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Una passata con cura

L’industria del pomodoro può ricercare la sostenibilità? Ci provano quelli di Pomì, il famoso prodotto italiano lavorato fresco Rosarno non è in Emilia: lo sanno anche i pomodori. E lo sa il Consorzio Casalasco, una grande cooperativa di coltivatori del…

Tratto da Altreconomia 118 — Luglio/Agosto 2010

L’industria del pomodoro può ricercare la sostenibilità? Ci provano quelli di Pomì, il famoso prodotto italiano lavorato fresco

Rosarno non è in Emilia: lo sanno anche i pomodori. E lo sa il Consorzio Casalasco, una grande cooperativa di coltivatori del parmense che l’anno scorso ha raccolto e lavorato un milione e mezzo di quintali di pomodori che non sono biologici, non sono coltivati da piccoli produttori, non provengono da aziende no-profit, ma hanno una storia che vale la pena di raccontare. La vicenda si svolge tutta nel cosiddetto “triangolo del pomodoro”, la zona ad alta vocazione agricola tra Cremona, Parma e Piacenza che da più di 100 anni coltiva pomodori e li trasforma in passata: un legame talmente forte da portare la provincia di Parma a dedicare a questo vegetale addirittura un museo che aprirà tra poche settimane. Protagonista di questo racconto è il Consorzio Casalasco del pomodoro (www.ccdp.it), che aggrega circa 200 imprese agricole, associate per gestire con maggior facilità tutte le fasi del loro lavoro: dalla selezione del seme alla coltivazione, dal raccolto alla trasformazione fino al confezionamento. La gestione diretta di tutta la filiera ha consentito agli agricoltori soci di sviluppare una propria idea di qualità: il Consorzio quindi segue il Disciplinare di produzione integrata della Regione Emilia Romagna per la produzione a qualità controllata, garantisce un prodotto Ogm free (in ogni caso, sementi Ogm in Italia non sono attualmente coltivabili), tratta solo frutti di provenienza italiana, si sottopone ai controlli di una società di certificazione esterna e offre la tracciabilità di ogni lotto di pomodori lavorati, dal seme al prodotto confezionato.
Per molto tempo il Consorzio Casalasco ha prodotto nei suoi stabilimenti salse e passate che venivano poi vendute con i marchi di altre imprese: multinazionali, ma anche grandi aziende italiane o prodotti a marchio della grande distribuzione. Negli ultimi anni, però, il Consorzio ha cercato di dare al proprio pomodoro un marchio che lo rendesse riconoscibile: per questo, quando nel 2007 la Parmalat ha messo in vendita il brand Pomì e l’azienda in cui materialmente venivano lavorati i prodotti (la Boschi Luigi e figli), i soci del Consorzio hanno messo mano al portafogli e hanno scelto di investire per mantenere sul territorio un’azienda che -malgrado la cattiva reputazione del gruppo Parmalat- aveva conservato una buona fama presso i consumatori. Oggi la Boschi Food and Beverage (126 milioni di euro di fatturato nel 2009) è una spa controllata al 100% dai produttori, attraverso il Consorzio casalasco e con la partecipazione di minoranza di un’altra grossa organizzazione della zona, il Consorzio interregionale ortofrutticolo, e ha due impianti di lavorazione in provincia di Parma, a Felegara e a Fontanellato.
Presidente è Marco Crotti, 46 anni, il più vecchio nel gruppo dirigente della società. Non ha le mani callose del contadino, ma di sicuro di pomodori ne ha visti parecchi. Tratta il suo lavoro con la passione e la competenza del produttore prestato al management, e forse per questo, quando posa sul tavolo alcuni semi di pomodoro per mostrarne le diverse varietà, poi li raccoglie uno a uno con l’attenzione che si dedica alle cose preziose. L’azienda, che pure tratta grandi volumi, ha per il pomodoro fresco un’attenzione estrema: i pomodori provengono da campi collocati mediamente entro un raggio di 50 chilometri dallo stabilimento. Tutti i frutti sono coltivati in campi aperti, e in serra passano solo i primi 20-25 giorni, quelli necessari perché il seme si trasformi in una piantina di circa 10 centimetri. Questa viene poi trapiantata in terra da trattori automatizzati, i più tecnologici dei quali sono guidati da un sistema satellitare che consente alle macchine di lavorare giorno e notte senza autista e senza nemmeno schiacciare i filari già piantati. Dopo circa 100 giorni in terra, i pomodori vengono raccolti con un procedimento meccanizzato e senza alcun ricorso a manodopera generica. Crotti  è certo che questo sistema non nuoccia alla qualità del prodotto: “È vero -dice- che la raccolta a macchina si fa una volta sola perché si sradica la pianta, mentre chi raccoglie a mano può passare un filare anche 6/7 volte selezionando i pomodori maturi. Noi però abbiamo risolto il problema a monte selezionando sementi che maturano più o meno contemporaneamente”. I pochi frutti non ancora maturi al punto giusto vengono poi eliminati in fase di lavorazione da una macchina con un sensore ottico. I pomodori raccolti vengono portati agli stabilimenti e lavorati entro 3 ore dal conferimento, e il legame tra raccolta e lavorazione è così stretto che quando la pioggia ferma il raccolto, si ferma anche il lavoro dei due stabilimenti. Tempo permettendo, però, nella stagione della raccolta (che l’anno scorso è durata 52 giorni) gli impianti lavorano a ciclo continuo occupando 300 addetti e 300 stagionali che sono tutti assunti con un contratto di lavoro e occupati all’interno dell’azienda come operai e tecnici. Durante la lavorazione i prodotti sono sottoposti a controlli incalzanti: a partire da un severo disciplinare interno, un laboratorio esterno effettua ogni mezz’ora un controllo organolettico e chimico, a cui si aggiunge ogni ora anche un controllo microbiologico. Da ottobre a luglio, quando non ci sono i pomodori (che occupano solo un terzo delle sue attività), la Boschi si dedica ad altre lavorazioni divise in egual misura tra la produzione di zuppe pronte (prevalentemente a marchio Knorr) e di bibite, succhi e frullati (ad esempio per Santal, Lidl o Zuegg). Per il Consorzio, volumi e metodologie industriali non sono incompatibili con un certo grado di attenzione alla sostenibilità ambientale: i campi sono bagnati con l’irrigazione a goccia che ottimizza il consumo idrico, le bucce e gli scarti di lavorazione sono destinati o all’alimentazione animale o avviati alle centrali a biomassa, il nuovo imballaggio in Tetra-recart (Pomì è stato il primo negli anni ’80 a mettere il pomodoro in brick) riduce l’impatto ambientale perché si trasporta senza sprechi di spazio, è prodotto con qualche riguardo al fatto che il legno non provenga da deforestazioni, mentre nel contempo stanno aumentando gli impianti in grado di riciclarlo. Quella di Pomì, dunque, è la via emiliana alla passata di pomodoro: un’esperienza sospesa tra filiera corta e commercializzazione su grande scala, in bilico tra sostenibilità sociale ed ambientale e processi industriali: proprio questa capacità di oscillare tra mondi e culture diverse, è, alla fine, il vero sugo della storia.

