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Un patrimonio nascosto sulle rive dell’Adda
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda è riconosciuto dall’Unesco, ma lungo il corso del fiume -tra le province di Lecco, Bergamo e Milano- ci sono altri insediamenti industriali da recuperare e "valorizzare"
Le porte della cattedrale sono sbarrate da teli scuri e bancali. All’ingresso della navata centrale è appoggiato un cartello con su scritto “Black site”. A terra, tutto intorno, oltre ai calcinacci si calpestano migliaia di pallini di gomma sparati dai ragazzi che qui vengono a giocare alla guerra, a “soft air”. Marco Locatelli, il proprietario, non ha trovato un altro modo per presidiare i 35mila metri quadrati della ex cartiera Binda, una sorta di isola raccolta tra il Naviglio Martesana e l’Adda nel cuore di Vaprio d’Adda (MI), e tra i primi insediamenti industriali che si affacciano sul fiume che dà acqua al Serio, a Milano, al Ticino e al Po, che incontra nel lodigiano. “Questa parte l’abbiamo chiamata cattedrale per le sue tre navate con volte in mattoni e pilastri in ghisa -spiega Locatelli-. Le macchine erano collocate sotto al pian terreno, dove grandi rulli muovevano le tre linee della produzione grazie all’acqua che entrava da nord e usciva dalle bocche più a sud. È in disuso da 100 anni ma i soffitti sono perfettamente integri, nonostante mi abbiano spaccato i vetri e rubato tutto. Tutto questo a Crespi d’Adda non c’è”.
(la cattedrale dell’ex cartiera Binda di Vaprio d’Adda)
A due chilometri in linea d’aria dall’ex cartiera Binda, infatti, sorge il villaggio operaio di Crespi d’Adda: è -dal dicembre 1995- nella lista Unesco del Patrimonio mondiale dell’umanità, ed è il più conosciuto tra gli insediamenti industriali che sorgono lungo tutto il corso fiume. Partendo da Nord, tra gli altri, s’incontrano la filanda Abegg a Garlate (Lecco, oggi Museo della seta), la filanda Molinazzo di Brivio (LC) il setificio Monti di Abbadia Lariana (LC, oggi Museo Civico), il vellutificio Velvis di Vaprio, la filanda Fumagalli a Sotto il Monte (BG), la filanda della Rasica a Osio Sotto (BG).
Andrea Biffi, cooperatore sociale, è tra coloro che, nei primi anni 90, hanno contribuito a predisporre la candidatura di Crespi tra i beni patrimonio dell’Umanità. “Il mio interesse per l’Adda e il suo Parco nasce da un’esperienza associativa dei primi anni 90 che si chiamava Centro sociale Fratelli Marx, una piccola associazione di Capriate San Gervasio (BG) -racconta Biffi-. All’epoca ci scontrammo con una proposta di piano regolatore per Crespi d’Adda dove si prevedevano nuove costruzioni, villette, impianti sportivi. Decidemmo di contrastarla, in tutti i modi. Eravamo a conoscenza dell’esistenza della lista del patrimonio mondiale dell’Unesco, e della possibilità di iscrivere nuovi siti. In due anni convincemmo l’amministrazione ad abbandonare l’idea edificatoria, che avrebbe distrutto il genius loci del sito e a sposare quella di tutela e conservazione”.
Oggi Biffi presiede la cooperativa Coclea, una “agenzia per lo sviluppo locale sostenibile, la progettazione territoriale partecipata e il fund raising”. Tramite un recente bando della Fondazione Cariplo ha coordinato un progetto di fruizione leggera del Parco, in acqua o in bicicletta, predisponendo guide e mappe interattive che illustrano il patrimonio “sconosciuto” dell’Adda, provando a far conoscere quel che c’è al di là di Crespi. “È un itinerario sconosciuto perché quasi tutto non visitabile -spiega Biffi-, e in buona parte di proprietà di privati”.
È il caso di Vaprio d’Adda e della cartiera acquistata da Locatelli, dove il degrado e l’abbandono han fatto sì che il bosco si riprendesse l’affaccio alla riva. Per godere la vista è necessario salire al secondo piano della cattedrale. Le scale in ceppo, però, non ci sono più, rubate pure quelle. Locatelli e la sua “GestEdil” hanno acquisito la cartiera dal gruppo finlandese “Munksjo”, tra il 2010 e il 2011, per un valore compreso tra i 7 e i 10 milioni di euro. Da allora, l’imprenditore edile ha atteso che il cambio di destinazione -da produttivo a residenziale- fosse inserito nel Piano di governo del territorio. Il progetto definitivo, ancora, non c’è, tant’è vero che sul portone all’ingresso è ancora attaccato il pannello di un convegno organizzato nel 2012 dal Politecnico di Milano sulla mai nata “Isola della cultura”. A parole, Locatelli rassicura sul fatto che i volumi esistenti -115mila metri cubi, che in buona parte verranno demoliti perché ritenuti “di nessun pregio”, salvo la cattedrale, destinata a eventi musicali o laboratori di artigianato- non verranno replicati. In ogni caso, Locatelli ha in testa un intervento che gli permetta quanto meno di riequilibrare quelli che indica come “i costi finanziari sostenuti a fronte di un’area immobilizzata per anni”: almeno 60 milioni di euro.
Questa alternativa “privata” all’obsolescenza e all’abbandono di un patrimonio d’interesse pubblico è molto simile a quella di Crespi d’Adda. Nell’ottobre del 2013, Antonio Percassi, l’uomo che porterà la multinazionale Starbucks in Italia (vedi Ae 179), ha acquistato, attraverso la holding “Odissea”, lo stabilimento industriale di Crespi d’Adda -90mila metri quadrati tra locali interrati e fuori terra e 35mila metri quadrati di bosco- per poco più di 5 milioni di euro. L’intenzione è quella di riunire all’interno dello stabilimento gli uffici delle diverse attività imprenditoriali del suo Gruppo, oggi distribuite tra Milano e Bergamo. Secondo una “ipotesi preliminare non formalizzata” (dal Piano di gestione 2014-2018 di Crespi), l’intervento di Percassi interesserebbe circa 36.400 metri quadrati, con “funzioni pubbliche” non oltre il 15% della superficie.
Andrea Biffi e Coclea dialogano con il Gruppo Percassi. “Stiamo cercando di accreditarci come partner locali più importanti per quanto riguarda i pezzi di ‘economia della cultura’ da inserire all’interno degli spazi -racconta il cooperatore-. La fabbrica culturale di prossimità può rappresentare una risposta per il riuso e il riutilizzo di questi luoghi, ma non rappresenta l’intera soluzione. È triste riconoscerlo ma non si scappa da dinamiche economiche che prevedono quote di residenziale e quote di commerciale. Anche perché molti di questi piccoli Comuni che ospitano sul proprio territorio strutture del genere non hanno le risorse per affrontare un problema così complesso”.
Talvolta non hanno le risorse, talvolta hanno interessi di altra natura. Per rendersene conto basta percorrere pochi chilometri a Sud di Vaprio lungo la “Cassanese”, fino al gigantesco ex stabilimento del Linificio Canapificio Nazionale (LCN) di Cassano d’Adda (MI). “Il complesso si trova accanto al canale della Muzza, e in passato era destinato alla produzione di cordami e al riciclaggio dei sottoprodotti della canapa”, racconta Biffi, poco prima di raggiungere il portale d’ingresso. Ad attenderci c’è Fausto Crippa, presidente dell’Alauda srl, la società edile che nel 2005 ha acquistato dalla famiglia Marzotto tutta l’area: 130mila metri quadrati, 20 milioni di euro circa. Prima di fare strada tra ciò che è rimasto di un insediamento industriale in grado di occupare fino a 3mila persone, Crippa cita Alfredo Robledo, già procuratore aggiunto della Procura di Milano. “La grande parola che attira tutti è l’avidità”, gli disse. Qualche anno fa, infatti, venne scoperta una rete d’interessi fatta di tangenti e corruzione che dai palazzi dell’amministrazione comunale guardava (anche) allo sviluppo immobiliare dell’ex Linificio. Sono passati 11 anni dall’acquisto dell’area e Crippa sta ancora aspettando. “Il sito è abbandonato dalla fine degli anni Novanta e i macchinari esistenti sono stati tutti ceduti -racconta-. La nostra idea era di recuperare il più possibile, anche perché c’erano numerosi edifici meritevoli. Purtroppo certe ‘vicissitudini amministrative’ ci hanno un po’ bloccato. È un male nazionale, ma non ho più voglia di parlarne. Quello che più dispiace è vedere l’avanzata del degrado. Se uno parte con l’idea di radere al suolo tutto e costruire 400mila metri cubi gli può anche andar bene il degrado, anzi lo vuole. Per noi non era così, la distruzione c’è stata perché non ci è stata data la possibilità di intervenire puntualmente. Così gli edifici sono crollati e le corderie praticamente sparite. Venivevano realizzate corde destinate ovunque, anche sull’Amerigo Vespucci”. A differenza della cartiera Binda di Vaprio d’Adda, il cantiere dell’ex stabilimento in mano a Crippa dovrebbe sbloccarsi (il costo per il recupero dovrebbe aggirarsi intorno a 70 milioni di euro, con 154mila metri cubi di intervento), visto anche il cambio di amministrazione nel Comune di Cassano d’Adda.
(l’ex stabilimento del Linificio e canapificio nazionale di Cassano d’Adda)
A Fara Gera d’Adda (BG), invece, è tutto fermo. I 90mila metri quadrati dei grandi spazi di un altro stabilimento del LCN nel centro del paese sono abbandonati e deserti. Giuseppe Petruzzo, funzionario del Parco Adda Nord a Fara, immagina un grande mercato coperto, recuperando lo stabile centrale che si innalza per quattro piani. La proprietà, però, è ancora del gruppo Marzotto -che ha delocalizzato la produzione in Tunisia e Lituania-. Una parte dello stabilimento è stata riconvertita a funzione residenziale, senza grande fortuna, mentre la centrale idroelettrica funzionante è stata ceduta a Luca Gnali, presidente della società Adda Energi Srl che ha fatto lo stesso a Crespi d’Adda. Sfrutta l’acqua proveniente da un canale derivato dall’Adda nel 1870 per far funzionare la motrice dell’opificio. Dentro la centrale ci sono ancora i vecchi alternatori “Tecnomasio Italiano Brown Boveri” di Milano.
È il patrimonio dell’Adda, oltre Crespi, oltre Percassi.
(uno scorcio della centrale e dell’ex LCN di Fara Gera d’Adda)
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