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Diritti / Intervista

Israele-Palestina, il passo della Corte penale internazionale visto dalla Relatrice Albanese

© Corte penale internazionale

Le richieste formulate dal procuratore capo Khan di arrestare gli alti vertici del governo israeliano e i capi di Hamas rappresentano “uno sviluppo importantissimo” per fare giustizia delle atrocità, osserva la Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. “Nel mondo, c’è una rivoluzione culturale e il treno ormai non si ferma”

L’hanno definita una mossa storica: il procuratore capo della Corte penale internazionale (Icc), Karim Khan, il 20 maggio, ha chiesto che vengano emessi mandati di arresto per il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e quello dell’ala militare, le Brigate Qassam, Mohammed Deif, per crimini di guerra e contro l’umanità, compiuti nell’attacco del 7 ottobre e nella guerra a Gaza.

“È uno sviluppo importantissimo”, commenta Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. “In corso, nel mondo, c’è una rivoluzione culturale e il treno ormai non si ferma”. Nello specifico, il procuratore Khan ha accusato i leader di Hamas di sterminio, omicidi, rapimenti, stupri, violenze sessuali, tortura e atti disumani sugli ostaggi. Mentre Netanyahu e Gallant sarebbero responsabili, almeno dall’8 ottobre 2023, di affamare i civili di Gaza come strategia di guerra, di causarne intenzionalmente grandi sofferenze e lesioni al fisico o alla salute, di omicidi e attacchi intenzionali contro la popolazione civile, di sterminio e persecuzione. Abbiamo chiesto ad Albanese un commento.

Relatrice Albanese che cosa pensa della richiesta avanzata dal procuratore Khan?
FA È uno sviluppo importantissimo dal punto di vista legale, della giurisprudenza internazionale e della possibilità di fare giustizia per le vittime delle atrocità, che sono state commesse in Israele, a Gaza e speriamo anche nel resto del territorio palestinese occupato negli ultimi anni. 

Ma la richiesta di mandati d’arresto non è legata solo a quanto avvenuto il 7 ottobre in Israele e poi a Gaza?
FA Il procuratore è stato molto chiaro: questi sono i primi capi d’accusa e imputazione che ho individuato -ha detto- ma l’inchiesta è aperta e attiva, e mi riservo di comunicare altri crimini e individuare altre persone per fatti accaduti anche prima del 7 ottobre. E questo è molto importante: ha fatto proprio un riferimento alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, dove c’è stata un’impennata della violenza dal 7 ottobre in poi. Khan ha ribadito che la Corte esercita la sua giurisdizione penale in tutto lo spazio che comprende Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est e che il suo mandato d’investigazione è in corso e non si limita a Gaza.

D’altronde è dal 2015 che la Corte si doveva pronunciare su quanto avvenuto a Gaza, tanto che lo stesso procuratore è stato accusato finora di un certo immobilismo.
FA L’investigazione è cominciata nel marzo del 2021 ed è stata aperta dalla precedente procuratrice, Fatou Bensouda, anche se la giurisdizione è stata riconosciuta a partire dal 2014, dopo che nel 2012 la Palestina è stata ammessa alle Nazioni Unite come Stato osservatore. Sì, c’è stato un certo immobilismo del procuratore fino ad oggi e c’erano già una serie di crimini sui quali non ha dato cenno di voler investigare, mandando i suoi investigatori o visitando lui stesso la regione, prima del 7 ottobre. C’erano le colonie che continuavano a essere rafforzate ed espanse, gli arresti arbitrari, incluso di minori, in numeri massicci, le uccisioni extragiudiziali: insomma c’erano una serie di cose che avrebbe potuto fare e, invece, ha peccato di inerzia. E la Corte non è esente da considerazioni politiche, basti guardare che cosa si è scatenato nei suoi confronti nelle ultime 24 ore: una serie di Stati -tra cui chiaramente Israele e gli Stati Uniti- ma anche qualche Stato europeo, membro cioè della Icc, ha contestato le richieste di arresto, “perché Israele è una democrazia”. Ma che cosa c’entra che è una democrazia se è incapace e non intenzionata a investigare e perseguire i crimini rilevati dallo Statuto di Roma nel suo territorio?

C’è qualche legame tra quanto lei ha sostenuto nel suo ultimo rapporto, intitolato “Anatomia di un genocidio” e quanto affermato dal procuratore? È stata interpellata?
FA No. La Corte è indipendente, non ne fa mistero ed è giusto così. Il mio rapporto ha influenzato il dibattito, lo sta influenzando enormemente e non è stato contestato nella sostanza. Sicuramente la Corte conosce ciò che ho scritto. Il procuratore, in un’intervista, ha detto che il genocidio è un crimine che rileva e non ha escluso di investigarlo. 

Quali saranno i primissimi passi della Corte?
FA Ora i giudici della Camera preliminare dovranno verificare se ci sono prove sufficienti e se ci sia una base ragionevole per procedere all’emissione degli ordini di arresto. Nel caso dovessero accogliere le richieste del procuratore, scatterebbe l’obbligo per tutti gli Stati membri dell’Icc, tra cui l’Italia, di arrestare le persone oggetto dei mandati. Una volta arrestati, come avvenne per Slobodan Milošević, verranno portati all’Aia e avranno iniziato le udienze.

