Economia
Una riforma salutare
Intervistato oggi [mercoledì 4 dicembre] su "la Repubblica", Bill Gates celebra la "tradizione filantropica" statunitense, dai Carnegie ai Rockfeller. Con la sua fondazione, Bill&Melinda Gates Foundation, sostiene anche l’Organizzazione mondiale della sanità. Un’istituzione determinante che però dipende troppo da contributi “volontari” di fondazioni e privati, che ne mettono a rischio l’indipendenza —
Ha il potere di indirizzare le politiche pubbliche in materia di salute dei governi. È unica al mondo: nessun’altra organizzazione internazionale ha gli stessi strumenti cogenti. Il preambolo alla sua Costituzione, risalente al luglio 1946, definisce la “salute di tutte le persone” come tappa “fondamentale” per il “raggiungimento della pace e della sicurezza” che “dipende dalla massima cooperazione di individui e Stati”. È l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms, www.who.int), cui spetta il compito di promuovere la salute globale. Può farlo in diversi modi: vincolanti o più sfumati. Nella prima categoria rientrano i Regolamenti internazionali per la salute, con i quali può obbligare i Paesi membri a prevenire minacce acute, o i programmi volti ad assicurare l’accesso a prodotti considerati fondamentali, come quello sui farmaci essenziali, o ancora Convenzioni quadro e trattati di respiro normativo, com’è stato il Trattato sul controllo del tabacco del 2005.
Più sfumate nelle ricadute ma egualmente influenti sull’opinione pubblica sono poi le campagne e le iniziative pubbliche approvate dall’Assemblea mondiale della salute (Ams), o ancora le strategie globali, più o meno accolte dagli Stati cui spetta ampia discrezione, com’è quella sull’allattamento al seno esclusivo fino a 6 mesi. A questo grande potere è però corrisposta una proporzionale difficoltà nel raggiungere i risultati annunciati negli atti fondativi, soprattutto per la mancanza di una piena autonomia finanziaria. Difficoltà che hanno imposto all’ordine del giorno dell’Organizzazione un profondo progetto di riforma, da concludersi entro il 2015, che rischia però di minarne ancor di più la natura pubblica.
Che la salute di tutti risulti indigesta agli interessi economici di pochi non è infatti uno slogan o una semplificazione, è un fatto. Anzi, una denuncia. E chi l’ha formulata -di nuovo e di recente- è stata Margaret Chan, che dal gennaio del 2007 è direttore generale dell’Oms. Ha deciso di farlo a Helsinki, il 10 giugno 2013, inaugurando l’ottava conferenza globale sulla promozione della salute. “Oggi -ha dichiarato Chan- il tentativo di convincere le persone a condurre stili di vita sani e adottare comportamenti corretti incontra l’opposizione di forze che non sono affatto cordiali”. E, ha aggiunto, “gli sforzi per prevenire le malattie non trasmissibili vanno contro gli interessi di potenti operatori economici”. Operatori che nel tempo non hanno mai accettato alcuna regolamentazione alle proprie attività commerciali, fossero queste multinazionali del tabacco, del cibo, del settore degli alcolici o delle bibite analcoliche. Adottando sempre la stessa tattica, che Margaret Chan ha fotografato con drammatica lucidità: “Pur di proteggersi si servono di gruppi di facciata, promesse di autoregolamentazione, o minacciano azioni legali, o mediante la ricerca finanziata dall’industria che confonde l’evidenza e instilla il dubbio tra l’opinione pubblica”. E poi “regali, borse di studio, contributi a cause meritevoli che dipingono queste industrie come soggetti rispettabili agli occhi dei politici e della cittadinanza”.
Il tutto perché “secondo loro la responsabilità per i danni alla salute è in capo ai singoli individui”, e dunque “qualunque azione regolamentatrice di un governo” viene “dipinta come un’interferenza nella libertà personale”.
Poche settimane prima del duro intervento di Margaret Chan -che in Italia non è stato riportato da nessun organo di informazione- era andato in stampa il quinto rapporto dell’Osservatorio italiano sulla salute globale (www.saluteglobale.it) intitolato “Oms e diritto alla salute: quale futuro”. Oltre 250 pagine che permettono di comprendere come e perché si sia potuto comporre il triste quadro rappresentato a Helsinki dal direttore generale dell’Oms. Tra gli autori del rapporto c’è anche Eduardo Missoni, medico, docente di Salute globale alle Università Bicocca e Bocconi di Milano, nonché coordinatore del gruppo di ricerca su Salute globale e sviluppo presso il Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas). A lui spetta il compito di ricostruire gli oltre “sessant’anni di sfide” affrontati dall’Oms. Che ha incontrato nel tempo un grande ostacolo: il denaro. Dalla metà degli anni 80, infatti, alcuni Paesi -su tutti, gli Stati Uniti- hanno imposto all’Organizzazione una stretta austera al bilancio. Alla base di questa scelta, i contrasti politici seguiti ad alcune importantissime decisioni dell’Oms su materie care alle grandi multinazionali: in primo luogo, l’adozione del Programma dei farmaci essenziali del 1985, che comportò la sospensione del contributo “obbligatorio” da parte dell’amministrazione americana, schierata dalla parte delle aziende farmaceutiche. “Da quel momento” spiega Missoni “si è assistito allo spostamento della bilancia a favore dei cosiddetti ‘contributi volontari’, fuori bilancio”. Rispetto a quelli obbligatori -che sono in capo a ciascun Paese membro secondo un “indice di capacità di pagamento” calibrato tenendo conto del prodotto interno lordo e la popolazione-, i contributi volontari, citando Missoni, “sono marchiati all’orecchio, come le pecore”, cioè sono legati a specifiche indicazioni apposte dal donatore: che a quel punto determina le priorità dell’Organizzazione.
“Negli anni 70 i fondi fuori bilancio costituivano il 20% del totale della spesa dell’Oms”, scrive Missoni nel Rapporto, “provenendo per più della metà da altre organizzazioni dell’Onu”. Dopo il congelamento dei contributi obbligatori avviato dagli Stati Uniti, però, “la proporzione dei fondi fuori bilancio sul totale del bilancio è cresciuta progressivamente fino a rappresentare nel 2010 circa l’80% del totale”.
I dati riportati nella relazione finanziaria 2012 dell’Organizzazione mondiale della sanità riassumono quanto ricostruito da Missoni. Dei fondi raccolti al termine dell’anno trascorso -poco più di 2 miliardi di dollari- ben 1,5 miliardi sono riferiti alla categoria dei contributi volontari. 475 milioni di dollari, invece, è l’ammontare dei contributi obbligatori. E se questi ultimi sono cresciuti impercettibilmente (più 0,6%), i contributi volontari hanno fatto registrare un aumento dell’8%.
L’importanza di una Oms libera da condizionamenti è ben rappresentata dalla storica, seppur tardiva, Convenzione quadro sul controllo del tabacco -ritenuto fonte di “devastanti conseguenze sanitarie, sociali, ambientali ed economiche”-, risalente al febbraio del 2005. Dimostrando di poter rivestire il ruolo che la sua Costituzione le assegna, e cioè quello di promuovere la salute costringendo anche i governi più recalcitranti, l’Oms è intervenuta su tasse e prezzi, sulla regolazione del contenuto di tabacco nei prodotti, sulle regole della divulgazione delle informazioni, sui requisiti per confezioni ed etichette, sulle misure per la pubblicità, la promozione commerciale e le sponsorizzazioni, e ancora sulle misure per la riduzione della domanda, sulla dipendenza dal tabacco, sull’educazione, comunicazione, formazione e consapevolizzazione dell’opinione pubblica, sulla protezione dall’esposizione al fumo di tabacco. I Paesi che al 5 febbraio di quest’anno l’hanno ratificata sono ben 176, mentre mancano all’appello Stati Uniti, Indonesia, Etiopia, Argentina e Marocco. Pur indicando norme generali che i singoli governi devono tradurre a livello nazionale, la Convenzione sul tabacco ha rappresentato un durissimo colpo alle multinazionali del settore, considerato alla fine degli anni 90 responsabile del 12% dei decessi tra gli adulti, al pari di una pandemia.
“La stagione della contesa contro i colossi del tabacco è passata” -ha dichiarato il direttore generale dell’Oms al convegno di Helsinki-. La salute pubblica deve vedersela anche con i giganti del cibo, delle bibite gasate e dei soft drinks e degli alcolici”, che “temono” le regole e salvaguardano se stessi e i propri profitti con le tattiche su descritte da Chan.
Ma “Big Food, Big Soda e Big Alcohol”, come le ha sinteticamente chiamate Chan, non ricadono nell’agenda delle priorità dell’Organizzazione, che dipende come detto anche dalle indicazioni espresse da parte dei finanziatori volontari. Il più importante di essi è la Bill & Melinda Gates Foundation, nata nel 2000, e da allora seconda solo agli Stati Uniti per entità del contributo. A darle ossigeno è il Bill & Melinda Gates Foundation Trust, creatura esentasse che amministra le donazioni dei coniugi Gates e del finanziere Warren Buffett, con la holding Berkshire Hathaway di cui è amministratore delegato. Lo stesso che a sei anni dalla creazione ha permesso alla Bill & Melinda Gates Foundation di diventare la più grande e potente fondazione filantropica del mondo, tramite una donazione di 37 miliardi di dollari. Nel 2012, l’ammontare del contributo che la Bill & Melinda Gates Foundation ha riconosciuto all’Oms si è avvicinato a quota 270 milioni di dollari. A seguirla in termini di contributi nel 2012 è il Rotary International, con 42,9 milioni di dollari, che precede la Bloomberg family foundation, con 24,3 milioni, fino alla Rockefeller foundation, con 1,3 milioni di dollari. Non sono solo le fondazioni filantropiche a dare linfa vitale all’Oms, ma anche alcune tra le più importanti case farmaceutiche come Bayer (944mila dollari), Sanofi Espoir (5 milioni di dollari), GlaxoSmithKline (5,7 milioni), Hoffmann-La Roche (4 milioni), Novartis (552mila dollari) e Pfizer (200mila dollari). C’è spazio anche per soggetti attivi nel settore petrolifero, come la Oil Search Health Foundation (371mila dollari) e l’Opec found for international development (2,9 milioni di dollari).
