Interni
Tutti i ritardi dell’inclusione
Solo in Italia, chi monitora le discriminazioni razziali è un’agenzia governativa: “Se le Regioni non collaborano, nessun risultato” spiega Massimiliano Monnanni, l’ex direttore —
Massimiliano Monnanni è l’ex direttore generale dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), il centro di coordinamento della “Strategia nazionale di inclusione di Rom, Sinti e Caminanti”. Sostituito a luglio 2012, Monnanni valuta oggi i risultati del percorso che ha contributo ad avviare.
Che cosa intende quando parla di “vizio d’origine” dell’Unar?
Nel resto d’Europa i compiti affidati a soggetti identici all’Unar vengono svolti da agenzie non governative. In Italia questa agenzia non è formalmente indipendente, perché insediata a Palazzo Chigi. Nel nostro Paese non c’è un luogo che si occupi della verifica da un punto di vista diverso da quello del Governo.
Questo può avere influito sui ritardi nell’attuazione della Strategia nazionale d’inclusione?
No. Ricordo che quando ero all’Unar il ministro dell’Interno era Roberto Maroni, e mi sono trovato più volte a notificare notizie di reato nei confronti della Lega Nord. Dipende dall’indipendenza dei singoli.
A che punto è la Strategia e perché fatica così tanto ad affermarsi?
Da quando ho terminato il mio mandato non sono stato più coinvolto, e non c’è stato alcun effettivo passaggio di consegne. Questo può aver generato una stasi. Segnalo inoltre che le deleghe al ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge sono state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale soltanto a luglio. Auspico che a settembre possa ricominciare il lavoro. Che però dipende strettamente dal rapporto con le Regioni.
Solo sei su venti hanno perlomeno creato il tavolo previsto dall’Unar.
Lavoro, salute e abitazione sono tre temi chiave della Strategia che però fanno riferimento alla normativa regionale. Senza di queste, l’Unar può molto poco.
Nel maggio 2012, in audizione al Senato, si disse intenzionato a quantificare il “costo del razzismo”. In che senso?
L’obiettivo era quello di verificare il costo che la collettività ha sostenuto per quel che riguarda le discriminazioni istituzionali -tra cui le ordinanze sindacali al Nord-. Non mi pare abbia avuto molto seguito dopo la mia sostituzione.
A proposito di risorse, qual è il peso della Strategia?
In linea teorica dovrebbe essere a costo zero, perché l’ambizione è quella di recuperare le risorse, quantificando le spese dei centri per razionalizzarle e meglio investirle. Un’attività da condurre con l’Istat, l’Anci e la Conferenza delle Regioni.
Maurizio Pagani, dell’Opera Nomadi di Milano, ritiene che l’inclusione non sia altro che un’assimilazione strisciante, per sbarazzarsi dei campi e delle tradizioni delle comunità che lì vivono.
Penso che le comunità non siano tutte uguali. I campi delle grandi città hanno annullato le comunità culturali, la cui convivenza è anche difficile. I Sinti (più concentrati nel Nord Italia) sono orientati per esempio verso le microaree, a famiglia allargata.
Noi non abbiamo detto che esista un’unica soluzione. Però quelle che quel documento propone devono raggiungere tutte lo stesso scopo. Che non vuole annullare la cultura di quelle popolazioni. —