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Un Governo senza definizione
Non è facile etichettare l’esecutivo in carica guidato da Paolo Gentiloni: non è “balneare”, non è di scopo, non è “del presidente”, non ha la forza per esibire la sua natura di “fotocopia” dopo la batosta referendaria. E se è “a tempo”, allora stiamo navigando a vista. L’analisi di Alessandro Volpi
La scena politica italiana pare destinata, negli ultimi tempi, a non farsi mancare nulla e, soprattutto, a non peccare certo di mancanza di originalità. Non è davvero semplice capire, infatti, come si possa qualificare il nuovo gabinetto Gentiloni dal momento che sembrano inutilizzabili tutte le definizioni ad oggi conosciute nell’ambito della scienza e anche della “vulgata” politica contemporanea. Non è facile etichettare l’esecutivo in carica con l’espressione di governo “balneare”, un’aggettivazione inadeguata non tanto per la stagione in cui è stato formato quanto per la natura stessa dei governi balneari che, nella recente storia italiana, sono serviti “a passare la nottata” in attesa di una fase politica più impegnativa, non necessariamente determinata da una tornata elettorale anticipata.
Il più noto governo balneare italiano è stato il primo ministero affidato a Giovanni Leone nel giugno del 1963 e decaduto il 5 dicembre di quell’anno; un monocolore a firma democristiana che, di fatto, preparò l’apertura a sinistra, lasciando il posto al ben più organico gabinetto guidato da Aldo Moro, destinato ad inaugurare la stagione del Centrosinistra. In quest’ottica, i governi balneari assolvevano al compito di preparare una fase politica che, in larga misura, era già in incubazione. Il governo Gentiloni pare essere l’incubatore di nulla. Lo stesso esecutivo presieduto dall’ex ministro degli Esteri del “Renzi I” non è neppure un “governo di scopo” perché, normalmente, vengono qualificati in tale maniera i gabinetti a cui ha dato la propria fiducia almeno una parte delle opposizioni e tale fiducia si motiva, appunto, con l’obiettivo di realizzare uno scopo. Nel caso dell’esecutivo Gentiloni, la fiducia è stata espressa solo dalla maggioranza e, del resto, non è chiaro neppure lo “scopo” di questa compagine ministeriale visto che l’obiettivo di fare una nuova legge elettorale non è condiviso da una parte importante del panorama politico nazionale. Anche l’espressione, spesso abusata, di “governo del presidente” non risulta adatta alla squadra di Gentiloni data la fin troppo evidente continuità con l’esecutivo presieduto da Matteo Renzi.
Il ruolo di Mattarella non è affatto paragonabile, in una simile prospettiva, a quello svolto da Giorgio Napolitano nella formazione del governo di Mario Monti, insediato nel novembre 2011 e rimasto in sella fino all’aprile del 2013; un’investitura, quest’ultima, rispetto alla quale il peso, la volontà e l’influenza del presidente della Repubblica furono assolutamente decisivi. Ma il governo Gentiloni, nonostante la palese coincidenza dei suoi membri con l’esecutivo del segretario del Pd, non può essere qualificato con l’espressione di “governo fotocopia”, quantomeno nei termini del vocabolario politico corrente. Il più celebre dei governi fotocopia, il secondo gabinetto di Giovanni Spadolini, che protrasse la sua breve esistenza dall’agosto al dicembre 1982, poteva ricalcare l’esecutivo precedente in virtù della forza politica di cui disponeva in quel momento il suo leader Giovanni Spadolini. In tale ottica, il passaggio da una compagine ad un’altra, pressoché identica, rispondeva a logiche tutte interne alle dinamiche partitiche di quella fase, non certo ad un capitombolo così forte come la sconfitta patita dall’esecutivo in carica nel referendum costituzionale; in altre parole rifare un governo identico è, di solito, espressione di forza non di debolezza.
Neppure altre definizioni sembrano però utilizzabili per il team di Gentiloni. Non è un governo tecnico visto che ha una chiara valenza politica e i tecnici, in realtà, sono un po’ pochini; non à un governo elettorale, in parte per le ragioni sopra ricordate e in parte perché i precedenti storici, come quello di Amintore Fanfani, il “Fanfani VI”, in carica da aprile a luglio 1987, presentavano tratti assai diversi e in genere risultavano pesantemente condizionati, fin dall’inizio, dall’attesa delle elezioni. Fanfani, già pochi giorni dall’insediamento, sapeva la data delle successive, immediate elezioni. Non è poi un governo per gli affari correnti, dal momento che Gentiloni si trova di fronte alcune patate bollenti che di corrente non hanno nulla come il salvataggio di Mps e la ricostruzione post terremoto. Dunque Gentiloni e i suoi ministri sembrano personaggi in cerca di una definizione; una condizione, come accennato in apertura, assai singolare. Restano allora due ipotesi per sciogliere il dilemma “identitario” del nuovo gabinetto; o il governo Gentiloni è un governo politico e, allora, la politica è divenuta assai difficile da capire, o il governo Gentiloni è un governo a tempo. Ma, in questo secondo caso, significa che stiamo navigando a vista.
Alessandro volpi, università di Pisa
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