Cultura e scienza / Opinioni
Vance e Trump, un rigurgito fascista

Definiti come il nemico da combattere, i docenti statunitensi chiamano le cose con il proprio nome. Servirebbe avere il coraggio di farlo anche in Italia. La rubrica di Tomaso Montanari
Nel 2021 il vicepresidente americano James David Vance ha pronunciato il celebre discorso “Le università sono il nemico”. Un titolo che non lascia molto all’immaginazione: vi si esplicitava un punto essenziale del Project 2025, il programma (dell’Heritage foundation, ndr) a cui si ispira Donald Trump per cambiare profondamente gli Stati Uniti: “Dobbiamo attaccare in modo chiaro e aggressivo le università di questo Paese”.
In altre occasioni Vance ha usato parole illuminanti, che chiudono il cerchio dei riferimenti internazionali dell’attuale governo americano, in fatto (anche) di università: “Penso che il modo di fare di Viktor Orbán debba essere un modello per noi: non eliminare le università, ma dare loro la possibilità di scegliere tra la sopravvivenza e l’adozione di un approccio all’insegnamento molto meno parziale”.
Di fronte a questi e ad altri interventi analoghi, l’8 agosto 2024 l’Associazione americana dei professori universitari, fondata nel 1915 da John Dewey, ha emesso un duro comunicato, in cui si legge, tra l’altro che “il fatto che Vance definisca i professori come ‘il nemico’, e il suo elogio del sequestro delle università statali da parte del dittatore ungherese come ‘il risultato migliore che i conservatori abbiano mai raggiunto per affrontare con successo il dominio della sinistra sulle università’ sono inequivocabili.
Se lui e i finanziatori del denaro nero che lo sostengono dovessero conquistare il potere, prenderebbero il controllo dell’istruzione superiore americana per piegarla alla loro volontà. Ironicamente, userebbero la paura e la disinformazione per trasformare i college e le università in ciò che l’estrema destra ha accusato per anni di essere: centri di indottrinamento ideologico. Sebbene gli attacchi all’istruzione superiore americana non siano una novità, ciò che sta nel progetto di una presidenza Trump-Vance offre uno scorcio spaventoso su un futuro autoritario che trasformerebbe i college e le università americane in fabbriche di controllo del pensiero, soffocando le idee, mettendo a tacere il dibattito e distruggendo l’autonomia.
Project 2025, la piattaforma elettorale di Trump-Vance, farebbe regredire decenni di progressi nell’accesso all’istruzione superiore, eliminerebbe le tutele per gli studenti Lgbtq+ e per le vittime delle aggressioni sessuali, privatizzerebbe i prestiti agli studenti, metterebbe fine al condono dei prestiti e, se prendiamo in parola i suoi autori, abolirebbe completamente il dipartimento dell’Istruzione. Non possiamo permetterci che questo accada. Siamo in un momento cruciale che deciderà il futuro dell’istruzione superiore per i decenni a venire. I college e le università sono il fondamento della democrazia americana e il motore della mobilità sociale, dell’innovazione e del progresso. Non possiamo permettere ai fascisti di privarle di tutto questo. È il momento di combattere”.
Fa una certa impressione la parresia con la quale i e le docenti d’America definiscono “fascisti” Trump e i suoi: una definizione corretta sul piano della visione della società, ma naturalmente più fragile sotto il profilo della storia americana. E da noi, come dovremmo definire i politici che hanno esattamente le stesse idee, che considerano l’università proprio come un nemico, le tagliano i finanziamenti, ne mettono sotto inchiesta i corsi queer, ne progettano riforme illiberali? E sì che da noi la rivendicazione di radici storiche ben chiare, e ancora fiammanti nello stemma, è tutto tranne che dissimulata. Dovremmo ricominciare a chiamare le cose, e le idee, con il loro nome.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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