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Ambiente / Attualità

La transumanza che resiste, tra memoria e riscoperta

La partenza della transumanza dalla Malga Dosso di Sotto, ad Asiago (VI) - © Pier Luca Grotto

I tratturi, le antiche vie degli spostamenti stagionali, resistono alla scomparsa.Grazie a pratiche collettive di tutela e riscoperta del territorio fatte camminando insieme agli animali. Per un pascolo più sostenibile

Tratto da Altreconomia 204 — Maggio 2018

C’è stato un tempo in cui “gli animali andavano a piedi”, come dice il maestro Franco Lorenzoni, fondatore dell’associazione Cenci-Casa laboratorio di Amelia (TR, cencicasalab.it). “Nel dopoguerra era naturale che i percorsi degli uomini seguissero quelli degli animali -dice-. Solo tra le campagne spopolate dell’Umbria e della Toscana si spostavano quasi un milione di pecore e molte famiglie della Majella, nel basso Abruzzo, usavano camminare con gli animali in transumanza fino in Puglia”. La transumanza era diffusa dalla Sardegna al Trentino-Alto Adige, tanto che “il ricordo visivo degli animali che andavano a piedi è ancora forte tra i più anziani, abituati a vedere masse di animali che si spostavano a piedi”, aggiunge Lorenzoni. Visioni sempre più difficili da incontrare, mentre “spesso oggi in autostrada vediamo i camion che trasportano animali vivi in condizioni orribili”.

8 gli elementi italiani iscritti all’Unesco dal 2008. L’ultimo, nel 2017, è l’arte dei pizzaiuoli napoletani

È questa la nuova transumanza nel mondo globale? Lo scorso marzo, il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali -un anno dopo aver iscritto la transumanza nel Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali (reterurale.it)-, ha ufficializzato con Grecia e Austria la candidatura all’Unesco di questa pratica di migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Per il ministero la transumanza va tutelata quale “elemento culturale dal forte contenuto identitario” che nel tempo “ha saputo creare forti legami sociali e culturali” tra chi l’ha praticata e i paesi attraversati, e in quanto “attività economica sostenibile”, basata su un legame tra l’uomo e la natura. L’importanza del patrimonio immateriale, infatti, sta “nella ricchezza di conoscenze e competenze che vengono trasmesse da una generazione all’altra”, spiega l’Unesco. Dal 2008 sono stati iscritti otto elementi italiani: l’ultima, nel 2017, è stata “l’arte dei pizzaiuoli napoletani”. Per preparare il dossier di candidatura (che sarà disponibile solo dopo l’esito della selezione, previsto per il novembre 2019) il ministero ha coinvolto le comunità locali che stanno contribuendo alla “valorizzazione e salvaguardia della transumanza, nonostante le difficoltà socioeconomiche e lo spopolamento delle aree rurali”. Tra queste c’è l’esperienza del “Tratturo magno” (tratturomagno.it), creata dal gruppo di lavoro Tracturo3000 per riscoprire, valorizzare e tutelare attraverso il cammino le storiche vie dei tratturi tra le province de L’Aquila e Foggia. “La transumanza è una pratica antica, diffusa lungo tutta la fascia mediterranea dal Medio Oriente all’oceano Atlantico, che ha guidato i popoli indoeuropei nelle loro migrazioni”, dice Pierluigi Imperiale, direttore del servizio veterinario Asl de L’Aquila, che si definisce un “custode” del Tratturo magno. “Ciò che teneva in piedi la transumanza lungo le vie dei tratturi era un sistema economico, giuridico e sociale che portava un importante contributo finanziario alle casse statali grazie alle tasse imposte a chi attraversava con gli animali queste strade di proprietà dello Stato in primavera dalle Puglie verso le montagne del Gran Sasso e in autunno in direzione contraria”, spiega Imperiale. Infatti, la stessa parola “pecunia”, che indicava il denaro, deriva “pěcus”, pecora. Tracturo3000 ha pensato di far riscoprire alla popolazione le vie dei tratturi percorrendole: da 12 anni, il 29 settembre pastori e appassionati si danno appuntamento davanti alla Basilica di santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, per la partenza di una staffetta che coinvolge 15 pastori, ciascuno con il suo gregge di 500 capi. Camminando dieci giorni, arrivano fino a Foggia, accompagnati dagli animali e dai cittadini dei paesi attraversati che si uniscono a questo percorso.

