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“Visti d’oro”: ecco come l’Europa apre le porte a corrotti e a criminali
Da Malta alla Spagna, numerosi Paesi Ue vendono passaporti o permessi di soggiorno a stranieri facoltosi in cambio di investimenti: un mercato che negli ultimi dieci anni ha sfiorato i 25 miliardi di euro. Transparency International e Global Witness hanno messo in fila le falle dei “Golden visas”, evidenziando scarse procedure di verifica e altissimo rischio corruzione
“Le porte dell’Europa sono aperte ai criminali e ai corrotti grazie all’opaco e mal gestito schema dei ‘visti d’oro'”, venduti da alcuni Stati dell’Unione europea a facoltosi investitori stranieri. La denuncia arriva da Transparency International e Global Witness, due organizzazioni attive nel campo dell’anticorruzione, che il 10 ottobre hanno presentato a Bruxelles il rapporto “European gateway”.
I programmi del “torbido” panorama dei “golden visas” sono due: quello che prevede la possibilità di acquistare il passaporto e quindi la cittadinanza “per investimento” di un Paese Ue (citizenship-by-investment, CBI) e quello invece legato al permesso di soggiorno (residency-by-investment, RBI).
Si tratta di incentivi alla “migrazione” degli investimenti, dove cioè gli Stati-venditori pongono come condizione per l’ottenimento facilitato dei documenti quella di investire sul mercato immobiliare in loco, o a favore dello sviluppo del Paese, o in bond governativi o in quote di determinate aziende.
Secondo gli autori di “European gateway” stiamo parlando di un mercato che ha generato 25 miliardi di euro negli ultimi dieci anni a fronte della vendita di 6mila passaporti e 100mila permessi di soggiorno. Dai tre casi scuola analizzati nel rapporto (Cipro, Malta, Portogallo) emergerebbe però una procedure di due diligence scarsissima a fronte di conflitti di interessi e casi di corruzione molto diffusi. Risultato? “Individui corrotti che possono lavorare e viaggiare senza ostacoli in tutta l’Ue, minacciando la nostra sicurezza collettiva”, spiega Laure Brillaud, responsabile delle politiche anti-riciclaggio di Transparency International.
Gli Stati membri che oggi vendono passaporti sono quattro: Austria, Bulgaria, Cipro (come raccontato dal nostro Alberto Caspani a luglio) e Malta. Mentre chi offre la “residency” sono dodici: Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Portogallo, Spagna e Regno Unito (anche l’Ungheria di Viktor Orbán ha fatto parte di questo elenco fino al 2018). Tolte Austria e Malta, però, nessuno dei Paesi coinvolti pubblica l’elenco dei nuovi cittadini o residenti. E la stessa Malta rende praticamente inutilizzabile la lista, inserendo i “naturalizzati” in ordine alfabetico per nome e non distinguendo tra beneficiari di “golden visas” o nuovi cittadini che hanno seguito un percorso diverso (matrimonio). Quel che è certo è che a livello comunitario la stragrande maggioranza degli investitori-acquirenti sono cinesi e russi. In Portogallo sei “acquirenti” su 10 sono cinesi, in Ungheria addirittura oltre 8 su 10.
I prezzi, le regole e le condizioni variano da Paese a Paese, in assenza di regole certe e condivise su scala europea. In Grecia e Lettonia la residenza può costare 250mila euro mentre il passaporto di Cipro -decisamente più ambìto- raggiunge i 2 milioni di euro o quello austriaco addirittura 10 milioni di euro.
I Paesi europei che ogni anno “guadagnano” di più tramite lo schema dei “Golden visas” -nato nei Caraibi a metà degli anni 80, a Saint Kitts and Nevis- sono Spagna (976 milioni di euro), Cipro (914), Portogallo (670) e Regno Unito (498). Per le economie più piccole è un affare: Cipro ha raccolto negli ultimi cinque anni qualcosa come 4,8 miliardi di euro (5,2% del Pil nel 2017), Malta ha superato 700 milioni di euro dall’avvio nel 2014. L’Ungheria, così dura contro i richiedenti asilo, è invece morbida verso i migranti facoltosi alla ricerca di permessi di soggiorno Ue (RBI): lo dimostrano gli introiti -434 milioni di euro l’anno fino al 2017- e il tasso di accoglimento delle “richieste” (oltre il 90%).
I “Golden visas” aprono dunque le porte a un “rifugio sicuro”, si legge nel report. E non soltanto in termini di stile di vita di lusso, quanto ad esempio in campo bancario, dove un cliente munito di passaporto Ue si troverà in una posizione agevolata rispetto a chi proviene da un Paese considerato a rischio o sottoposto a sanzioni. Ma gli schemi di Portogallo e Cipro non sono comunque in grado di accertare la provenienza della liquidità investita in immobili. E a Malta -sul tema è utile il libro “L’isola assassina” di Carlo Bonini- non è chiaro come vengano reinvestiti i capitali dei “nuovi cittadini” versati nel National Social Development Fund.
Le “raccomandazioni” all’Unione europea sono chiare: stabilire norme comuni in tema di trasparenza e verifica per “prevenire l’abuso di questi sistemi da parte dei corrotti e dei criminali e per garantire che tutti i cittadini dell’Ue siano consapevoli dei rischi e dei benefici che i sistemi comportano”. Ampliare i requisiti anti-riciclaggio, istituire meccanismi di coordinamento per lo scambio di informazioni tra Stati membri, avviare “procedure d’infrazione contro gli Stati membri che offrono visti d’oro se si ritiene che questi compromettano il principio di leale cooperazione e mettano a repentaglio i valori e gli obiettivi dell’Ue”.
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