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Tavoli tra i cavoli – Ae 91

L’esperienza di Estravagario, ristorante bolognese vegetariano e biologico dove tutto è a “chilometro zero”. Anche i clienti “Estravagario” è un locale luminoso e semplice, spontaneo come un’erba di campo. È nato tre anni fa sotto un cavolo di “Dulcamara”, storica…

Tratto da Altreconomia 91 — Febbraio 2008

L’esperienza di Estravagario, ristorante bolognese vegetariano e biologico dove tutto è a “chilometro zero”. Anche i clienti


“Estravagario” è un locale luminoso e semplice, spontaneo come un’erba di campo. È nato tre anni fa sotto un cavolo di “Dulcamara”, storica fattoria biologica e sociale sui colli bolognesi (vedi box), ma ha preso casa in città, a Bologna, in via Mascarella, proprio ai confini della zona universitaria. Una scelta che Silvano, venti anni di biologico pionieristico e “sopravvivenza” rurale, rivendica senza tentennamenti: “Gli ideali e gli obiettivi sono sempre gli stessi ma abbiamo deciso di misurarci con la dimensione urbana e di accettare la sfida economica e imprenditoriale della gestione di un locale”. Estravagario, caffè equosolidale e ristorante vegetariano e biologico, prende in prestito il nome da una poesia di Pablo Neruda, ma il suo incipit quotidiano ha la prosa del bar di quartiere: al mattino presto sprigiona l’aroma del caffè (equo) e dei muffin biologici ai frutti di bosco. Poi, all’ora di pranzo, i 40 coperti, tavoli e sedie di legno grezzo rifiniti con tinte naturali, si affollano per un paio di turni e anche più. Un primo abbondante o un secondo più contorni -dalle lasagne (vegetariane) al seitan all’arancia- costano 5 o 7 euro. Le merende e gli spuntini durano fino al tardo pomeriggio. La sera e la domenica si chiude, ma -novità recente- venerdì e sabato si può cenare e tirar tardi chiacchierando. Silvano e gli altri due soci, Antonella, la sua compagna, e Lucio, si dividono tra bancone, cucina e sala. Hanno costituito una Snc (Società in nome collettivo), in altre parole stesse responsabilità e stessi doveri in solido per tutti. Gli altri lavoratori, Bruno che volteggia tra la cucina e i tavoli, Giovanna e Francesca, hanno un contratto del commercio e guadagnano più o meno la stessa cifra dei tre soci, 1.000 euro o giù di lì. “L’obiettivo -spiega Silvano- è arrivare presto a 1.500”. La cura per il lavoro e al sociale è quella riservata alle piante in germoglio: “Chi lavora in cucina fa quattro giorni alla settimana, perché è molto faticoso”. I fornelli e la sala inoltre sono state l’incubatrice per la formazione al lavoro di giovani seguiti dai servizi di igiene mentale della locale Ausl.

Silvano, a ribadire la sua storia contadina, oggi vive ancora in campagna, dove conduce i 15 ettari dell’azienda agricola La Ronza, insieme a Dulcamara una dei principali fornitori della cucina. Estravagario è infatti per antonomasia un locale “a chilometri zero”. I prodotti arrivano da un manipolo di aziende agricole biologiche locali: “Di vanga e di zappa” è il nome di un piccolo consorzio che smuove la terra e produce circa i due terzi degli ingredienti destinati alla tavola: tra filiera corta biologica e commercio equo precedenza alla prima. Verdure, legumi, farine, uova, formaggi, vino, miele, marmellate (vedi box). Spezie, caffè, tè, tisane, zucchero, dolci confezionati provengono invece dalla bottega

Ex-Aequo e dal consorzio Ctm altromercato. Ma c’è qualcosa di più. Anche i clienti sono a chilometri zero: “La gran parte dei nostri avventori abitano o lavorano in un raggio di 500 metri, a portata di bici insomma -spiega Silvano che ama stare vis a vis con la sua clientela-. Non sono solo studenti, come avevamo immaginato all’inizio, ma anche operai e impiegati, ricercatori e professori universitari, stranieri e ragazzi del centro sociale vicino che un piatto lo sfangano sempre. A costo zero!”.

