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Roma, Napoli e Milano: la trama delle diseguaglianze urbane
L’Istat ha provato a leggere gli squilibri sociali delle tre città italiane attraverso i percorsi del trasporto urbano, incrociandoli all’indice di vulnerabilità e all’indicatore di valore immobiliare. Il raccordo tra zone svantaggiate e zone benestanti è interessante, come spiega Giovanni Barbieri, direttore centrale per lo Sviluppo dell’informazione e della cultura statistica dell’Istituto
Lungo i suoi 72,4 chilometri, la linea metropolitana di Milano non serve le zone delle città con il più alto indice di vulnerabilità sociale. A Napoli, i circa 19 chilometri di metrò, collegano realtà molto diverse per valori immobiliari e condizioni sociali in una città dove la “distribuzione della vulnerabilità” ha un andamento “nettissimo”. Da Ovest, dove è più bassa, a Sud-est e a Nord, dove tocca le punte massime a Scampia. Poi c’è Roma (tre linee per 58 chilometri), con le sue “numerose presenze di zone vulnerabili” nell’area centrale della città (dall’Esquilino al Centro Storico, dal Foro Italico all’Università, dall’Aventino a Delle Vittorie) e da una loro “massiccia concentrazione” nelle aree vicine al Grande raccordo anulare, tanto a Nord-Ovest, quanto a Est.
Attraverso lo studio dei percorsi del trasporto urbano delle tre città italiane, l’Istat, nel suo ultimo Rapporto annuale sulla “Situazione del Paese”, ha provato a misurare la diseguaglianza sociale delle città e a ricostruirne così la “trama”. I risultati sono stati interessanti, sostiene Giovanni Alfredo Barbieri, direttore centrale per lo Sviluppo dell’informazione e della cultura statistica dell’Istituto e curatore (anche) di questo approfondimento di ricerca. Non è la prima volta che l’Istat si occupa dei gruppi sociali nelle grandi città, delle reti dei trasporti e del loro rapporto con il territorio. Ma l’ultimo Rapporto annuale centrato proprio sul tema delle “reti” ha fornito uno spunto per provare a ricostruire nel dettaglio quella “trama delle diseguaglianze urbane”.
“La lettura della diseguaglianza sociale delle città attraverso i percorsi del trasporto urbano ha precedenti accademici e, in Italia, anche un precedente letterario”, spiega Barbieri, riferendosi al romanzo “19” di Edoardo Albinati (2001). “Chi conosce Roma sa che il ’19’ è una delle poche linee tranviarie che attraversa la città dai quartieri alti fino all’estrema periferia di una volta, Centocelle. L’autore raccontava l’umanità di quel tram, considerando l’interclassismo della linea. Ecco, abbiamo voluto fare un esercizio dello stesso tipo con la nostra vocazione di statistici e osservare come le linee metropolitane mettano in risalto le differenze sociali delle varie parti della città e contemporaneamente le pongano in comunicazione”.
Motivo per cui per costruire la trama sono state rappresentate cartograficamente le diseguaglianze nella scala sub-urbana di Milano, Roma e Napoli utilizzando quelle che l’Istat definisce “due misure che descrivono, con segno opposto, le caratteristiche sociali ed economiche del territorio”. “La prima -si legge nel Rapporto- è l’indice composito di vulnerabilità sociale e materiale e la seconda è l’indicatore di valore immobiliare”.
Alle mappe ottenute l’Istat ha poi sovrapposto i tracciati delle linee metropolitane e percorso “idealmente le città per osservare i cambiamenti al loro interno e analizzare in quale misura quelle reti di trasporto costituiscano anche un raccordo tra zone urbane socialmente ed economicamente svantaggiate e zone benestanti”.
L’indice sintetico di vulnerabilità sociale e materiale è costruito dall’Istat sulla “combinazione ponderata” di diversi indicatori: l’incidenza della popolazione di età compresa tra 25 e 64 anni analfabeta e alfabeta senza titolo di studio, quella delle famiglie con 6 e più componenti, o con potenziale disagio assistenziale, in condizione di affollamento grave, o quella di giovani (15-29 anni) fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione scolastica o delle famiglie con potenziale disagio economico.
Il dettaglio territoriale dell’indice di vulnerabilità, spiega Barbieri, è “estremamente spinto”.
L’indicatore di valore immobiliare, invece, viene elaborato dall’Istat su dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare presso l’Agenzia delle entrate (anno 2016) ed è ottenuto come “media ponderata dei valori immobiliari per la popolazione delle sezioni di censimento nelle aree Omi stimate (euro per metro quadrato)”.
