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Terme: un affare da 1,6 miliardi. Ma alle Regioni solo poche gocce

I Bagni Vecchi di Bormio, del gruppo “QC Terme” che comprende anche gli stabilimenti di San Pellegrino Pré San Didier, Val di Fassa, Milano, Torino e Roma-Fiumicino. Nuove aperture previste a Chamonix in Francia e a New York - © shutterstock.com

Sono 489 le concessioni attive in Italia, gestite da 418 soggetti, prevalentemente privati. Il ministero dell’Economia ha dedicato uno studio alle “acque speciali” evidenziando scarso ricorso alle gare e canoni esigui per il loro sfruttamento

Tratto da Altreconomia 205 — Giugno 2018

Calidarium, tepidarium, frigidarium e natatio. Percorrendo l’asse centrale delle Terme di Caracalla a Roma si possono ancora notare le parti antiche dell’edificio principale delle Thermae Antoninianae, che cessarono di funzionare nel 537 d.C… Il termalismo, nel frattempo, è giunto fino ai giorni nostri assumendo forme diverse e interessanti. Soprattutto sotto il profilo economico. Di quest’ultimo aspetto se ne è occupato recentemente il dipartimento del Tesoro in seno al ministero dell’Economia, in particolare l’ufficio che si occupa della “Valorizzazione dell’attivo e del patrimonio pubblico”, realizzando il primo rapporto tematico intitolato “Le concessioni delle acque minerali e termali”. Così come le minerali, infatti, anche le acque termali sono considerate “acque speciali”, e il loro sfruttamento nel nostro Paese è regolato da uno “specifico regime autorizzatorio e concessorio”. Mentre la “tutela” ambientale delle acque è di competenza dello Stato, il loro “uso” è materia delle Regioni. Il che significa che ogni ente ha un proprio metodo per selezionare il concessionario o per determinare l’ammontare dei canoni. Qualche esempio: secondo l’indagine del ministero dell’Economia pubblicata nella primavera di quest’anno, solo Abruzzo, Calabria, Liguria, Sicilia e Toscana “hanno introdotto esplicitamente, nella propria normativa regionale, una procedura a evidenza pubblica come criterio di scelta del concessionario”. E da Regione a Regione cambiano le modalità di calcolo del canone o la periodicità della sua corresponsione.

1,7 milioni di euro è il canone versato nel 2015 alle Regioni dai gestori termali

Il patrimonio termale nazionale si misura prima di tutto attraverso le concessioni attive. Al 2015 -anno di riferimento dell’analisi ministeriale- quelle rilasciate erano 489, concentrate per circa il 60% in Veneto (146, specialmente nel bacino euganeo) e in Campania (135, soprattutto nell’Isola di Ischia). Quasi la metà delle concessioni censite dal rapporto sono state stipulate o rinnovate dopo il 2001 e nessuna, in teoria, potrebbe spingersi oltre i 30 anni. Accanto al numero delle concessioni e dei concessionari (418, quindi ciascuno ha mediamente in affidamento 1,17 concessioni) viene la superficie: 30mila ettari in tutto il Paese, con Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte a guidare la classifica. La maggioranza schiacciante dei soggetti che sfruttano le acque termali in concessione -quasi 9 su 10- sono società di capitali non partecipate da amministrazioni pubbliche. Quindi si tratta di privati. Quasi nessuno, però, ha stipulato la concessione dopo aver partecipato a una gara. “Fino al 2015 -riporta il ministero- la procedura a evidenza pubblica per la scelta del concessionario è stata utilizzata solamente in cinque casi, pari all’1,02 per cento del totale delle concessioni rilevate”. Eppure ben il 50% sono state stipulate o rinnovate, come detto, dopo il 2000. Non è finita. L’ammontare complessivo dei canoni dichiarato dalle Regioni al ministero per lo sfruttamento delle acque termali nel 2015 ammontava a 1,7 milioni di euro (481mila euro solo in Campania). Una goccia se paragonato al fatturato complessivo del settore fotografato l’ultima volta nel 2013 dalla “Federazione italiana delle industrie termali delle acque minerali e del benessere termale” (Federterme, Confindustria): 1,6 miliardi di euro. Quindi, ipotizzando che il fatturato sia rimasto lo stesso nel 2015 (una “sottostima”, secondo il dipartimento del Tesoro) gli stabilimenti termali italiani avrebbero pagato per i canoni di concessione mineraria un importo “pari a circa lo 0,1 per cento del fatturato del settore” (il virgolettato è del Tesoro). Con il paradosso del Veneto: “Nonostante sia la Regione con il maggior numero di concessioni rilasciate -annotano i tecnici del ministero dicendosi ‘sorpresi’-, consegue introiti di poco superiori all’8 per cento del totale nazionale”. Motivo: la “mancata previsione di una componente variabile del canone”.

