Ambiente / Attualità
Trapianti in mare per salvare la Posidonia. Come renderli efficaci
Di fronte a una regressione preoccupante delle praterie italiane di Posidonia oceanica, i trapianti possono essere una delle soluzioni ma risultano efficaci solo se eseguiti sulla base di buone pratiche. L’Ispra ha presentato i risultati del progetto LIFE Seposso. Il ruolo dei cambiamenti climatici e della pressione antropica
Il consumo di suolo riguarda anche le coste. Ne sa qualcosa la Posidonia oceanica, pianta marina endemica (cioè presente esclusivamente in una determinata area, ndr) del Mediterraneo che svolge un ruolo chiave nel mantenimento della biodiversità e nella protezione delle spiagge dall’erosione. La Posidonia forma estese praterie sui fondali in grado di offrire rifugio e nutrimento a circa il 20-25% delle specie vegetali e animali marini ma gli oltre 300mila ettari mappati tra il 1990 e il 2005 hanno visto una “diffusa regressione”: oltre 30mila ettari negli ultimi 20-30 anni sono andati persi lungo le coste della Liguria, della Toscana, del Lazio e della Puglia. Mentre altri 20mila ettari sono andati persi nei fondali lungo le coste della Sardegna.
Non è il solo degrado naturale a danneggiare le “praterie” -ha ricordato a metà marzo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) presentando i risultati del progetto europeo LIFE Seposso (Supporting environmental governance for the PosOSidonia oceanica sustainable transplanting operations)- ma anche le crescenti pressioni antropiche, la costruzione di porti, gasdotti-oleodotti, rigassificatori ed elettrodotti. Così come la pesca a strascico illegale e gli ancoraggi delle imbarcazioni da diporto e delle grandi navi.
“Questi fattori agiscono in due modi: possono semplicemente rimuovere fisicamente la pianta oppure intorbidire l’acqua rendendo la fotosintesi molto più difficile”, spiega ad Altreconomia Tiziano Bacci, tra i responsabili scientifici del progetto Seposso e ricercatore dell’Ispra in Biologia ed ecologia marina. Un’ulteriore minaccia è costituita dai cambiamenti climatici. “Anche se non esistono studi approfonditi in materia sappiamo che l’aumento della temperatura media del Mediterraneo e l’acidificazione delle acque (dovuta all’assorbimento di CO2 da parte dell’acqua, ndr) sono una minaccia per la Posidonia”, continua Bacci. Questi fattori sommati tra loro hanno provocato gravi danni alle praterie di Posidonia, la cui estensione è diminuita in maniera significativa negli ultimi cinquant’anni riducendosi di oltre il 30% su tutta l’area mediterranea.
Di fronte a quella che lo studio di Ispra ha definito una “preoccupante” regressione, i trapianti di Posidonia possono essere una delle soluzioni ma “risultano efficaci solo se eseguiti sulla base di buone pratiche e prevedendo un monitoraggio nel tempo di almeno dieci anni”, si legge nel documento. E soprattutto non giustificano la distruzione dei fondali marini. Lo certificano due anni di monitoraggi svolti sui 15 trapianti effettuati in Italia negli ultimi venti anni. Sono i risultati del progetto LIFE Seposso frutto di oltre 500 ore di lavoro durante le quali i biologi subacquei del progetto hanno scandagliato 30mila metri quadrati di fondali trapiantati con la Posidonia oceanica in diverse località italiane.
Come detto la capacità delle praterie di Posidonia di mitigare le correnti marine e di trattenere la sabbia ha un ruolo fondamentale nel prevenire l’erosione e stabilizzare le coste. Come tutte le piante è in grado di produrre ossigeno e di catturare anidride carbonica tramite il processo di fotosintesi, oltre a ospitare una grande varietà di specie marine. Infine le piante morte si trasformano in un’importante fonte di nutrimento per molte specie. Per tutti questi motivi, le opere che interessano questi ambienti protetti dovrebbero svolgere un’attenta valutazione degli impatti ambientali. “Alcune opere definite ‘di rilevante interesse pubblico’ vengono realizzate anche a costo di danneggiare gli habitat purché venga effettuata una compensazione -riprende Bacci-. In molti casi vengono scelti i trapianti per cercare di ripristinare la prateria danneggiata”. Il progetto LIFE Seposso ha esaminato 15 trapianti di cui nove di compensazione, tre per il recupero di praterie danneggiate e tre a scopo sperimentale. L’obiettivo della ricerca è monitorare la riuscita dei trapianti, realizzare strumenti digitali innovativi, manuali e linee guida per trasmettere le migliori pratiche e coinvolgere il pubblico nella conservazione dell’ambiente. Secondo i ricercatori le buone pratiche individuate permetteranno di aumentare il tasso di successo dei trapianti e la loro capacità di recuperare habitat compromessi.
“Abbiamo esaminato progetti molto diversi tra loro con un’età compresa tra i venti e i due/tre anni, realizzati con metodi anche diversi tra di loro. Per i lavori più recenti non è stato possibile emettere un giudizio definitivo, mentre fra i trapianti più ‘vecchi’ alcuni sono completamente falliti anche se altri hanno mostrato buoni segnali di ripresa”, spiega il ricercatore dell’Ispra. In generale nessun progetto è riuscito a compensare completamente il danno ambientale e quasi tutti hanno mostrato perdite di almeno in 50% delle piante, anche se nelle zone dove si sono radicate si è osservata la formazione di praterie molto simili a quelle naturali. Secondo i ricercatori le nuove opere mostrano segnali positivi in quanto negli anni la metodologia è migliorata e si dispone di migliori conoscenze.
Molti fallimenti, infatti, sono stati causati da una scelta errata del sito di trapianto e da una cattiva pianificazione degli interventi che hanno portato le nuove piante a non attecchire e a non formare nuove praterie. I protocolli più aggiornati prevedono anche la realizzazione di trapianti “pilota” per sondare il terreno prima di realizzare l’opera definitiva. Il 19,1% delle acque italiane sono sottoposte a qualche misura di conservazione, ma per raggiungere gli obiettivi al 2030 della strategia dell’Unione europea sulla biodiversità questa percentuale deve aumentare significativamente. “Le buone pratiche del progetto LIFE Seposso si rivolgono anche a chi dovrà realizzare trapianti con lo scopo di recuperare habitat degradati, attività che in futuro potranno e dovranno essere uno strumento fondamentale per la salvaguardia della biodiversità”, conclude Bacci.
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