Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Attualità

L’industria militare può uscire dai campus. Il caso dell’Università di Portland e Boeing

By Visitor7 - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30499032

A fine aprile la rettrice dell’ateneo statunitense ha annunciato la sospensione dei finanziamenti da parte dell’azienda e l’apertura di un dibattito con gli studenti che hanno manifestato per settimane per il coinvolgimento della multinazionale nella guerra di Gaza. Secondo la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) si tratta di un precedente importante

L’Università di Portland, in Oregon, ha deciso di non accettare più le donazioni da parte di Boeing dopo le proteste studentesche per la terribile guerra in corso contro Gaza. “Nei campus universitari di tutti gli Stati Uniti e in alcune università internazionali, anche in Francia, Regno Unito e Germania (e in Italia, ndr), si sta assistendo a un aumento dell’attivismo studentesco per protestare contro i legami dei loro atenei con la guerra a Gaza, compresi investimenti e altri legami con l’industria delle armi. Queste proteste chiedono che le risorse universitarie vengano slegate dai produttori di armi e che queste aziende escano dai campus”, annota la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2017.

Tra le realtà contestate rientra anche appunto Boeing, multinazionale statunitense specializzata nella produzione di aeromobili e coinvolta pesantemente nella vendita di armamenti. Secondo l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), nel 2022 Boeing era la quarta azienda al mondo per i ricavi relativi alla vendita di sistemi d’arma (e la prima azienda bellica al mondo per ricavi complessivi), per poco più di 29 miliardi di dollari. Secondo Ican, inoltre, l’azienda deve il 60% del proprio fatturato a contratti di difesa ed è attiva nello sviluppo di armi nucleari per conto delle forze armate degli Stati Uniti. Boeing, infatti, secondo il reportDon’t bank the bomb” sui finanziamenti alle aziende produttrici di armi nucleari realizzato da Ican in collaborazione con la Ong olandese Pax, ha un accordo con Washington fino al 2039 per la produzione di missili intercontinentali Minuteman III, per un valore di 3,6 miliardi di dollari.

Il legame tra Boeing e l’Università di Portland (Psu) risale nel tempo: nonostante la sede legale dell’azienda si trovi in Virginia, il suo principale centro di produzione è situato a Everett, 200 chilometri a Nord di Portland. Secondo quanto riportato dal Portland State’s student-run newspaper, il giornale dell’Università, in una conferenza stampa tenutasi a marzo, la rettrice della Psu, Ann Cudd, ha dichiarato che nel 2024 l’azienda avrebbe donato 150mila dollari all’Università per l’intitolazione di un’aula, oltre ai 28mila che vengono donati regolarmente alla scuola per borse di studio e fondi di emergenza. In quell’occasione la rettrice Cudd ha dichiarato di non “vedere alcun motivo logico per ripensare il rapporto con la Boeing”.

Le proteste studentesche durano da quasi dieci anni. Già dal 2016, come ricostruisce Ican, gli studenti e la comunità di Portland avevano esercitato pressione sull’Università affinché rompesse le relazioni con Boeing. A marzo di quest’anno le manifestazioni hanno toccato il picco, tanto da spingere Boeing a tenere online il Seattle aerospace and defence supplier summit, l’annuale incontro delle aziende del settore della difesa e dell’aerospazio, e più di 80 persone che protestavano contro l’azienda produttrice di armi alla Washington University sono state arrestate.

A seguito delle manifestazioni, il 29 aprile, Cudd ha dovuto pubblicare una nota dove si annunciava che l’ateneo avrebbe sospeso momentaneamente l’accoglimento di donazioni e finanziamenti da parte di Boeing. “La Psu sospenderà la ricerca o l’accettazione di ulteriori doni o sovvenzioni da Boeing fino a quando non avremo avuto la possibilità di impegnarci in questo dibattito e di giungere a conclusioni su una ragionevole linea d’azione”, ha scritto la rettrice, aggiungendo che l’Università “non ha investimenti in Boeing ma accetta donazioni filantropiche dall’azienda e, dato che si tratta un importante datore di lavoro nella regione, molti dei nostri ex alunni lavorano lì”.

Anche se le recenti proteste studentesche sono legate al ruolo del colosso dell’aerospazio e dell’industria bellica statunitense in generale nel fornire armi a Israele e nel favorire l’offensiva contro la Striscia di Gaza a partire dal 7 ottobre, per la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari il legame tra produttori di armi e università è un problema più radicato e complesso.

“La Boeing è solo una parte dell’industria della difesa, compresi i produttori di armi nucleari, che si è rivolta sempre più spesso alle università per ottenere partnership e collaborazioni. Questi partenariati creano un percorso che permette a queste aziende di assumere studenti e di ‘capitalizzare’ la ricerca, anche per quanto riguarda lo sviluppo di armi di distruzione di massa -conclude infatti Ican-. Nel corso della storia, gli studenti sono stati spesso in prima linea nel richiedere cambiamenti sociali significativi. Le recenti e massicce proteste studentesche dimostrano la possibilità per le università di uscire dai rapporti istituzionali con l’industria delle armi che minano i valori delle università e degli stessi studenti”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati