Un posto in prima fila
Tre storie che raccontano un mondo l’incertezza E l’immobilità in un villaggio curdo che rischia di essere sconvolto dalla costruzione di una diga, napoli “prima della barbarie” e un giardino botanico metafora di contaminazione tra culture Tra il Tigri e…
Tre storie che raccontano un mondo l’incertezza
E l’immobilità in un villaggio curdo che rischia di essere sconvolto dalla costruzione di una diga, napoli “prima della barbarie” e un giardino botanico metafora di contaminazione tra culture
Tra il Tigri e l’Eufrate
Ci sono luoghi che hanno una collocazione più temporale che geografica. La Svezia sta in Scandinavia. La Dora Baltea sta in Piemonte. Il Tigri e l’Eufrate invece stanno in terza elementare. È lì che il mio cervello li colloca. I nomi di quei due corsi d’acqua così antichi sono saldamente legati ai primi ricordi della scuola. Alla maestra (unica, come lo è ora) che ci spiegava che la vita iniziò lì. La Mesopotamia per me non è un luogo, ma, come direbbe Paolo Conte se fosse curdo, è un’idea come un’altra. E avrei continuato a considerarla tale se non mi fossi imbattuto nel bel documentario Hasankeyf waiting life. Diretto da Mauro Colombo e scritto insieme a Massimo Lazzaroni, racconta le sorti sospese e incerte di Hasankeyf, antico villaggio sulle sponde del fiume Tigri, nella Mesopotamia assira e bizantina, un paesino di 5000 abitanti sul quale pende la minaccia di milioni di metri cubi d’acqua. Qui il governo turco vuole costruire la diga di Ilisu (vedi Ae 94), la seconda per dimensioni di tutta la Turchia, un controverso progetto che il governo di Ankara cerca di realizzare dal 1956. Il pregio del documentario è quello di mostrare le conseguenze umane e personali del progetto. La vera paura della popolazione, di maggioranza curda, di Hasankeyf è l’incertezza.
La grande diga, col suo terribile impatto ambientale, sociale e archeologico (andrebbero persi più di 1.500 siti preistorici), fa meno paura della sospensione, del non sapere che ne sarà del proprio villaggio, l’immobilità e l’impossibilità di pensare un futuro travolgono la popolazione con una violenza maggiore di un fiume in piena. E questa attesa il documentario la racconta splendidamente, lasciando il commento al rumore del vento, alle immagini statiche di una valle dall’aspetto ancestrale e soprattutto alle facce degli abitanti, dei pastori e dei ragazzi che si interrogano sul che fare, se lasciare la loro terra subito o aspettare che succeda qualcosa. Oggi gli istituti di credito europei che avrebbero dovuto finanziare la diga si sono ritirati, ma Ankara vuole proseguire ugualmente. Spero che quando tra qualche anno chiederanno a mio figlio dove sta la Mesopotamia, non debba rispondere “sta sott’acqua”.
Un monitor su Napoli
Parlando di Napoli Erri De Luca dice che è una città in cui bisogna stare almeno in due. Chi è solo, dice, vale meno di uno. Che dire… c’ha ragione. Per chi in città si sentisse solo consiglio di leggere Medioevo Napoletano (l’Ancora del Mediterraneo, 168 pp., 12 euro). Il libro è figlio di Napoli Monitor, un giornale d’inchiesta che con interviste, articoli, disegni e fumetti, ha il pregio di raccontare ogni mese la realtà napoletana fotografando avvenimenti e categorie sempre diverse e in perenne mutamento. I pendolari che lasciano la città, il lavoro nero nei cantieri, le scuole di periferia, gli immigrati, gli ultras, sono solo alcune delle inchieste che i ragazzi di Napoli Monitor hanno messo nero su bianco. Il libro raccoglie 8 reportage scritti con lo stesso stile personale e agguerrito del giornale, aggiungendo allo sguardo su Napoli anche tre finestre sul mondo, Barcellona, Buenos Aires e il Senegal.
Gli autori delle inchieste scrivono in prima persona, raccontano di sé raccontando la città e viceversa, in uno scambio molto diretto che crea un’affezione e un’identificazione nei problemi della città anche in chi, come me, è nato e vissuto da tutt’altra parte.
I giovani autori nel raccontare questo nuovo medioevo partenopeo chiamano in causa la gente e gli amici e non i dati e i politici. Ed è un insegnamento importante, credo, quello di vivere la città e i suoi problemi sempre in prima persona. Di sicuro è un modo per non sentirsi meno di uno.
Il giardino di Libereso
Infine due parole su un altro documentario: Un pomeriggio con Libereso, di Franco Fausto Revelli. A dispetto di una qualità artistica non eccezionale (registicamente si poteva osare di più), il documentario ha il duplice pregio di raccontare un personaggio davvero incredibile come Libereso Guglielmi e quello di scaturire in chi lo guarda una riflessione sul mondo (che non è poco di questi tempi). Libereso ci guida alla scoperta del suo giardino botanico, un’incredibile oasi che raduna, tra il cemento e i palazzi di Sanremo, migliaia di piante rarissime provenienti da mondi lontani. Mentre il discepolo di Mario Calvino parla con meritato orgoglio di semi importati dalle Indie, di fiori giunti dall’Amazzonia e di arbusti scovati in cima all’Himalaya, non riesco a non pensare a come sarebbe bello un giorno parlare altrettanto liberamente della circolazione degli esseri umani, vantandosi di avere accanto a sé volti e voci di Paesi che non conosciamo.
Dove trovarli:
Hasankeyf Waiting life
Info: www.hasankeyfwaitinglife.com, 0331-77.22.29, info@hagam.it.
Medioevo Napoletano si trova in libreria in tutta Italia.
Per recuperare Un pomeriggio con Libereso contattate Zemia Film, zemiafilm.wordpress.com
Per segnalazioni: ugo@altreconomia.it