2mila coop in rete "qui da noi"
Tra poco si potranno comprare prodotti agricoli locali direttamente “Qui da noi”. Il “noi” sta ad indicare gli oltre 500mila soci di cooperative agricole che lavorano e trasformano prodotti locali (formaggi, olio, vino, frutta e verdura, ma anche miele, carni e salumi) che vengono lavorati e commercializzati dalle cooperative, che vantano una lunga tradizione di vendita diretta nei loro negozi e spacci aziendali: vera e propria filiera corta, senza alcun passaggio intermedio dal produttore al consumatore. “Qui da noi” è infatti la denominazione di un progetto di vendita diretta che coinvolge 2mila cooperative agricole di tutta Italia aderenti a Confcooperative. L’obiettivo è semplice: sostenere la vendita al dettaglio di produttori locali che, spesso, conferiscono i loro prodotti solo alla grande distribuzione poiché manca una rete di vendita locale capillare e capace di richiamare clienti. Una crescita della vendita diretta, in effetti, rappresenta un’opportunità importante soprattutto per le piccole cooperative che hanno così l’occasione di valorizzare il loro legame col territorio e nel contempo di migliorare i conti non sempre facili anche per chi vive di agricoltura.
Il primo e più visibile risultato del progetto è un sito web (www.quidanoi.coop): una vera e propria vetrina interattiva che indica i vari punti vendita in rete sul territorio nazionale completa di indicazioni su indirizzi, orari di apertura, tipologia di prodotti e informazioni sul singolo punto vendita. Il sito è ancora in lavorazione, ma sono già accessibili i dati relativi Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto. Sono in fase di completamento anche le altre regioni, ed è prevista anche la proposta di veri e propri percorsi enogastronomici per scoprire i prodotti locali ed i territori. 

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