Interni
Sui mercati in equilibrio instabile
Nei prossimi anni nasceranno i “futures” sul latte, scommesse finanziarie: sono i meccanismi che hanno trascinato verso l’alto i prezzi dei cereali, danneggiando i produttori —
"Con il superamento delle quote latte assisteremo al passaggio da un sistema stabilizzato e abbastanza protetto a uno molto instabile, caratterizzato da una forte volatilità dei prezzi del latte e dei suoi prodotti derivati”. Il professor Gabriele Canali è docente di Economia e politica agroalimentare presso la Facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza, e membro del Gruppo 2013, che fa parte del Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione promosso da Coldiretti.
Superate le quote ecco il mercato. Qual è futuro del latte?
La scelta della Commissione europea, che ridurrà le protezioni poste a tutela del settore per avvicinare le dinamiche del mercato interno del latte a quelle internazionali influenzerà gli equilibri mondiali in termini di maggiore instabilità, aumento dell’incertezza e conseguente aumento del rischio. Come è già successo per altri mercati.
Quali?
Penso ai prodotti ortofrutticoli freschi, che da sempre sono i meno protetti dall’Ue. I prezzi di questi conoscono infatti oscillazioni non solo legate a stagionalità o fattori climatici, ma anche fenomeni di mercato ampi, che possono stravolgerne il valore da un mese all’altro. Penso anche ai cereali: dal 2007, con la riforma dell’allora commissario europeo all’Agricoltura Franz Fischler, ci furono un’ulteriore riduzione dei meccanismi di intervento a protezione del settore e il disaccoppiamento: questi elementi hanno contribuito a trasmettere anche sui mercati europei le spaventose oscillazione dei prezzi verificatesi sui mercati mondiali.
Per il latte si prefigura l’utilizzo di strumenti come i future. Che significa?
I future costituiscono sulla carta delle coperture rispetto al rischio legato a consegne future. Garanzia che può tradursi però in uno strumento speculativo. Per capirlo bisogna tornare alla bolla 2007-2008. All’epoca ci trovammo in una situazione nella quale gli andamenti dei mercati cerealicoli 2005-2006 erano stati negativi per condizioni climatiche del pianeta. Questa riduzione, unita alle prospettive di mercato (alla domanda potenziale dei nuovi Paesi consumatori), ha creato un interesse a speculare sull’andamento dei prezzi dei cereali, in vista di un possibile aumento di questi. Una dinamica “normale” cui si aggiunse un fattore: con l’esplosione della bolla immobiliare, a partire dall’estate del 2007 un’enorme liquidità in capo a investitori venne quindi diretta alla ricerca di nuove opportunità. E una quota si è scaricata sui mercati a termine dei prodotti agricoli, in previsione -di nuovo- di un aumento dei prezzi. Ciò ne ha comportato un trascinamento enorme verso l’alto (più 70-80%), determinando scenari drammatici per quanto riguarda l’accesso al cibo. Mi permetto di ricordare un altro fatto, e cioè le politiche a sostegno delle fonti rinnovabili che hanno consentito l’utilizzo di materie prime agricole: bioetanolo negli Usa, biodiesiel in Europa, biogas da materie prime agricole. Questa nuova destinazione reale per una quota importante di prodotto, con forti incentivi pubblici, ha contribuito a creare tensione sui mercati e sulle produzioni zootecniche.
Tensioni che potrebbero investire anche il latte.
Il rischio è su due fronti: per chi consuma e per chi produce. Da una parte c’è la volatilità del prezzo del prodotto finale: il latte e i suoi derivati. Dall’altro c’è una forte instabilità delle materie prime per l’alimentazione delle vacche da latte: mais, soia, orzo.
La Commissione non sembra intenzionata a introdurre strumenti efficaci per garantire il primo anello del settore (i produttori), permettendo loro di vedersi riconosciuto un prezzo ragionevole.
Esiste un problema di ripartizione adeguata del valore aggiunto dentro la filiera, fatta di produttori agricoli, industria di trasformazione e grande distribuzione organizzata. Lo sviluppo enorme di quest’ultima, negli anni 90, ha spostato gli equilibri, a sfavore delle prime due fasi della filiera. Penso dunque a tavoli contrattuali seri dove ci siano poche organizzazioni di produttori ben strutturate -che conoscano i mercati- e con modalità contrattuali moderne, anche diverse da quelle attuali che spesso non funzionano. L’indicizzazione perciò può essere una risposta, almeno per una parte di questi contratti, ma solo se giudicata soddisfacente dalle parti e frutto di accordi.
Altre modalità possono e dovranno essere studiate e applicate tra controparti che imparino a operare in modo più moderno e in un mercato ormai “senza rete” per nessuno. —