Quindi, se si verificassero tutti questi passaggi e Netanyahu venisse in Italia, potrebbe essere arrestato? O dovrebbe essere arrestato?
FA
Il mandato d’arresto ha esecuzione immediata e non si prescrive per i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. In tal caso l’arresto deve scattare.

Sia Hamas sia Israele, oltre agli Stati Uniti, hanno criticato le richieste del procuratore Khan, contestando, da entrambe le parti, il fatto di essere stati equiparati gli uni agli altri. C’è un’equiparazione, secondo lei?
FA No, sono argomenti senza alcuna connessione con la realtà, così come dire che Israele è una democrazia e che quindi non può essere accusata. Che cosa diciamo allora del sistema giudiziario di una democrazia, che tiene sotto occupazione militare cinque milioni di persone, soggette a un sistema giudiziario totalmente diverso? Non c’è giustizia per i palestinesi ed è per questo che la Corte ha già dichiarato la sua giurisdizione per i territori palestinesi nel 2015.

I soggetti, palestinesi e israeliani, per cui sono stati richiesti mandati di arresto, possono essere definiti “criminali di guerra”?
FA No, prima la Corte deve stabilirlo. Anche se, secondo me, sono già dei criminali.

Tutti?
FA Assolutamente sì. Secondo me, i membri del gabinetto di guerra israeliano, che hanno ordito e ordinato l’operazione militare a Gaza, sono colpevoli di genocidio e dovrebbero essere investigati per tale crimine.

E per quanto riguarda i leader di Hamas?
FA Sicuramente quelli delle Brigate Qassam (l’ala militare di Hamas) vanno assolutamente investigati e giudicati per i crimini commessi il 7 ottobre in Israele. Ho qualche perplessità su Ismail Haniyeh, perché lui ha sempre detto che non c’entrava niente e non sapeva niente. Ma non ho elementi sufficienti per commentare questa cosa, evidentemente la Corte ha a disposizione materiale che io non ho e di cui non sono a conoscenza.

Ma è favorevole alla richiesta di mandati di arresto per entrambe le parti?
FA Assolutamente sì, è quello che ho chiesto fin dall’inizio: mandati di arresto per coloro che hanno ordito e commesso i crimini, anche senza aver voluto, cioè coloro che hanno la responsabilità, perché sono nella catena di comando, per ciò che è successo il 7 ottobre. Poi, se le cose sono sfuggite di mano, questo è un altro problema, ma loro hanno la responsabilità effettiva di quello che è successo e vanno giudicati. Poi sarà la Corte a stabilire se sono dei criminali oppure no.

Qual è la differenza rispetto al Tribunale penale internazionale che venne istituito per l’ex Jugoslavia?
FA Semplicemente quello è stato un po’ un precursore, nel senso che era un tribunale con un mandato specifico, quello di investigare i crimini che erano stati commessi nel contesto del conflitto, all’indomani dello scioglimento dell’ex Jugoslavia. Quindi era un tribunale speciale, come quello sul genocidio in Ruanda. Questa, invece, è una Corte universale, nata anche sulle fondamenta gettate con quelle esperienze, ma che si applica a tutti i Paesi che ne sono membri e anche ai cittadini di Paesi non membri, che abbiano commesso violazioni nel territorio di uno degli Stati membri. In questo caso, gli israeliani (che non riconoscono la Corte, come russi e statunitensi), ma anche, per esempio, americani, francesi e belgi, che fanno parte dell’esercito israeliano e che hanno commesso crimini o altri, di diverse nazionalità, che possono essersi uniti ad Hamas e aver commesso crimini.

L’ultima mossa del procuratore è stata preceduta di poco da minacce, nemmeno troppo velate, di dodici senatori repubblicani statunitensi, che in una lettera gli hanno sconsigliato di prendere posizione contro Netanyahu e Israele, pena ritorsioni. Anche lei ha ricevuto delle minacce, è vero?
FA
Dico solo che se ne stanno occupando gli organismi competenti.

Sono riconducibili a soggetti italiani?
FA
Non lo so.

Ha paura?
FA No.

Se l’aspettava?
FA No, assolutamente. O almeno non mi aspettavo di dover essere preoccupata per la mia sicurezza e per la sicurezza della mia famiglia. Adesso mi rendo conto che è un sistema molto più violento di quanto immaginassi e non solo per queste minacce, ma per quello che vedo succedere a qualsiasi manifestazione di solidarietà con il popolo palestinese. 

La questione palestinese è tornata nelle piazze, i giovani e gli studenti di mezzo mondo chiedono che venga non solo cessata l’offensiva contro Gaza ma che i diritti dei palestinesi siano riconosciuti una volta per tutte. I governi però sembrano andare in senso contrario. Lei è ottimista?
FA I giovani chiedono che i palestinesi siano liberi, è una cosa meravigliosa: c’è una rivoluzione culturale in corso, che riconosce il colonialismo come non si è mai riconosciuto universalmente prima, che riconosce l’interconnessione tra le lotte, quella per la giustizia ambientale, climatica e le lotte dei popoli del Sud del mondo, che non sono così diverse da quelle nelle nostre società post-democratiche. Io dico che è la lotta contro l’erosione dei diritti che si ritenevano acquisiti. La politica la fa la gente e questo è un momento di grande rinnovamento politico. Ci vorrà ancora un decennio, forse, perché le cose si assestino, ma ormai il treno non si ferma.

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