I fronti dove è maggiormente impegnata la Bill & Melinda Gates Foundation attengono ad esempio al contrasto farmacologico di patologie trasmissibili quali tubercolosi, Aids, malaria, polmonite, e non a un percorso di prevenzione per quelle non trasmissibili (“noncommunicable” dal discorso di Chan). Che godono sì di minor rilevanza mediatica ma hanno al contempo un’incidenza drammatica sulla salute globale. Secondo il Global Status Report on Non-Communicable Diseases, infatti, dei 57 milioni di decessi verificatisi a livello mondiale nel 2008, 36 milioni erano dovuti a malattie cardiovascolari, tumori, diabete e malattie polmonari croniche. Il colosso filantropico di Bill Gates crede poco al contrasto delle patologie non trasmissibili, forse anche perché investe in quelle aziende che, a fronte di una forte iniziativa dell’Oms in materia agroalimentare, ad esempio, ne uscirebbero fortemente ridimensionate.
Oltre alla Berkshire Hathaway di Buffett, la fondazione che porta il nome dei coniugi Gates impegna le proprie risorse nella multinazionale del fast-food McDonald’s, nella multinazionale delle bibite Coca-Cola, nella multinazionale americana della vendita al dettaglio Walmart e nella multinazionale dell’agrochimica Monsanto. Per non parlare di Buffett, che con Berkshire Hathaway condivide gli interessi del colosso agroalimentare Nestlé -egemone nel settore dell’alimentazione infantile e degli adulti-, Kraft foods, le case farmaceutiche Sanofi-Aventis e GlaxoSmithKline, e ancora Coca-Cola e Walmart.
“Negli ultimi 15 anni -spiega ad Ae Nicoletta Dentico, giornalista e presidente dell’Osservatorio italiano per la salute globale- l’Oms ha sostanzialmente abbandonato i principi della dichiarazione di Alma Ata del 1978, dove la salute era strettamente collegata al diritto al lavoro, alla libertà, al credito, al diritto a una vita dignitosa, come risultato di una serie di condizioni sociali”. Purtroppo, però, “è emerso e si è imposto un approccio biomedico e tecnologico, dove la salute è equiparata a un fatto di competenza specifica delle medicine, con nuove soluzioni tecnologiche. È la cultura di Bill Gates, che da solo finanzia cinque dipartimenti dell’Oms al 100%, come quelli sui vaccini o sulle malattie dimenticate. Identico anche qui è l’approccio legato alla donazione dei farmaci, il fulcro è sempre il prodotto farmaco”.
“L’Oms deve riacquisire il proprio mandato statutario -spiega Missoni- intervenendo con forza dove le industrie agroalimentari rifiutano di porsi delle regole: penso all’impiego dello zucchero, e cioè del fruttosio nelle bevande, che è un fattore obesogeno e dunque dannoso per la salute”. Le multinazionali, però, mal digeriscono i vincoli, opponendo la responsabilità sociale. “L’industria ha già dimostrato di non potersi e volersi regolare con la responsabilità sociale. In questo mercato è indispensabile la regolamentazione pubblica, perché il tentativo delle aziende è quello di prevenire affermazioni non gradite che possano avere un’incidenza sul mercato”.
Da circa due anni l’Oms ha avviato un processo di riforma. Ma che la strada intrapresa sia scivolosa lo racconta Nicoletta Dentico, che nella metà del mese di ottobre ha partecipato a Ginevra, presso il quartier generale dell’Organizzazione, ad una consultazione informale incardinata al processo di riforma. In testa alla lista degli invitati c’è scritto “attori non statuali”: “Trovarsi allo stesso tavolo con The Coca-Cola Company, Nestlé, i protagonisti dell’agroalimentare stretti intorno all’International Food and Beverages Alliance (Ifba) -i cui membri sono Ferrero, Nestlé, Pepsico, McDonald’s, Coca-Cola-, così come l’International Special Dietary Food Industries (Isds) -che comprende anche l’Associazione italiana industrie e prodotti alimantari-, o gli attori principali del mercato degli alcolici del Global Alcoholic Policy Alliance (Gapa) o del Global Alcohol Producers Group (Gapg), senza dimenticare la fondazione dei coniugi Gates o la quota delle case farmaceutiche -riconosce Dentico- fa un certo effetto”. È necessario cogliere l’importanza di tutelare il ruolo pubblico dell’Oms, che è l’unica in grado di regolare lo strapotere delle multinazionali, , costruendo un servizio sanitario universalistico che permetta a tutti di avere accesso alla salute”. —