“Il confronto tra vulnerabilità e valore immobiliare ci ha permesso di capire che c’è una stretta correlazione: dove la prima componente è alta, il valore è basso, e così il contrario. Non abbiamo scoperto niente di nuovo, certo, ma si tratta di una conferma statistica a quello che il buon senso già conosce”. Con alcune eccezioni: “Nel quartiere di Roma dell’Esquilino -spiega Barbieri-, centrale e dentro le mura, quello cioè di Piazza Vittorio (Metro A), a fronte di valori immobiliari molto alti si registra un indice di vulnerabilità elevatissimo, paragonabili all’estrema periferia di Tor Bella Monaca. Al capolinea della linea A, Anagnina, invece, dove i valori immobiliari pari a 2.328 euro/m2 sono meno della metà di quelli dell’Esquilino, l’indice di vulnerabilità (circa 96) è inferiore a quello di Piazza Vittorio”.
Se lo scenario di Roma restituisce quella che Istat definisce una persistente “mixité sociale”, a Milano e Napoli, invece, risultano maggiormente evidenti “processi estremi di segregazione residenziale” e di “gentrification”.
Milano “conferma la sua struttura radiale”. La città infatti “Procede per espansioni a partire dal centro storico (incentrato sul Duomo e il Palazzo reale) per cerchi concentrici che si sono via via definiti nel tempo (la cerchia dei Navigli, i bastioni delle mura spagnole, la circonvallazione esterna, l’espansione della seconda metà del Novecento). Il centro storico è quasi del tutto terziarizzato, anche se persistono quote di residenti di lunga data per lo più anziani che fanno salire l’indice di vulnerabilità rispetto alle zone meno centrali adiacenti”.
Ma la linea metropolitana tesse i fili tra le zone: “Salendo alla stazione di Comasina (Linea 3-Gialla) -si legge nel Rapporto- ci troviamo in una zona con indice di circa 112. Dopo poche fermate, alla stazione di Zara, l’indice è sceso a 97, valore prossimo a quello rilevato alla fermata del Duomo, dove i valori immobiliari toccano il massimo (circa 7.500 euro m2). Proseguendo il nostro viaggio, e dopo qualche cambio di linea, ci troviamo a un capolinea della Linea 2-Verde, a Piazzale Abbiategrasso, dove l’indice di vulnerabilità è di circa 103 e le case costano 2.205 euro al m2”.
Napoli fa storia a sé. Al capolinea della linea 1 di Piscinola-Scampia l’indice di vulnerabilità è di 121, il massimo raggiunto nella città, e le case costano 1.100 euro al metro quadrato. Sulla stessa linea, alle fermate di Vanvitelli o Quattro Giornate, entrambe al Vomero, l’indice di vulnerabilità si attesta poco al di sopra di 95 e il valore della case è più che triplo (3.830 euro al m2). “La città è caratterizzata in un modo diverso -riflette Barbieri- e cioè dal fatto che i ‘poveri’, per utilizzare un’espressione impropria, cioè le classi meno abbienti, vivono a Est del porto fino all’estremo Nord della città. Mentre i quartieri ‘bene’ sono a Ovest, al di là di Castel Dell’Ovo, a Posillipo, al Vomero, a Chiaia, San Ferdinando, Arenella, San Giuseppe e Fuorigrotta, che senza l’Italsider ha cambiato natura. Questo evidente gradiente è una configurazione diffusa anche in altre grandi città europee, come Londra (dove emerge il contrasto tra il West End e East London) e Parigi (si pensi agli opposti arrondissement di Passy-XVI e Belleville-XX)”.
Da dove nasce questo punto in comune? “L’articolo che abbiamo citato nel rapporto (Heblich, S., A. Trew e Y. Zylberberg, 2016) è molto curioso -spiega Barbieri-: tra le altre cose mette in rilievo come nell’emisfero settentrionale, le correnti influenzate dalla rotazione del Pianeta, prevalentemente da Ovest a Est, abbiano inciso sull’impostazione delle città medioevali. I ricchi, in aree urbane senza fogne e con una gestione dei rifiuti a cielo aperto, non volevano affatto rimanere sottovento. Ecco spiegato un Ovest abbiente e un Est marginale”.
Napoli, come Milano, risulterebbe quindi “segregante” da un punto di vista residenziale. “Quando assistiamo a questi fenomeni -riflette Barbieri- riteniamo che questi siano sempre il frutto di un processo di esclusione di natura volontaria. Il premio Nobel Thomas Schelling, invece, aveva dimostrato già negli anni 60 come questi fenomeni possano essere anche il risultato non tanto di politiche discriminatorie quanto delle preferenze, da una parte e dall’altra, a vivere vicini allo stesso ‘gruppo sociale’ o della stessa provenienza etnica. Si tratta quindi di fenomeni che non si generano sempre e solo per la mano di cattivi pianificatori urbani ma anche a fronte della mobilità del mercato delle abitazioni, sufficientemente fluido. Basta che una ‘parte’ esprima comportamenti di acquisto con una determinata preferenza, perché si creino fenomeni di segregazione”.
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