Opinioni
Uno spettro si aggira per l’Europa. Anzi due
Debito pubblico e deflazione: nonostante gli sforzi, i rendimenti dei Btp sono a una soglia critica, e la caduta dei prezzi al consumo sembra inarrestabile. La soluzione potrebbe essere creare nuova moneta con la quale comprare il debito dei Paesi in difficoltà.
Uno spettro si aggira per l’Europa, anzi due.
Il primo, drammaticamente ben definito, è costituito dal debito pubblico che ha assunto proporzioni gigantesche e non più sostenibili per numerosi Stati. Si tratta di uno spettro animato da pulsioni ormai in larga misura irrazionali. Gli spread italiani e spagnoli sono di fatto fuori controllo come dimostra il differenziale, pressoché scomparso, con i titoli portoghesi e irlandesi e divenuto assai negativo rispetto a quelli del Belgio; agli occhi degli investitori e degli speculatori internazionali due Paesi che sono ancora sotto l’ombrello del piano di salvataggio della Ue e dell’Fmi e un terzo che ha vissuto per mesi e mesi senza un governo vero appaiono meno pericolosi dell’Italia.
Il nostro Paese si appresta a registrare un significativo avanzo primario, pari al 3,6% del Pil già quest’anno, uno dei migliori del Vecchio Continente, ha una ricchezza finanziaria privata pari al 175% del Pil che costituisce un’importante ancora di salvataggio non disponibile per altri Stati ed ha un governo tecnico che ha varato manovre durissime. Nonostante tutto ciò, i rendimenti dei Btp stanno avvicinandosi alla soglia 7%, molto probabilmente quella del non ritorno se protratta per un tempo non breve, e nessuna intesa europea sembra in grado di frenare la folle impennata: avere un debito tanto pesante in euro che deve essere finanziato per qualche centinaia di miliardi di euro all’anno rende l’Italia, oggi, il bersaglio perfetto di chi vuole fare soldi facili scommettendo sul crollo della moneta unica.
Il secondo spettro, non ancora materializzatosi a sufficienza per renderlo chiaramente visibile, è costituito dalla deflazione, dalla caduta dei prezzi al consumo che sta attraversando numerose economie europee. In Grecia l’indice armonizzato dei prezzi al consumo è salito soltanto dell’1% rispetto allo stesso mese del 2011 ed è sceso dello 0,2 su base mensile, in Spagna l’incremento su base annua è stato di poco inferiore all’1,9 ed un dato analogo si è registrato in Irlanda.
In realtà in gran parte dell’area euro i prezzi non crescono più, in particolare nei Paesi indebitati, per effetto della pronunciata ondata recessiva e neppure la debolezza dell’euro riesce a produrre una tensione inflazionistica rilevante. In questo senso, è evidente che un rapporto di 1,20 con il dollaro non dipende dalla crescita dei prezzi interni all’eurozona quanto, ancora una volta, dalla crisi dei debiti sovrani che svalutano la moneta in cui tali debiti sono denominati.
Purtroppo, come per il debito, anche per la deflazione, il fenomeno non è diffuso in maniera omogenea in tutta Europa in quanto a Berlino la crescita della moneta – elemento di stimolo inflazionistico – sale del 7,8% mentre in Italia e in Spagna retrocede; in estrema sintesi la Germania, pur scontando alcune tensioni sulla bilancia commerciale europea, soffre di una minaccia di aumento dei prezzi decisamente più alta del resto dell’Europa. Per questo timore, che ha storicamente caratterizzato la Bundesbank dopo i disastri degli anni 20 e 30 del Novecento, il governo e l’opinione pubblica continuano ad opporsi all’unico rimedio praticabile nel breve periodo e con buone probabilità di efficacia costituito dall’intervento massiccio della Bce.
Di fronte ai due spettri del debito e della deflazione, la Banca centrale può finalmente uscire dal vincolo dei trattati europei; il mandato dell’istituto di Francoforte è infatti quello di consentire un corretto funzionamento della politica monetaria, tale da evitare eccessi inflattivi ma anche eccessive cadute dei prezzi perché altrettanto patologiche per la loro stabilità, obiettivo primario, appunto, della Bce.
Dunque è giunto il momento che la banca guidata da Draghi adotti un’aggressiva condotta di creazione di carta moneta per acquistare il debito degli Stati in difficoltà, intervenendo sia alle aste, come prestatore di ultima istanza, sia sul secondario; una audace e più che motivata strategia di pronto soccorso che potrà essere riassorbita grazie ai benefici effetti fiscali della riduzione dei rendimenti sui titoli di Stato, della ripresa dell’economia reale e di un’azione congiunta, di fatto inevitabile, con la Federal Reserve.
Si tratta di una strada che proprio la deflazione rende attuabile nel rispetto delle regole esistenti, senza bisogno di riformare i Trattati e senza procedure particolari; in estrema sintesi è praticabile qui ed ora, le uniche locuzioni di spazio e di tempo che possono bloccare la crisi finale. Siamo nelle mani di Mario Draghi e del Consiglio dei governatori delle banche nazionali dei singoli Paesi; che brutta fine sta facendo l’epoca del capitalismo democratico.