Non finisce qui. I prodotti sono anche

“a tempo zero”. Gli ortaggi, dalla terra alla tavola, quasi non fanno in tempo a perdere la loro zolla. Qui l’insalata è una litania selvatica: amaranto, tarassaco, radicchio, ortica, chenopodio, pikris, cicoria, senecione, margherite. Tant’è vero che il lavoro inizia molto presto la mattina: pulire la verdura ancora bagnata non è come infornare nel microonde un surgelato. Solo in febbraio-marzo c’è una deroga per

far arrivare qualche ortaggio dalla Sicilia.

Silvano ora parla di Estravagario come di un figlio in età matura cresciuto bene, autonomo e in salute: “Siamo una solida realtà di quartiere. Un punto d’incontro casalingo, non solo per addetti ai lavori e fricchettoni, ma per tutti. Siamo il prodotto naturale di una rete di solidarietà e passaparola, il luogo ideale per le discussioni da bar, ma dove non si alza mai la voce. Grazie alla mediazione del cibo possiamo fare anche cultura -aggiunge-. Ogni mese un incontro con un’associazione, cui rimane il 20 per cento del ricavato della serata”. Oppure presentazione di prodotti, progetti, libri, video, come illustrano i volantini dell’angolo riviste e bookcrossing. Il viatico? Un menù fisso a 20 euro. Ma è quando assaggio la polenta di castagne ai funghi che si svela il segreto di Estravagario: una cucina commovente per l’aerea semplicità e la qualità delle materie prime. Crema di carciofi da accompagnare a focaccette e pane fatto in casa. Taglierini con sugo vegetariano ai pinoli e seitan, riso con anacardi e ananas, medaglioni di zucca al forno con un’insalata non solo ornamentale. L’altro segreto sono i prezzi, parte integrante della filosofia del locale. 20-25 euro per una cena che ti soddisfa sensi e tasche. “Non li abbiamo mai ritoccati -argomentano i soci- perché il nostro obiettivo è avvicinare al biologico anche la gente comune”. La clientela ringrazia e cresce, eterogenea ma fedele. La serranda si chiude con i progetti per il futuro. “Vorremmo rimanere così  -sorride Silvano- tutt’al più ottimizzare, ridurre gli scarti, proporre serate cena-cinema. Una dimensione maggiore non farebbe che snaturarci. Non ci interessa”.



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Cucina meticcia tra cous cous e gnocchi fatti in casa

“Per salire al cielo occorrono due ali e un violino e tante cose infinite…”. La cucina meticcia di Estravagario, biologica e vegetariana, con qualche incursione nel vegan, ha invece infiniti piatti. Il menù cambia ogni giorno, rielaborando le più diverse tradizioni -nazionali e internazionali- con mano sicura e ingredienti freschissimi: verdure di Dulcamara, ciliegie e albicocche di La Ronza, piante aromatiche di Agriverde, cooperativa che dà lavoro a persone con disagio psichico, Cabernet sauvignon dell’azienda vitivinicola Zuffa, gli ortaggi dell’azienda biodinamica Pedretti. Nella lista cous cous integrale palestinese con spinaci selvatici, senecione e pikris, pasta o gnocchi fatti in casa con verdure (carciofi, radicchio), zuppe d’orzo e farro, torte di verdure, insalate con piante spontanee. Estravagario, caffè equosolidale e cucina biologica, è in via Mascarella 81/H a Bologna. È aperto dal lunedì al venerdì dalle 7.30 alle 19, il venerdì e sabato la sera. Tel.: 051-42.10.582.



Le utopie concrete di Dulcamara

La cooperativa “Dulcamara”, da cui Estravagario prende le mosse, è una fattoria nel Parco regionale dei Gessi bolognesi, terra rastrellata dai calanchi dell’Abbadessa a 15 chilometri da Bologna. Da 25 anni un vero e proprio laboratorio rurale di economia alternativa. Un progetto che lievita bene, come nei forni di terra cruda che hanno imparato a costruire: 13 ettari di prodotti biologici con vendita diretta, ospitalità e bio-osteria -piacevoli e informali- fattoria didattica, biogiardinaggio, equitazione campestre. Una vera fucina di “utopie concrete”: ne sono prova l’inserimento formativo

e lavorativo di persone con problemi psichici, il ricorso all’energia fotovoltaica, l’impianto di fitodepurazione e -non a caso- la scuola permanente d’alimentazione

e cucina biologica e vegetariana. Coop. Dulcamara, via Tolara di sopra, 78 – Ozzano Emilia (Bo), 051-79.66.43, www.coopdulcamara.it

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