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Diritti / Opinioni

La crociata anti-gender nei Balcani che sta sotto il velo dei “valori della famiglia”

© Alex Jackman - Unsplash

Lo stato dei diritti umani e delle minoranze nella regione balcanica ha preso una nuova piega oscura. Imparando dagli avversari “progressisti” e dagli alleati della destra cristiana transnazionale, gli attori anti-gender hanno imbellettato il loro discorso più estremo in una politica rinnovata di “valori familiari” o di “diritti dei genitori”. I casi di Bulgaria, Croazia e Serbia analizzati dal ricercatore Ivan Tranfić

Se i Balcani non sono mai stati un faro di liberalismo progressista (a dir poco), lo stato dei diritti umani e delle minoranze da quelle parti ha recentemente preso una nuova piega oscura. L’esempio migliore è la sentenza dello scorso anno della Corte suprema della Bulgaria che ha vietato di fatto la transizione di genere, concludendo che “la costituzione e la legislazione bulgara sono costruite sulla comprensione dell’esistenza binaria della specie umana”. Questa sentenza è solo un esempio; un culmine e una vittoria istituzionalizzata dopo anni di forti mobilitazioni anti-gender in Bulgaria, nella più ampia regione dell’Europa Sud-orientale e oltre.

La storia del nazionalismo religioso in questa regione è particolarmente lunga e segnata da radicali e violente implicazioni dell’identità etnica, culturale e religiosa. Tuttavia, c’è qualcosa di qualitativamente nuovo nei movimenti anti-gender. Imparando sia dai loro avversari progressisti sia dai loro alleati della destra cristiana transnazionale, gli attori anti-gender hanno imbellettato il loro discorso più estremo in una politica rinnovata di “valori familiari”, “diritti dei genitori” e democrazia popolare. Sotto la facciata di un’azione partecipativa nonviolenta e borghese di “cittadini preoccupati” impegnati in volantinaggi e petizioni si nasconde però un’agenda fondamentalista estremista.

La promotrice della Marcia per la vita croata, Željka Markić, ad esempio, è stata una delle coordinatrici di “Agenda Europe”. Questa rete funge da riunione transnazionale occulta di estremisti che, secondo le loro stesse parole, mirano a vietare non solo l’aborto e la “sodomia”, ma anche la contraccezione e il diritto al divorzio. Possiamo fare uno zoom su tre esempi di azioni della destra radicale cristiana contro l’aumento dell’uguaglianza di genere e sessuale: Bulgaria, Croazia e Serbia. 

In Bulgaria le proteste del 2017 contro la Convenzione di Istanbul, che mira a combattere la violenza contro le donne, hanno portato il “panico” intorno alla questione dell’“ideologia di genere” nel dibattito pubblico più ampio. Le questioni relative al genere e alla sessualità sono servite come punto galvanizzante per gruppi conservatori eterogenei, persino storicamente in conflitto tra loro. Particolarmente tossica è stata una nuova alleanza tra piccole comunità evangeliche ultraconservatrici legate ad attori della destra cristiana statunitense e partiti ortodossi di estrema destra riuniti nella coalizione United patriots.

In Croazia un vuoto all’estremità dell’estrema destra dello spettro politico dei partiti ha aperto lo spazio a un’organizzazione di base ultraconservatrice. I militanti anti-gender hanno creato un forte movimento radicato in fitte reti familiari e cattoliche di resistenza contro il “relativismo morale” e la “decadenza neoliberale”, che si suppone siano stati causati dall’“ideologia gender”.

Infine, in Serbia, una Ong estremista, “Dveri” (cioè la porta), ha articolato conservatorismo popolare esistente e ansia per l’influenza occidentale, politicizzando le due questioni attraverso delle “Marce della famiglia” anti-pride. Il caso serbo esemplifica al meglio come gli attori possano strategicamente politicizzare l’omofobia per ampliare il loro sostegno, aumentare la loro visibilità pubblica attraverso il teatro di strada e incanalare questa nuova energia nell’organizzazione partitica e nelle elezioni. 

I tre casi mostrano anche come e in che misura le chiese cristiane di diverse confessioni possono sostenere la mobilitazione dei movimenti di destra radicale. Mentre gli attori cattolici e protestanti hanno legami più profondi nella società civile, insieme a dottrine chiaramente formulate su questioni di moralità, gli attori ortodossi sono più isolati dalla società civile e dalla politica, tradizionalmente orientati a mantenere relazioni di status quo con le istituzioni statali.

Infine, i casi regionali di azione collettiva anti-gender ci mettono in guardia sui risultati ambivalenti dei processi di europeizzazione dall’alto. Questi ultimi spesso impongono politiche per i diritti delle minoranze che non sono seguite da una mobilitazione ricca e socialmente radicata di attori progressisti, o che provengono da essa. Invece, le élite politiche, compresa la destra mainstream, inducono artificialmente una legislazione liberale in un simulacro di cambiamento progressivo eseguito per gli occhi dell’Occidente. Il contraccolpo anti-gender sorge quindi come resistenza a questi processi nella seguente narrazione: poiché i partiti della destra mainstream non difendono i valori tradizionali cristiano-democratici in materia di moralità e sessualità, è necessario un nuovo baluardo politico contro l’assalto dei radicali “di sinistra”, della secolarizzazione e dell’“ideologia gender”. Non sorprende che gli sfidanti populisti della destra radicale siano sempre più che pronti ad affrontare questa battaglia.

Ivan Tranfić è assegnista di ricerca presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di Scienze politico-sociali, dove ha conseguito il dottorato con la tesi “For Family, God, and Country: The Emergence of Anti-gender Movements in Southeast Europe”. Si è laureato in Scienze politiche all’Università di Zagabria e ha conseguito un master in studi sul nazionalismo presso la Central european university. È membro del network di ricerca Center for social movement studies (Cosmos) della Scuola Normale Superiore. I suoi interessi di ricerca sono i movimenti sociali, la politica della destra radicale, il genere e la politica e il rapporto tra partiti e società civile.

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