Sport / Reportage
Tra pallone e rivoluzione: St Ambroeus Fc, la squadra che riscrive le regole
La squadra di calcio popolare del quartiere Gorla di Milano lancia una campagna di tesseramento ambiziosa. Oggi la società conta tre formazioni: una in terza categoria, una amatoriale con giocatori provenienti da 17 nazionalità diverse e una femminile. Il calcio non è tutto: il club è attivo infatti in numerosi progetti sociali, come l’organizzazione di corsi di italiano e altre iniziative di inclusione
“La prima volta che ho incontrato questa squadra sono stato subito colpito dall’energia travolgente dei tifosi. Ho pensato: voglio farne parte”. Così racconta Valentino, attaccante della squadra Csi del St Ambroeus Fc.
Il luogo di questa epifania è il quartiere Gorla di Milano. La squadra è il St Ambroeus, giunto al suo sesto anno, è una delle realtà più vivaci del calcio popolare in Italia.
Nato nell’aprile 2018 dall’unione di due squadre, Black Panthers e Corelli Boys, il progetto si è prefissato di offrire l’opportunità di giocare a calcio a persone ospitate nei centri di accoglienza. La squadra principale milita in terza categoria Figc, ma col tempo la società è cresciuta, includendo una formazione iscritta al Csi (campionato amatoriale) e, dal 2021, anche una squadra femminile, con l’obiettivo di competere nel campionato Csi a sette. Di recente è stata avviata anche una sezione juniores di ragazzi tra i 17 e i 20 anni.
Il St Ambroeus non è solo una società sportiva, ma un vero e proprio centro di iniziative sociali. Nel nostro Paese sono fiorite tante realtà di calcio popolare negli ultimi dieci anni, politicamente attive, e il St Ambroeus è simile alla romana Liberi Nantes. Oltre al calcio, organizza corsi di italiano, anche per prendere la patente, e distribuisce cibo ai senzatetto.
Un tratto distintivo del St Ambroeus è la sua tifoseria organizzata, l’Armata Pirata. Politicamente impegnata, non si limita a sostenere la squadra, ma si propone di decostruire il tifo razzista, con cori che spaziano dalla solidarietà alla Palestina fino alla critica del calcio commerciale dominato da finanza e pay tv.
Se l’Inter ha il biscione e il Milan il diavolo, il St Ambroeus ha scelto un piccione, l’animale spesso bistrattato e associato al degrado urbano. Questo simbolo, però, si eleva a emblema del club, apparendo fiero su tutte le maglie, stilizzato come una vetrata del Duomo. Il merchandising è particolarmente originale e creativo: ogni anno vengono prodotte magliette con illustrazioni inedite e ironiche, rendendo ogni collezione unica.
Il presidente Jonathan Misrachi racconta l’evoluzione della società negli anni. “La nostra squadra Csi, che chiamiamo ‘originals’, include giocatori provenienti da 15-17 nazionalità diverse e ha vinto il campionato provinciale lo scorso anno”. Le storie dei singoli giocatori sono spesso toccanti, come quella di Mohammed, che è riuscito ad arrivare in Italia dal Marocco percorrendo la rotta balcanica dopo aver attraversato il Mediterraneo nell’arco di quattro mesi.
Uno dei problemi più complessi che deve affrontare la squadra riguarda il campo, la Fair Play Arena di Viale Monza, condivisa con altre due società sportive popolari, la No League e Stella Rossa Rugby. Nonostante sia di proprietà comunale, il campo richiede urgenti lavori di ristrutturazione, per i quali, però, il Comune avrebbe messo solo ostacoli burocratici. L’assessora allo sport, Martina Riva, è stata duramente criticata non solo per l’assenza di dialogo su questo tema, ma anche per alcune dichiarazioni transfobiche fatte durante le ultime Olimpiadi di Parigi, riguardo alla pugile algerina Imane Khelif.
Misrachi sottolinea come l’azionariato popolare e il tesseramento siano essenziali per sostenere un progetto di calcio popolare come il St Ambroeus. “Siamo la prima squadra di richiedenti asilo e rifugiati di Milano”, afferma con orgoglio.
Durante l’assemblea annuale dell’8 settembre, diversi rappresentanti delle varie sezioni del St Ambroeus si alternano al microfono. La squadra femminile, ad esempio, adotta un approccio femminista per ripensare i ruoli interni: le decisioni sugli obiettivi della stagione vengono prese collettivamente dalle giocatrici, non dall’area tecnica. “Il calcio è uno strumento, non il nostro obiettivo finale”, ribadiscono.
Federico Gavazzi, allenatore della squadra Csi, mette in luce l’impatto sociale di una realtà come questa in una città complessa e spesso escludente come Milano. Quest’anno la squadra è stata in ritiro in Val Susa, partecipando a un torneo con i migranti ospitati a Oulx e organizzando incontri formativi con il sociologo Piero Gorza, oltre agli allenamenti regolari.
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