“Il principale prodotto della transumanza era la lana, non il formaggio o la carne, che invece avevano dei problemi di conservazione” – Pierluigi Imperiale

Storicamente, il principale prodotto della transumanza era la lana, spiega Imperiale, non il formaggio o la carne, che invece “avevano dei problemi di conservazione in questi lunghi viaggi. La lana era tosata a Foggia, lavata e tinta a L’Aquila e poi venduta nei mercati europei”. Il formaggio ha acquisito valore solo dopo, con l’abbandono dell’economia della lana e oggi “i formaggi dei tratturi, ricotte e pecorini, sono molto pregiati”. Antonio Aureli, che alleva 500 pecore ad Amatrice (RI, aurelibio.webnode.it) e produce formaggio bio a latte crudo, ricorda quando il suocero faceva la transumanza, “con oltre mille pecore e cinque persone che lo aiutavano” nel lungo percorso di andata da Roma sud -una settimana a inizio giugno- e poi ritorno i primi d’ottobre. “Allora il pastore viveva con le pecore, ma oggi in pochi sono disponibili a fare una vita così dura, lasciando la famiglia per stare in montagna tre mesi”, dice Antonio. E poi, “quelle erano pecore Sopravvissane: una razza rustica, abituata a dormire fuori al pascolo, che dava poco latte”. Le razze moderne degli allevamenti intensivi, invece, “producono molto latte, ma sono più esigenti e vanno alimentate in stalla”. Così, dagli anni Sessanta la transumanza a piedi è stata abbandonata in favore di mezzi come gli autotreni e i camion che viaggiano lungo le autostrade, mentre i tratturi stanno scomparendo “coperti dai cespugli, coltivati o cementificati”, dice Antonio.

Secondo l’antropologa Letizia Bindi “la transumanza è meno scomparsa di quel che sembra. Ciò che è residuale oggi è la forma iniziale della transumanza, così detta trasversale, che collegava le regioni interne dell’Abruzzo e del Molise con le aree costiere”, spiega la docente dell’Università degli studi del Molise, direttrice del centro di ricerca interdisciplinare Biocult (centrobiocult.unimol.it). “Questa forma è venuta a mancare con la caduta del regime economico che la governava, il crollo dei prezzi della lana e la crisi della vendita della carne di pecora per l’aumento nei consumi di carni vaccine”. Ma oggi c’è “un numero importante di giovani che stanno tornando a fare i pastori in tutta Italia”, aggiunge Bindi. Una riscoperta che spesso si associa a valori nuovi e positivi: la tutela del territorio, il rispetto degli animali e la valorizzazione di prodotti agroalimentari locali. “Sicuramente il percorso Unesco potrà dare una nuova forza a questo ritorno delle giovani generazioni alla transumanza, facendo da volano per la riscoperta dei territori attraverso pratiche sostenibili e di attenzione ambientale”, aggiunge Bindi.

Gianni Rigoni Stern a Suceska, in Bosnia ed Erzegovina, per il progetto “La transumanza della pace” - © La transumanza della pace
Gianni Rigoni Stern a Suceska, in Bosnia ed Erzegovina, per il progetto “La transumanza della pace” – © La transumanza della pace

I giovani sono i protagonisti anche della rinascita della pastorizia in Bosnia ed Erzigovina, dove nel 2009 Gianni Rigoni Stern (il figlio forestale di Mario) e l’artista Roberta Biagiarelli hanno avviato il progetto “La transumanza della pace” (che è diventato anche un documentario: babelia.org). “La transumanza è possibile solo in un territorio unificato e pacificato”, sottolinea a proposito Pierluigi Imperiale, ed è a partire da questo principio “La transumanza della pace” è riuscita a ricostruire il patrimonio zootecnico distrutto dalla guerra in Bosina ed Erzegovina. In nove anni, 134 vacche rendene dei pascoli del Trentino hanno raggiunto Sućeska, nella municipalità di Srebrenica. Il progetto -sostenuto dal basso con oltre 146mila euro per l’acquisto di macchine, attrezzi agricoli e per la ristrutturazione delle stalle, ma anche dalla provincia di Trento e dalla chiesa Valdese per la costruzione di tre nuove stalle- ha coinvolto finora 80 allevatori. “Restano delle difficoltà legate al nazionalismo e alla convivenza tra le etnie -spiega Gianni Rigoni Stern-, ma nei prossimi mesi vogliamo riuscire ad aprire un caseificio, dove le comunità locali potranno produrre i loro formaggi tradizionali”. Rispetto alla candidatura Unesco della transumanza, Rigoni Stern è chiaro: “Penso che si debba sempre guardare alla sovranità alimentare delle popolazioni e come consumatori abbiamo la responsabilità di fare delle scelte precise in questa direzione. La transumanza come pratica naturale consolidata nel tempo è sinonimo di qualità: speriamo quindi che si possa tutelare e riscoprire anche grazie a questo percorso Unesco”.

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