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Tatawelo, il caffè dei Gas
Dal 2005 i consumatori solidali prefinanziano i produttori del Chiapas, nel Sud-est messicano. Nel 2013 sono stati raccolti oltre 99mila euro. La distribuzione avviene dai magazzini di LiberoMondo, che negli ultimi anni ha lanciato anche una propria linea di caffè utilizzando la stessa materia prima —
Le bacche del caffè sono frutti della terra, Ssit Lequil Lum in lingua tzeltal, quella parlata da uno dei popoli indigeni del Chiapas, nel Sud-est del Messico. Insieme ai chol, gli tzeltal vivono nella Zona Norte dello Stato (la città più importante è Palenque, a pochi chilometri dalle rovine Maya), dove ha sede la cooperativa “Ssit Lequil Lum”, che produce, ed esporta, caffè. “Ha 550 soci, cinquanta delle quali donne” spiega Estela Barco Huerta, coordinatrice generale di DESMI, una ong di San Cristobal de Las Casas: DESMI accompagna il lavoro della cooperativa, formando i tecnici alle pratiche agro-ecologiche, che permettono di coltivare i cafetales senza ricorrere a prodotti chimici, e il direttivo affinché possa eseguire in piena autonomia tutti i “passi” relativi all’export del caffé. Che arriva anche in Italia, grazie all’associazione Tatawelo e alla cooperativa sociale LiberoMondo. La seconda (www.liberomondo.org) è attiva come importatore nel mercato del commercio equo e solidale, mentre la prima (www.tatawelo.it) riunisce una ventina di volontari in tutta Italia e dall’autunno del 2005 rappresenta una porta sul Chiapas per i consumatori critici italiani: 10 tra Gas e botteghe del mondo parteciparono quell’anno alla prima campagna di prefinanziamento, acquistando il caffè che sarebbe arrivato nel 2006: “Raccogliemmo 12.500 euro -spiega Cristina Cozzi, la vicepresidente-, mentre per la ‘campagna 2014’ siamo arrivati a circa 99mila”. Le realtà aderenti ormai sono circa 170, e sono in attesa del loro caffé, che dal porto di Veracruz viaggia fino a Genova, e da lì arriva a Diano d’Alba (CN), dove viene torrefatto.
La distribuzione avviene dai magazzini di LiberoMondo, che negli ultimi anni ha lanciato una linea di caffè, che si chiama Progetto Tatawelo. Chi acquista un pacchetto in bottega finanzia con 10 centesimi i progetti dell’associazione, che in questo momento riguardano -in particolare- i lavori di ammodernamento della bodega di Jolja, il magazzino dove la cooperativa Ssit Lequil Lum stocca il caffè in attesa di esportarlo. Venne costruito nei primi anni Duemila grazie alla ong Mani Tese, attiva a sostegno della comunità indigene zapatiste. Quelle, cioè, vicine all’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN), movimento che il 1° gennaio 1994 si sollevò in armi per chiedere -tra l’altro- una riforma agraria, salute ed educazione per tutti i messicani indigeni. “I soci della Ssit Lequil Lum sono solo zapatisti -spiega Estela Barco di DESMI-: hanno deciso così in assemblea”. Il timore è che altri possano affiliarsi alla cooperativa solo per ottenere un prezzo migliore per il proprio caffè. Manca la fiducia, che è ancor più necessaria se -come ha fatto Ssit Lequil Lum- si rinuncia a una certificazione biologica esterna, per seguire un manuale elaborato con l’aiuto di DESMI: “Noi formiamo promotori locali e municipali, tecnici locali e municipali incaricati dei controlli. I soci, annualmente, presentano il proprio piano di lavoro, che viene verificato” spiega Estela: il caffè cresce all’ombra di alberi da frutto e non, circondato da altre coltivazioni orticole; i pesticidi sono banditi, il compost è solo organico. I frutti della Madre Terra serviranno anche alle prossime generazioni. —