La piscina esterna delle terme di Sirmione (BS). Le cure termali sono a carico del Servizio sanitario nazionale per chi sofre di malattie reumatiche, dermatologiche, ginecologiche e vascolari - © shutterstock.com
La piscina esterna delle terme di Sirmione (BS). Le cure termali sono a carico del Servizio sanitario nazionale per chi sofre di malattie reumatiche, dermatologiche, ginecologiche e vascolari – © shutterstock.com

Interpellata sul punto da Altreconomia, Fedeterme ha riconosciuto il “lavoro di sicuro interesse” svolto dal ministero ma ha voluto comunque “mettere in luce alcuni aspetti, che non risultano, a nostro avviso, sufficientemente evidenziati”. Il primo riguarda le (mancate) gare. “Le terme erogano in primis prestazioni sanitarie, quasi sempre in regime di accreditamento, e che, per tale ragione, le procedure di evidenza pubblica previste dalla normativa comunitaria non trovano applicazione al rilascio e al rinnovo delle concessioni termali -afferma Federterme-. Pertanto, il 45% delle concessioni che dovranno andare al rinnovo entro il 2021, potrà essere rinnovata secondo quanto previsto dalle leggi regionali già vigenti prima del recepimento nel nostro ordinamento della ‘Direttiva Bolkestein’ e che, da un lato, non contemplano forme di rinnovo ‘automatico’ e, dall’altro, garantiscono comunque forme adeguate di pubblicità”. Il secondo punto che va chiarito secondo Federterme riguarda i canoni e il confronto con il fatturato del settore. “Riteniamo più corretto che il raffronto sia fatto tenendo conto del fatturato riferito alle sole prestazioni per le quali si ricorre all’uso dell’acqua termale (prestazioni di cura, piscine, benessere termale) depurato di altre voci quali i ricavi per la ricettività alberghiera, la ristorazione”. Rifacendosi a questo metodo, però, cambia il decimale ma non la sostanza. “La percentuale -riconosce la stessa Fedeterme-, passa così dallo 0,1% del Tesoro all’1,5%”. Le “cure termali” sono a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) per chi ad esempio ha malattie reumatiche, dermatologiche, ginecologiche, vascolari. Le prestazioni (ovvero cicli di cure) possono essere “erogate” a tutti e a coloro che sono assistiti da INAIL o INPS nei centri accreditati presso il Ssn. L’ultimo accordo sulle “prestazioni termali” è quello sottoscritto nel febbraio 2017 tra la Conferenza delle Regioni e Federterme, valido per il triennio 2016-2018. Un allegato dell’accordo è il censimento delle strutture termali operanti in Italia realizzato dalla direzione generale della Prevenzione sanitaria presso il ministero della Salute.

Tra quelle “accreditate” non ce n’è nessuna del gruppo “QC Terme”, tra i principali gruppi industriali italiani, attivo nel Paese e all’estero, in grado nel 2017 di realizzare ricavi per 75 milioni di euro (più 12% sul 2016) e attirare 1 milione di “visitatori” in quelle che presenta come le “migliori terme italiane”. QC sta per Quadrio Curzio, la famiglia lombarda che ha legato la sua storia “termale” alle strutture di Bormio (SO). Oggi è presente a San Pellegrino (BG, in affitto dal gruppo Percassi), Pré Saint Didier (Valle d’Aosta), in Val di Fassa. E poi a Milano, Torino, Roma-Fiumicino. Andrea Quadrio Curzio è membro del cda della milanese MAP Srl, che detiene a sua volta il 100% delle singole società attive nelle diverse località. “Il gruppo ‘QC’ ha smesso da tempo di convenzionarsi con il Ssn -spiega Quadrio Curzio ad Altreconomia- perché ci siamo accorti che quel tipo di approccio obbligava a concentrarsi prima sul conto economico piuttosto che sulle persone. E a furia di ridurre i costi i servizi sono scadenti”. Mollate le cure, il gruppo si concentra su servizi “accessori e complementari a quello che era l’esperienza termale”, spiega l’imprenditore. In due parole: turismo termale. La formula funziona talmente bene che le persone frequentano i centri QC Terme anche quando non c’è una goccia di acqua termale, in strutture cioè che non devono versare alcun (misero) canone per lo sfruttamento delle “acque speciali”. Quadrio Curzio non ne fa mistero. “A Milano, Torino, Roma non abbiamo acqua termale”, spiega, aggiungendo poi come proprio in questi centri le prestazioni siano state le più interessanti. “Le persone cercano di passare momenti piacevoli”. Per il rimando continuo al concetto di “terme”, la Federazione di Confindustria ha segnalato più volte il gruppo QC alla magistratura e ai Nas. “Hanno sempre avuto torto, la nostra è una semplice evocazione”, replica Quadrio Curzio. Nel frattempo, a metà gennaio 2018 il gruppo ha sottoscritto un atto di pegno sulle quote della MAP Srl con Unicredit e Bpm per un finanziamento a lungo termine da 40 milioni di euro. “A luglio 2018 apriamo a Chamonix, in Francia -conclude Quadrio Curzio- e alla fine dell’anno prossimo a New York”. Con o senza acqua termale.

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