Vite doc contadine – Ae 81
“Valli Unite”, sulle colline del tortonese, dà appuntamento per i suoi trent’anni ma soprattutto per parlare di acqua, aria e futuro. E dimostra che si può essere giovani e puntare sulla terra e la qualità delle relazioni Loro sono contadini….
“Valli Unite”, sulle colline del tortonese, dà appuntamento per i suoi trent’anni ma soprattutto per parlare di acqua, aria e futuro. E dimostra che si può essere giovani e puntare sulla terra e la qualità delle relazioni
Loro sono contadini. Mica per finta. Hanno la pazienza della terra, quella che cresce stagione dopo stagione, e ti guardano sapendo che loro saranno ancora qui tra qualche anno, e tu chissà. È un sapore rassicurante, un misto di durata e di continuità, quello che ti accoglie a “Valli Unite”, cooperativa storica che fornisce i consumatori biologici e quelli inquieti di un pezzo di Nord Italia, i gruppi d’acquisto solidali e i turisti di passaggio che su queste colline tortonesi, a cavallo tra Piemonte e Liguria, ormai non sono pochi.
Sono passati trent’anni dagli esordi di questa esperienza, e ora ci si ritrova qui, nel grande ristorante adibito per l’occasione a sala riunioni, a riflettere insieme sull’esperienza e sul suo possibile significato anche per l’intorno, anche per gli altri.
Ecco, l’intorno e gli altri: forse è questo che fa di un contadino un contadino, almeno così come lo hanno sognato e hanno cercato di realizzarlo in trent’anni Ottavio, Cesare ed Enrico (classi 1951-1953), i primi tre che hanno cominciato, nel 1977 quando la terra certo non andava di moda, il biologico era ancora di là da venire, e mettere su famiglia quasi un’impresa. E infatti le difficoltà sono cominciate da subito, con l’idea fissa della stalla e dell’allevamento: senza materia organica non c’è agricoltura, dicevano. Ma poi ogni capo che usciva dalla stalla era in perdita e allora si è cercato di correggere il tiro; in mezzo c’è stato il recupero del pascolo: per 6 anni, 5 o 6 mesi all’anno, Ottavio saliva all’alpeggio (“le vacche meglio al pascolo che in stalla”), anche con 200 capi, alcuni propri (una settantina), altri affidati. Una sfida irripetibile, difficile da immaginare oggi, eppure s’intuisce che ha segnato una tappa. Una sfida sfortunata, forse troppo in anticipo sui tempi, troppo presto per parlare di qualità. E così è venuto naturale puntare di più sulla vigna e sul vino, ridimensionare la stalla e dedicare tempo ed energie alla cantina e alla vinificazione. Qui le soddisfazioni non sono mancate. Oggi “Valli Unite” imbottiglia tra le 45 e le 55 mila bottiglie all’anno, molte commercializzate nei circuito del biologico (anche all’estero, soprattutto in Germania), ma molte altre anche nel mercato normale, della ristorazione, delle enoteche e delle botteghe del commercio equo. Il vino e la vigna valgono poco meno della metà del fatturato della cooperativa che, tutto insieme, tocca oggi ormai circa un milione di euro l’anno.
Allevamento (mucche e maiali) e agricoltura gli altri due settori tradizionali di lavoro. Ma la cooperativa è arrivata fin qui anche per la sua capacità di innovare e di diversificarsi: da subito lo spaccio è stato importante per vendere i prodotti e saltare almeno un anello della distribuzione; all’inizio degli anni Novanta sono partiti invece l’agriturismo e la mensa/ristorante (che fanno il 12 per cento del fatturato). Così oggi Valli Unite, senza essere forse un modello di efficienza, è però ormai un’azienda che fa investimenti, acquista terreni adatti alla vigna oppure li raggruppa con i subaffitti.
“Restiamo dei contadini che producono, questa è la nostra natura e la nostra forza”, ci tengono a dire. L’ultima iniziativa, qualche anno fa, quella delle “fattorie didattiche”: le scuole vengono qui a vedere come era il mondo, ma forse imparano -ragazzi e maestri- come potrebbe essere ancora.
Il 3 febbraio, quando ci incontriamo, giù in pianura è ancora tempo di nebbia, ma a Cascina Montesoro, località Costa Vescovato, provincia di Alba -il cuore di Valli Unite- quest’inverno così strano regala già giornate di primavera. Non è pianura e non è montagna: vigne, orti e case tra i 250 e i 350 metri. L’occasione ha riunito qui una settantina di persone, dalle valli vicine ma anche qualcuno da più lontano: il più piccolo, cullato dal papà, ha qualche settimana, i più vecchi sono attorno ai 60, un bell’insieme variegato di uomini e donne, ragazzi e uomini fatti. Come un tempo, ma guardandoli non puoi non pensare al futuro. Vite contadine d’oggi, ma anche di domani.
L’eco dell’esperienza di Ottavio e degli altri si è diffusa ben oltre il tortonese. L’hanno raccolta altre aziende agricole, qualche amministratore locale, qualcuno della comunità montana, e tanti amici. Poi, dice Ottavio, “per i miei gusti abbiamo parlato troppo della nostra storia, mentre volevamo fare della presentazione del libro sui nostri trent’anni un’occasione per discutere dei problemi più globali, dell’acqua, dell’aria, di come dare un futuro ai paesi disabitati, di come puntare sui giovani che magari vorrebbero venire a lavorare la terra, ma poi non trovano neanche una casa in affitto; in vendita sì, ma in affitto no”.
Media collina, terra più difficile che in pianura ma in compenso una bellezza e un’armonia più diffuse. In ogni caso, la terra in cui si è nati: è stato così per i primi di Valli Unite (un legame fortissimo), ma poi con gli anni sono state sempre più le persone venute da fuori, anche dall’estero. La cooperativa ha sempre avuto la porta aperta, pronta ad accogliere e a rafforzarsi con le passioni dei nuovi arrivati e, talvolta, a scontarne i limiti.
Un’organizzazione paritaria: tutti guadagnano massimo 5,50 euro l’ora, sia che si tratti dei più esperti sia che si tratti dei nuovi arrivati, e ognuno certifica le sue ore di lavoro. Chi ha la responsabilità di un settore aggiunge 150 euro al mese, in ogni caso lo stipendio in cooperativa è in media attorno ai mille euro. Poi ci sono… i benefit: il vino è gratis, mangiare alla mensa (ottima qualità, i fine settimana diventa un ristorante con una sessantina di posti) costa 1,50 euro, e d’inverno quando il lavoro nei campi tace, se hai bisogno di una mano per ristrutturare casa, o per rifare il tetto, la manodopera della cooperativa è certamente concorrenziale…
23 persone lavorano oggi a Valli Unite, soci, dipendenti e collaboratori; molti di più quelli che sono entrati e rimasti per qualche anno: una rete di conoscenze, di amicizie e di buone pratiche (quasi sempre anche di buone relazioni) che hanno fecondato anche i territori intorno in un permanente scambio di conoscenze e informazioni.
“Non credo che si possa confrontare il nostro modo di lavorare con quello di altre aziende” racconta Ottavio nel bel libro “Il valore aggiunto” di Manlio Calegari. Per spiegarlo fa un esempio di un’azienda che produce 50 mila bottiglie l’anno, il padrone e due marocchini e magari la moglie a tenere la contabilità: “Ci fa i soldi, a fine anno ha guadagnato 50 mila euro che reinveste in immobili o attrezzature. Noi facciamo le stesse 50 mila bottiglie, a fine anno guadagniamo lo stesso ma invece che in 4 ci lavoriamo in 8: così ognuno si fa un pezzo di casa. Alla fine noi produciamo più ricchezza complessiva, lui invece più personale”.
Un modo di lavorare che privilegia l’occupazione rispetto all’accumulazione. Qualcuno lo ritiene inefficiente (“i nostri tempi si sa sono lenti: discussioni, riunioni…”), certamente in controtendenza con il resto dell’agricoltura italiana che in un solo anno tra il 2003 e il 2004 (ultimi dati disponibili) ha perso il 12,5% della forza lavoro, e il 6% delle unità produttive. Invece a “Valli Unite” pensano al “futuro-futuro” e ai giovani che si affacciano,
“Noi vogliamo produrre ma migliorando l’ambiente, rinnovando le risorse, rispettando le persone, conservando le conoscenze. Bisogna metterci dentro tutto: l’ambiente, l’acqua, le persone. Qui noi siamo tutti d’accordo per provarci”. “Una tensione morale” che, nel lavoro quotidiano, non nel tempo libero, cerca di coniugare libertà individuale, accoglienza, occupazione, ambiente. Questo è forse il “valore aggiunto” di “Valli Unite”, quello che continua ad affascinare anche i giovani. Nella riunione del 3 febbraio (“Fare economia sulle colline del tortonese” il titolo), accanto ai fondatori a tenere banco c’era Alessandro, uno degli ultimissimi arrivi, 31 anni, facoltà di agraria alle spalle e tutta l’intenzione di mettere radici.
Sulle colline di Costa Vescovato la presenza della cooperativa è servita probabilmente a dare coraggio e speranza anche ad altri. Nonostante questo Ottavio e gli altri dicono: se la politica avesse fatto la sua parte, se avesse avuto il coraggio di guardare al futuro, le cose che si sarebbero potute fare sarebbero state molto di più. Già, la politica. Loro sono contadini, ma non ne fanno a meno, anzi.
Porte aperte e valore aggiunto
Nato tra l’estate e l’autunno del 2006, il “Valore aggiunto” racconta (come il precedente “La porta aperta”, sempre di Manlio Calegari) l’oggi e l’ieri di “Valli Unite”: dapprima,
negli anni ‘70 la follia di 3 amici, di Ottavio, Cesare, Enrico di restare a lavorare la loro terra, le fatiche per la stalla e il pascolo, i conti che non tornano, poi i primi risultati e l’intuizione della cooperativa, la volontà e il bisogno di aprire ai giovani e ad altri delle campagne vicine. Ma la storia di “Valli Unite”, che ormai è un piccolo modello per molti, è fatta dei volti e della fantasia di soci e lavoratori che da qui sono passati: il bel libro di Manlio (www.impressionigrafiche.it) dà voce alle loro vite, alla fatica di tenere insieme tensioni diverse, alla necessità di far quadrare i conti, ma non solo. “Le cose -racconta il libro- si possono fare in molti modi, ma alla base ci deve essere il rispetto della terra, dell’aria, delle persone che ci lavorano, di quelle che comprano i prodotti”.
Vini bio e salumi, saranno famosi
Alcuni dei vini delle “Valli Unite” hanno avuto riconoscimenti importanti: il Vighet del 1997 per esempio è stato segnalato come il miglior rosso biologico dell’anno, ma poi anche il Bardigà e il Timorasso (ottenuto da un vitigno antico, originario di qui, che nasce solo nei colli tortonesi e in Val Borbera) sono ben apprezzati. Ma Ottavio non si stanca di ripetere che “quel che c’è dietro la bottiglia non è meno importante di quello che c’è dentro”, ovvero la storia e i volti di quelli che il vino lo fanno. Cortese, dolcetto, barbera sono i più venduti; in tutto circa 50 mila bottiglie l’anno. Oltre ad essere bio, su alcuni vini (il Brasca) è nato anche un progetto di compartecipazione degli utili, piccolo ma che aiuta a mantenere gli orizzonti aperti. Ma “Valli Unite” è famosa anche per le carni e, da qualche anno, il suo salame crudo, lavorazione tradizionale da queste parti ma che ormai si stava perdendo (il salame stagionato perde il 30% del peso).
Agriturismo e fattorie didattiche (vere)
Una mano importante per far quadrare i bilanci è venuta dall’agriturismo. Le prime accoglienze sono state aperte nel 1992, ma da un paio d’anni la cooperativa può disporre anche di tre mini appartamenti (da 2 a 5 persone) attrezzati di tutto punto, proprio sopra lo spaccio e accanto alla cantina e alla stalla storica (fatta con pali e traversine di legno, quasi tutto di recupero) di “Valli Unite”. Ci capitano amici, ex soci, clienti della cooperativa ma anche gente di passaggio, come l’ultima coppia che è arrivata per fare shopping all’outlet di Serravalle e cercava un posto dove dormire. C’è da credere che se ne siano ripartiti oltre che con qualche buona bottiglia di vino, anche con qualche domanda in testa… Negli ultimi tempi “Valli Unite” è diventata anche “fattoria didattica” per le scuole: tra tante “fattorie” un po’ virtuali, qui i ragazzi invece incontrano un bel nucleo di contadini, con tutte le fasce d’età, dai bambini ai sessantenni. Come una volta.