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Ambiente

Un Paese che frana

Ventotene, dove due studentesse sono morte in spiaggia per un masso caduto da una parete, è l’emblema di uno Stato che non tutela il suo patrimonio Dietro l’ultima tragedia di un’Italia che frana, emerge la verità di un federalismo finto,…

Tratto da Altreconomia 118 — Luglio/Agosto 2010

Ventotene, dove due studentesse sono morte in spiaggia per un masso caduto da una parete, è l’emblema di uno Stato che non tutela il suo patrimonio

Dietro l’ultima tragedia di un’Italia che frana, emerge la verità di un federalismo finto, con Comuni senza soldi e territori abbandonati. Ventotene, isola a metà strada tra Napoli e Roma, da marzo a settembre meta di turisti, è balzata agli onori delle cronache il 20 aprile scorso con la morte di due ragazze di una scuola romana, colpite da un masso di tufo staccatosi dalla roccia. La procura di Latina ha aperto anche un’inchiesta: dieci indagati tra funzionari regionali e amministratori locali, tra cui anche il sindaco che ribadisce la correttezza del suo operato. Un posto abbandonato come il carcere che riposa, in decadimento, sull’isolotto di Santo Stefano, a due km da Ventotene. “Un comune -raccontano i bene informati- di settecento abitanti cosa vuole che faccia? Le casse sono vuote, hanno tagliato pure l’Ici”. Posti piccoli che diventano di interesse quando bisogna procacciare qualche voto, come dimostra il dialogo tra la neogovernatrice del Lazio Renata Polverini e l’ex sindaco di Latina Vincenzo Zaccheo, finito su Striscia la Notizia. Il primo cittadino, poi sfiduciato, candido ammetteva: “A Ventotene sono andato a prendere 57 voti per te, non uno di meno. Il Sindaco di Ventotene ti aspetta. Ci sono andato. A nuoto”.
Il carcere. Per capire come si abbandona un territorio bisogna entrare in questo carcere, il penitenziario di Santo Stefano, ribattezzato “l’Alcatraz d’Italia”, posto su un piccolo isolotto di fronte a Ventotene. Isolotto disabitato dove troneggia l’enorme edificio. Altreconomia ci entra per conoscere meglio questo scrigno di storia patria, di visioni del mondo e di personaggi illustri. Siamo gli ultimi a vederlo. Dopo la tragedia e la morte delle due ragazze, le visite vengono sospese. “Serve un percorso in sicurezza -denuncia Salvatore Schiano di Colella, guida e studioso dell’isola- e fino a quando non sarà elaborato, il carcere resterà chiuso. Siamo tornati indietro di anni, ora ognuno potrà arrivare all’isola, entrare nel carcere e far quel che vuole”. Luogo negletto come la credibilità di intere classi dirigenti che hanno promesso interventi e progetti di rilancio. Edificato alla fine del ‘700 da Ferdinando IV, mutua le impostazioni architettoniche del Panopticon, struttura a visione totale, “da un punto si controllano tutte le cellule” (nel caso le celle), la teoria che circolava in quel tempo e che Jeremy Bentham fissa in un trattato. “Un carcere unico al mondo -racconta ancora Schiano di Colella-, che ha fatto incontrare il modello Bentham con lo stilema architettonico che aveva guidato la costruzione del teatro San Carlo di Napoli”. Il carcere, usato anche come ergastolo politico, ospita i protagonisti della storia patria, dai superstiti della repubblica partenopea del 1799, fino ai grandi interpreti della resistenza italiana. A Santo Stefano passano i liberali Silvio Spaventa e Luigi Settembrini. Quest’ultimo racconterà le giornate in carcere, trascorse a metà ‘800, nel suo Ricordanze della mia vita: le sofferenze, le punzioni corporali, la fatica della detenzione.
Al cappio sull’isolotto finiscono anche gli anarchici, come Gaetano Bresci che uccise il re Umberto I, ed efferati criminali comuni. Durante il fascismo a Santo Stefano vengono confinati Mauro Scoccimarro, Umberto Terracini, che dopo il regime presiederà la costituente, Sandro Pertini che diventerà Presidente della Repubblica. Ma non bisogna dimenticare che Santo Stefano ha rappresentato anche un luogo di sperimentazione di un carcere moderno. La detenzione come rieducazione. Eugenio Perucatti, direttore illuminato negli anni 50, rifondò il carcere in senso liberale, per ridare ai prigionieri un po’ di speranza e umanità. Lo chiamarono il “dolce ergastolo”. Perucatti diventa un simbolo, fa trascorrere l’infanzia di suo figlio dodicenne tra queste mura, in compagnia di un ergastolano, un detenuto ribelle che diventa modello. L’esperimento Perucatti viene stoppato dal governo Tambroni: allora come oggi, un esempio da cancellare.
Il carcere chiude nel 1965, da allora solo piccoli interventi, ma ormai la struttura è in decadimento. Cade letteralmente a pezzi come la storia che lo attraversa.  L’isolotto di Santo Stefano ospita solo il carcere, di proprietà dello Stato. Tutto intorno l’area agricola, ormai abbandonata, è nelle mani di un privato che intende venderla, ma senza successo. La zona è diventata più volte oggetto di progetti e mire speculative.
La speculazione. Nel 2005 viene bloccato un progetto per la realizzazione di un hotel nell’ex penitenziario dismesso di proprietà demaniale.
La magistratura apre un’inchiesta, indagato un funzionario del Ministero della Giustizia. Sotto la lente degli inquirenti finisce il progetto di costruzione del mega-residence. Per avviare la speculazione c’era l’idea di un cambio di destinazione dei penitenziari dismessi. Tutto bloccato dalla magistratura. Nel 2006 la Regione Lazio, a guida centrosinistra, pronunciò la parolina magica: riqualificazione. Si doveva partire dalla Casa del direttore, destinata a diventare -sscrivevano le cronache- entro il 2007 un “Osservatorio della biodiversità” e delle ricerche marine. Non se ne è fatto nulla. “L’unico lavoro in corso, di poche migliaia di euro, è il rifacimento della chiesina centrale. Per il resto nulla. Se esportassimo le chiacchiere -conclude, con amarezza, Schiano di Colella- saremmo un Paese in attivo”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel marzo 2008, dichiarò questo posto monumento nazionale “in quanto luogo di esilio di molti padri della Repubblica, laboratorio di idee per l’affermazione dei valori di democrazia e di cooperazione fra i popoli e quindi di rilevante interesse culturale per il suo valore di testimonianza per la storia della Nazione e dell’Europa unita”. Il capo dello Stato lo ha omaggiato con la sua presenza, legato a questo mare che ha visto fiorire il manifesto di Ventotene, firmato dall’europeista Altiero Spinelli, nel 1941, durante il confino sull’isola. Luoghi attraversati dalla storia, dove, ormai, i vincoli e le tutele si sprecano. Ma progetti di rilancio, per un posto che potrebbe trasformarsi in un patrimonio di tradizione e cultura, non se ne vedono. È il modello Italia, Paese in decadenza. Le chiacchiere hanno cittadinanza bipartisan. Da queste parti un anno fa una nuova promessa, targata Antonio Tajani, il forzista, oggi commissario europeo. “Il carcere di Santo Stefano -disse- ha tutte le carte in regola per diventare una seconda Maddalena: potrebbe ospitare vertici internazionali, magari il G8 ”. Ma visto quello che è successo in Sardegna, con costi gonfiati, inchieste e scorribande della cricca, mai presagio fu più nefasto.

Un pericolo conosciuto
Il 70% dei comuni italiani è in dissesto idrogeologico. E non se la passa bene nemmeno l’isola pontina. Il padre di una delle vittime di Ventotene, Bruno Panuccio, è stato fin troppo chiaro dopo la tragedia: “Mia figlia è morta in una maniera assurda. Io sono andato a vedere il posto dove è morta mia figlia, Sara, e l’amica Francesca. Più che evitabile: il fatto che siano morte due ragazze in questa maniera è assurdo. Io sono stato nel posto, ho toccato il pezzo di montagnola che ancora è attaccata, è friabile, l’ho tirata giù con le mani io”. Le cale a Ventotene sono a rischio crollo e mancano di reti di protezione. A Calanave, ad esempio, solo dopo la tragedia sono iniziati i lavori: cartelli e reti protettive. “Ma quella cala era sicura” ribadisce il sindaco dell’isola sbandierando uno studio dell’autorità di bacino. Non la pensa così Franco Ortolani, ordinario di geologia all’Università Federico II, che spiega: “Le spiagge sottostanti al costone crollato a Ventotene dovevano essere interdette. Il parere dell’Autorità di bacino era sbagliato e non è la prima volta che le valutazioni sono errate. Il costone tufaceo che delimita a Sud la spiaggia di Cala Rossano anche se non era stato classificato a pericolo di frana di fatto era instabile e avrebbe dovuto essere classificato come tale”.
Insomma, segnali c’erano per intervenire. Un anno fa, nel febbraio 2009, in una interrogazione parlamentare bipartisan si chiedeva all’esecutivo “un piano straordinario di interventi strutturali per la messa in sicurezza dell’isola” per scongiurare seri pericoli per l’incolumità degli abitanti. Interventi zero. In “Ecosistema rischio 2009”, l’indagine di Legambiente e del Dipartimento della Protezione Civile per conoscere come i comuni italiani a rischio idrogeologico si attivano per la prevenzione e la mitigazione del rischio, il Comune di Ventotene viene bocciato. L’isola finisce tra gli enti locali che svolgono un insufficiente lavoro di mitigazione del rischio con il punteggio di 1,5.

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