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Una manovra per cambiare rotta
Un fisco più equo, e tagli alla spesa pubblica "tossica" sono alla base della "legge di Stabilità" alternativa promossa dalla rete di 46 organizzazioni riunite nella campagna "Sbilanciamoci!". La manovra prevede interventi per 27 miliardi di euro e un saldo "zero". La "buona spesa pubblica", quella che finanzia anche la lotta alla diseguaglianze sociali, grazie ai tagli. Scarica il rapporto
La “manovra” vale 27 miliardi, ed è a saldo zero: come ogni anno, Sbilanciamoci! presenta la propria versione “dal basso” di legge di Stabilità, che per il 2015 “rispetta l’obbligo del pareggio di bilancio, pur proponendone l’abolizione”. Sembra un controsenso, ma non è così: è, piuttosto, la dimostrazione “che la quantità delle risorse pubbliche disponibili non è l’unica variabile che condiziona l’impianto della legge “finanziaria” approvata dal governo. Il punto dirimente -secondo il documento Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente”, elaborato dalla rete di 46 organizzazioni aderenti a Sbilanciamoci!, che si concretizza in 84 proposte concrete– resta quale modello di economia, di società e di democrazia si ha in mente”.
Quello della legge di Stabilità 2015, in discussione in Parlamento, “continua ad essere sbagliato -spiega Sbilanciamoci!, di cui fa parte anche Altreconomia– perché finge di fare l’interesse di tutti, ma si inchina agli interessi di banche e imprese e non affronta i buchi neri del declino del nostro Paese: l’economia in declino, un’occupazione in calo e sempre più precaria, un sistema di istruzione e di ricerca pubblico indebolito dai progressivi tagli, un disagio sociale crescente che consegna alla povertà assoluta sei milioni di persone, politiche sociali fragili e sempre più delegate alla famiglia, un patrimonio naturale e culturale in abbandono”.
L’Europa chiede politiche di austerità, noi chiediamo di cambiare rotta
La legge di Stabilità si iscrive in un quadro europeo sempre più deprimente, da almeno due punti di vista.
Da un lato gli ultimi dati confermano un continente in sempre maggiori difficoltà: aumenta la disoccupazione (oltre il 10% secondo Eurostat), così come aumentano le diseguaglianze, tanto quelle tra diverse regioni europee quanto quelle interne ai singoli Paesi. In Spagna o in Grecia la disoccupazione giovanile viaggia ormai oltre il 50%, l’Italia non è lontana. Crescono in maniera analoga i tassi di povertà – relativa e assoluta – e l’esclusione sociale.
Dall’altro lato, di fronte a questi dati drammatici i decisori europei insistono su un percorso che si è rivelato fallimentare non solo da un punto di vista sociale, ma persino macroeconomico: dal rapporto tra debito e PIL agli altri indicatori, tutto sembra confermare che l’austerità è il problema, non la soluzione.
Le stesse istituzioni che compongono la Troika, a partire dal FMI, riconoscono nei loro studi più recenti come le politiche di austerità stiano aggravando i problemi e le diseguaglianze europee e come un piano di investimenti pubblico sarebbe fondamentale. Eppure a questi studi non segue un’inversione di rotta delle politiche economiche che continuano a essere dominate dal dogma mercantilista: chi esporta di più vince e l’unico obiettivo dei governi deve essere quello di migliorare la competitività delle imprese. Da qui tagli ai salari e ai diritti di lavoratrici e lavoratori, privatizzazioni, e più in generale una “corsa verso il fondo” sulle normative ambientali, sociali e fiscali. Una visione che sta minando alla base la stessa idea di “Unione” Europea, sostituendola con una competizione europea esasperata.
Una situazione pericolosissima che andrebbe cambiata alla radice, ma che non può in alcun modo costituire un alibi per il governo italiano. Prima di tutto perché lo stesso governo sembra purtroppo sposare in pieno questa fallimentare visione, come confermano le politiche di tagli alla spesa pubblica per ridurre la tassazione delle imprese e come confermano il jobs act o le altre politiche messe in campo.
Un governo che sta facendo passare il semestre di presidenza europea senza tentare di imporre un cambio di visione, senza premere l’acceleratore sulle regole tanto necessarie quanto urgenti per il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi, ma il cui unico impegno su scala europea sembra consistere nel portare avanti il disastroso accordo TTIP di libero scambio con gli USA. Un accordo che si inserisce nella stessa logica di ulteriore espansione dei "diritti" delle imprese a scapito dei cittadini e dell’ambiente.
Le scelte sbagliate dell’UE o la difficile situazione europea e internazionale non possono costituire un alibi. E’ per dimostrarlo che anche quest’anno Sbilanciamoci! propone una manovra che si chiude a saldo zero, ma che mostra come scelte radicalmente differenti sarebbero possibili anche qui da noi, se ci fosse la volontà politica di attuarle.
"E’ l’Europa che ce lo chiede" è una foglia di fico sempre più improbabile, sia perché i vincoli europei non sono un alibi per scelte politiche disastrose in Italia, sia perché sarebbe ora di ribaltare tale approccio, cambiare rotta e iniziare a essere "noi che lo chiediamo all’Europa".
Gli assi portanti della contromanovra di Sbilanciamoci!
Sul piano delle entrate gli assi portanti sono due.
1. Un fisco più equo. Si sceglie, con una proposta molto dettagliata, non di aumentare, ma di redistribuire il prelievo fiscale dai poveri ai ricchi, dai redditi da lavoro e di impresa ai patrimoni e alle rendite. Il fisco non è un male, il vero problema è garantirne l’equità e la progressività attuando la nostra Costituzione.
2. Tagli alla spesa pubblica tossica. Si opta per un riorientamento e una riqualificazione della spesa pubblica tagliando spese militari, sostegno all’istruzione, alla ricerca, alla sanità private e alle grandi opere.
Sul piano delle uscite gli assi portanti sono tre.
1. Intervento pubblico in economia. L’intervento dello Stato è alla base di un Piano per lavorare e produrre per il benessere sociale. Riqualificazione del trasporto pubblico locale, stabilizzazione del personale paramedico precario, assunzione di figure professionali stabili per combattere gli abbandoni scolastici, messa in sicurezza del nostro territorio, investimenti nella ricerca pubblica, nell’istruzione e nella tutela del patrimonio culturale potrebbero creare migliaia di posti di lavoro.
2. Lotta alle diseguaglianze sociali. Un sistema di welfare universalistico, non gattopardesco e schizofrenico come quello attuale, richiede un maggiore investimento nei fondi sociali, nel sistema per l’infanzia pubblico e, soprattutto, l’introduzione di una misura di reddito minimo garantito.
3. La buona spesa pubblica. È quella che investe nell’edilizia popolare pubblica (anziché svenderla), nella tutela dei beni comuni (e non nella loro privatizzazione), in un Piano energetico lungimirante, nella preservazione del nostro patrimonio naturale, nel Servizio Civile Universale e nell’Aiuto pubblico allo Sviluppo (con risorse adeguate), nell’economia solidale, a partire dalla destinazione di spazi o aree dismesse di proprietà pubblica o abbandonate dal privato.
Leggi (in allegato) la contromanovra 2015, “Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente”