L’idea di “Stato di diritto” è cambiata con l’11 settembre. Oggi chi trasgredisce è sempre un nemico pubblico, da punire in modo esemplare. Anche se manifesta contro un’economia ingiusta
I giuristi distinguono il “reus” dall’“hostis”. Il primo è il mero trasgressore della legge, il secondo un “nemico pubblico”, e merita sanzioni esemplari e misure di controllo e prevenzione straordinarie.
Federica Resta, autrice di un libro intitolato 11 settembre: attentato alla libertà? I diritti umani dopo le Torri Gemelle (Edizioni dell’Asino), nota che nelle democrazie occidentali è in corso “una tendenza all’inasprimento generalizzato delle pene e all’estensione dei poteri di polizia, a scapito di quelli degli organismi giurisdizionali e del principio di legalità”. Stiamo passando dal diritto del “reus” a quello dell’“hostis”.
La tendenza è in corso da un decennio e si manifesta in più direzioni: dalla cosiddetta lotta al terrorismo al controllo delle migrazioni, e ora alla contestazione politica. Possiamo dire che le limitazioni dei diritti e delle libertà, decise sull’onda dello choc causato dagli attentati del 2001, sono state progressivamente estese, fino a cambiare il volto formale e sostanziale delle nostre democrazie.
Una riprova è nei provvedimenti annunciati e preparati dopo i disordini del 15 ottobre scorso a Roma. Pochi giorni dopo, nel suo intervento in parlamento, l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni è ricorso alla retorica dell’antiterrosimo, al “diritto del nemico pubblico”, confortato dal rumore di fondo creato dall’allarmismo dei media per le “violenze dei manifestanti” a Roma e dalle grida sguaiate di altri protagonisti della vita pubblica (Antonio Di Pietro ha evocato il ritorno alle misure repressive e di polizia introdotte durante la cosiddetta emergenza terrorismo degli anni 70 e 80).
Maroni ha messo in campo un pacchetto che include una sorta di “legge anti Black Bloc”, calibrata sul “nemico pubblico” che agisce durante le manifestazioni, nonché l’estensione di misure repressive eccezionali introdotte per contrastare la violenza negli stadi, come il “Daspo” (divieto di partecipare alle manifestazioni) e la flagranza differita, che consente alla polizia di eseguire arresti entro 36 ore dai fatti senza l’autorizzazione della magistratura. Altra importante novità del “pacchetto” è la facoltà di eseguire fermi e arresti preventivi, cioè una tipica misura da Stato autoritario, che riporta la memoria al Ventennio fascista ma anche, appunto, alla legislazione antiterrorismo post 11 settembre, che fra le altre cose ha esteso il potere e il ruolo dei servizi segreti, fino a contemplare, come fa notare Federica Resta, la possibilità di svolgere “attività sotto copertura” su disposizione non del magistrato ma dei vertici di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza.
Date queste premesse, resta davvero poco spazio per la libera espressione del dissenso. Non è detto che l’intero pacchetto diventi subito realtà, viste le incertezze politiche del momento, ma è certo che la via tracciata dal ministro leghista gode di ampi consensi nel mondo politico istituzionale. Una riprova è nelle deboli, se non nulle, reazioni al “piano” messo in atto per le proteste in Val di Susa. Lo stesso Maroni, alla vigilia di una manifestazione del movimento No Tav, è arrivato a citare per nome e cognome uno degli attivisti, Alberto Perino, in un intervento parlamentare teso a dimostrare la pericolosità delle proteste. Non sfugge a nessuno la gravità dell’atto. È poi arrivata una norma ad hoc per definire il pre-cantiere di Chiomonte (vedi Ae 131) “area di rilevanza strategica nazionale”, con tutte le conseguenze del caso, a cominciare dal reato penale (fino a un anno di condanna) configurato per chiunque semplicemente entri nel perimetro del sito oppure ostacoli l’accesso di altri.
Questa misura da Stato di polizia è stata inserita nel cosiddetto “decreto sviluppo”, cioè un provvedimento destinato a favorire il rilancio delle attività produttive. La militarizzazione dell’economia prende forma. In parallelo, complice il tracollo finanziario in corso, stiamo entrando in una cupa stagione di strapotere della tecnocrazia. Il quadro d’insieme non va sottovalutato. Il Financial Times, con grande crudezza (e una sincera antipatia per l’Unione europea), ha scritto che “in nome della loro unione monetaria, i responsabili politici europei preferiscono la sospensione dei diritti politici, come in Grecia e Italia, e la loro sostituzione con competenze manageriali fuori dai partiti. Le politiche dei governi saranno sorvegliate, per non dire create direttamente, da Bruxelles e Francoforte, la sede della Bce”. Quel che il giornale londinese per ora non dice, è che l’era dei tecnocrati sarà accompagnata da più che prevedibili contestazioni, per le quali è pronto un “pacchetto anti nemico pubblico” che aspetta solo d’essere messo in pratica. —