Terra, astronave fossile – Ae 67
L’energia “fossile” è agli sgoccioli, ma la soluzione definitiva non l’ha ancora trovata nessuno. Oggi la scelta più sensata -spiegano Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli- è puntare su conservazione energetica e risparmio “La Terra è un’astronave che viaggia nell’universo”, scrivete….
L’energia “fossile” è agli sgoccioli, ma la soluzione definitiva non l’ha ancora trovata nessuno. Oggi la scelta più sensata -spiegano Vincenzo Balzani e Nicola Armaroli- è puntare su conservazione energetica e risparmio
“La Terra è un’astronave che viaggia nell’universo”, scrivete. Stiamo esaurendo il carburante?
La nostra fame di energia viene soddisfatta per il 90% da combustibili fossili. Costituiscono una risorsa formidabile e con molti vantaggi, tuttavia si tratta di una situazione pericolosa: sono risorse una tantum, destinate a esaurirsi, che producono inquinamento e quindi sono causa del cambiamento climatico, un problema che si aggrava di anno in anno.
In sostanza, prendiamo del carbonio che stava immagazzinato tranquillo in fondo alla Terra in forma solida, liquida o gassosa, lo trasformiamo in gas e lo immettiamo in atmosfera. E non ce ne accorgiamo: facciamo il pieno, e dopo due settimane il serbatoio è vuoto. Non è che il motore si è mangiato la benzina, né questa è sparita: è stata trasformata in gas che è finito in aria, a parte quella piccola e trascurabile quantità di massa che è stata trasformata in energia per muoverci. Questo altera il ciclo del carbonio, e quindi il clima. Cosa stiamo facendo per combattere questa situazione? Il nuovo modello della mia auto è passato da 116 a 150 cavalli di potenza a parità di consumi: vuol dire che il motore è più efficiente. Ma la casa produttrice ha preferito utilizzare il guadagno di efficienza non per risparmiare benzina e inquinare meno, ma per far sì che io possa arrivare a cento chilometri orari un secondo prima.
Chi consuma risorse le esaurisce, ma chi consuma accumula anche rifiuti. La Terra è come un’astronave sulla quale viaggiano sei miliardi di persone: risorse e rifiuti sono a bordo, quindi vanno gestiti al meglio. L’unica entità extraterrestre su cui possiamo contare è l’energia del Sole.
La limitatezza delle risorse è un concetto molto chiaro per un chimico o un fisico, e tuttavia sembra quasi incomprensibile agli occhi di un economista.
Prendiamo per esempio la questione del picco di produzione del petrolio. Sono almeno 30 anni che gli studiosi dicono che stiamo raggiungendo il momento in cui la produzione di greggio sarà al massimo, per decrescere gradualmente. Fino a cinque anni fa il mondo economico derideva simili affermazioni. Vi cito una pubblicità della compagnia petrolifera Chevron pubblicata sul Financial Times negli ultimi mesi: “Ci sono voluti 125 anni per consumare il primo trilione di barili di petrolio. Consumeremo il prossimo entro 30 anni. Scopriamo un barile di petrolio ogni due che ne consumiamo. C’è qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci? Chiamiamo a raccolta le imprese, i governi e ogni cittadino di questo pianeta, perché siano parte della soluzione del problema, così come sono parte del problema stesso. Non possiamo farcela da soli”. La firma è dell’amministratore delegato, che nel frattempo in altre sedi può vantare utili record. Il fatto che le compagnie petrolifere si facciano pubblicità su una questione che fino a pochi anni prima rifiutavano è interessante: o si sono infiltrati elementi “pessimisti” in azienda, o finalmente anche loro hanno capito quello che sta accadendo.
Già da qualche anno Bp ha cambiato il suo nome da British Petroleum a Beyond Petroleum: oltre il petrolio. Scelte analoghe ha fatto Shell. Chi veniva tacciato di essere una Cassandra si prende le sue rivincite. Ma siamo ancora in tempo?
Non è ben chiaro se abbiamo superato il limite oltre il quale non sia più possibile tornare indietro. I cambiamenti climatici in atto sono avvenuti nel giro di pochi decenni: se abbiamo superato la soglia di irreversibilità su questo aspetto, non possiamo più fare nulla. Meglio non essere pessimisti. Tuttavia pensiamo che non ha molto senso investire in operazioni colossali come la sottrazione di anidride carbonica dalle ciminiere delle centrali elettriche, per convogliarla nelle viscere della Terra. Un colossale spreco di soldi e tempo, per vari motivi: la difficoltà di individuare siti geologici adatti per l’immagazzinamento, costi di un eventuale trasporto, perdite nelle condotte, sicurezza dello stoccaggio per millenni.
Non sarebbe meglio investire queste immense risorse in altro modo? La soluzione definitiva, l’asso nella manica, al momento non l’ha nessuno. Il problema energetico dovrà entrare in agenda a tutti i livelli. La gente e i politici devono convincersi: non si potrà passare di colpo a un sistema diverso, né la transizione, lenta e graduale, sarà indolore. Oggi la scelta più sensata è la conservazione dell’energia e al tempo stesso il risparmio. Non possiamo pensare di continuare a crescere nei consumi, che anzi devono diminuire. Per noi occidentali il livello potrebbe tornare addirittura a quello di 30 anni fa, senza grandi rinunce. Questa necessità si scontra con chi sostiene che il problema non è limitare i consumi, ma piuttosto aumentarli, ovvero sostenere la produzione di energia.
E qui rispunta l’idrogeno.
L’idrogeno è la finestra da cui potrebbero rientrare il carbone e il nucleare. Gli Stati Uniti, principali detentori di riserve di carbone, mirano all’autosufficienza energetica e alla sicurezza degli approvvigionamenti: quindi idrogeno dal carbone. Su questo hanno investito molto. Inoltre possono sostenere: tra pochi anni ci sarà l’idrogeno, non preoccupiamoci dei problemi energetici attuali. Nel frattempo però dovremo anche trovare qualcuno che voglia fare il minatore, visto che il carbone non esce spontaneamente dai giacimenti. Poi si dovrà tenere conto dei rifiuti generati dalla pulizia a monte del carbone (quello che viene furbescamente chiamato “carbone pulito”). Dove verranno messi e come verranno smaltiti? Il paradosso è che si utilizzerà altra energia per portarli chissà dove.
L’accesso alle risorse energetiche, oltre che un problema ambientale, ha a che fare con il tema più generale della giustizia globale.
Disponibilità energetica e sviluppo sono strettamente legati. Affinché i Paesi poveri dispongano di più energia dobbiamo limitare i nostri consumi, visto che le risorse non sono infinite. Per i Paesi più poveri è una necessità ma anche un’opportunità. La piattaforma energetica del Terzo mondo non ha strutture, o ne ha poche. D’altra parte, sarebbe assurdo iniziare a piantare tralicci e stendere cavi dell’alta tensione. È più semplice investire su tecnologie disponibili per le comunità locali, come quelle solari, piuttosto che pensare a infrastrutture non finanziabili. È un po’ come è accaduto con i telefoni cellulari in Africa, che si diffondono rapidamente senza che sia mai esistita una rete telefonica fissa capillare. Una dinamica riproducibile in ambito energetico che potrebbe essere utile anche a noi.
Perché il mondo accademico, che pur dispone di tutti gli elementi, sembra fare poco per incidere sulle scelte politiche?
Nel mondo accademico, ma non solo, c’è la tendenza a fare quanto di stretto interesse o pertinenza. Talvolta si manifesta una certa propensione a restringere l’orizzonte culturale, magari per rassegnazione. Bisogna poi anche ammettere che, spesso, i colleghi che si occupano di energia fanno i consulenti per aziende del settore. In queste condizioni, anche il mondo del sapere accademico, può smettere di essere super partes, un po’ come a volte capita tra certi medici e le case farmaceutiche. Poi c’è la disinformazione. Un esempio: su Famiglia Cristiana, a luglio, viene pubblicata una pubblicità a pagamento. Sono quattro pagine a colori riguardanti una serie di congressi organizzati dal ministero dell’Ambiente per dimostrare che il surriscaldamento del pianeta non è causato dall’uomo. Parole d’ordine: “Energia alimento del progresso”, “Ambiente è sviluppo”. Per l’occasione hanno convocato forse l’unico scienziato di alto livello che ritiene che il cambiamento climatico non sia causato dall’uomo. Nella scienza non vige il principio democratico, ma che il 95% degli scienziati non la pensa affatto così andrebbe comunque detto.
Vincenzo Balzani, 69 anni, è professore di Chimica alla facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, e membro dell’Accademia dei Lincei.
L’intervista che riportiamo è stata raccolta nel suo studio. Ha 69 anni. La sua attività di ricerca riguarda i campi della chimica e della nanotecnologia, con particolare interesse alla fotosintesi artificiale e alle macchine molecolari: la strada verso i computer miniaturizzati del futuro passa anche da qui.
Nicola Armaroli, 39 anni, è ricercatore all’Istituto per la Sintesi organica e la fotoreattività del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Si occupa di fotochimica e fotofisica e partecipa a progetti internazionali di ricerca su energia solare ed efficienza energetica.
“Paragoniamo l’energia utilizzata dai dispositivi e dalle macchine che usiamo tutti i giorni con quella che può essere ‘prodotta’ da un essere umano. Considerandone i consumi medi giornalieri, è come se un italiano avesse perennemente a disposizione 30 ‘schiavi energetici’ 24 ore su 24: 12 di questi schiavi hanno il compito di far funzionare la lavatrice, la Tv, lo stereo, l’aspirapolvere.
Per un’auto ne servono 1.600, per far decollare
un Boeing 600 mila”
Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani, Energia oggi e domani. Prospettive, sfide, speranze, Bononia University Press – 190 pagine, 22 euro.