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Ambiente / Varie

Stoccaggi gas, che fine ha fatto il rischio industriale?

La "direttiva Seveso" impone di tenere sotto controllo alcuni impianti industriali considerando i pericoli causati da eventuali incidenti rilevanti. Da fine 2009, dovrebbe essere applicato anche agli impianti utilizzati per immagazzinare gas naturale: nessuna istruttoria è però terminata. Mancano i Piani di emergenza esterna e l’Italia non rispetta la legge comunitaria

L’articolo 38 della legge “Sblocca-Italia”, la n.164 dell’11 novembre 2014, conferisce ai progetti di stoccaggio sotterraneo di gas naturale presenti nel nostro Paese – così come alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi – “carattere di interesse strategico […] pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. Lo fa al fine di garantire la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali e “la sicurezza degli approvvigionamenti”. Ma a questa sicurezza degli approvvigionamenti corrisponde la sicurezza degli impianti? Dal punto di vista strutturale tutti gli operatori rassicurano sul rispetto di elevati standard di sicurezza, ma dal punto di vista normativo le cose stanno diversamente, innescando alcuni dubbi sul ruolo italiano di hub europeo del gas pianificato con la Strategia energetica nazionale (Sen) del governo Monti, e rafforzato dalla legge Sblocca-Italia del governo Renzi.

Ad essere disattesa è la direttiva Seveso, la 96/82/CE. Ma andiamo con ordine. 

Il 21 ottobre 2009 i ministeri dell’Interno, dello Sviluppo economico e dell’Ambiente trasmettono una circolare a Prefetture, Regioni, Comitati tecnici regionali e Vigili del fuoco nella quale vengono forniti gli indirizzi per la corretta applicazione del decreto legislativo n.334 del 17 agosto 1999, “in materia di controllo dei pericoli di incidenti rilevanti”, anche agli stoccaggi sotterranei di gas naturale, fino a quel momento esclusi dalla Seveso. Disposizioni “finalizzate a prevenire gli incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente”. Nei primi mesi del 2010 le società titolari delle concessioni di stoccaggio vigenti – e poi quelle in corso di autorizzazione – presentano, come stabilito dal suddetto decreto legislativo, il rapporto di sicurezza preliminare al ministero dell’Ambiente, alla Regione, alla Provincia, al Comune, al Prefetto e ad un Comitato tecnico regionale composto dai Vigili del Fuoco, rappresentanti dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente regionale, dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, di Regione, Provincia e Comune. A questo punto, entro 4 mesi dalla ricezione del rapporto di sicurezza preliminare, il Comitato tecnico regionale avrebbe dovuto avviare un’istruttoria, esaminare il rapporto, esprimere proprie valutazioni ed eventualmente concludere positivamente l’istruttoria tecnica o esprimersi con divieto di esercizio. Dalla lettura dei verbali dei Comitati tecnici delle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna ed Abruzzo – ospitanti i principali impianti operativi in Italia, intorno ai quali ruota la capacità nazionale di stoccaggio e l’approvvigionamento strategico europeo – non risulta alcun atto conclusivo di tutte le istruttore tecniche. In sostanza, a 4 anni abbondanti dall’entrata in vigore della Seveso per gli stoccaggi italiani – quindi ben oltre i termini imposti – i Comitati tecnici regionali non hanno rispettato la legge comunitaria, esponendo l’Italia al rischio di una nuova infrazione, come avvenne nel 2003, proprio per la Seveso. 



La Commissione europea, tra le altre cose, con l’infrazione 2003/2014, portò al rafforzamento del diritto della popolazione interessata all’informazione sulle misure di sicurezza per mezzo dei piani di emergenza esterna. A richiamarlo è l’articolo 20 del decreto legislativo n. 334 del 17 agosto 1999, con il quale “sulla scorta delle informazioni fornite dal gestore” e “delle conclusioni dell’istruttoria, ove disponibili” obbliga le Prefetture – d’intesa con gli Enti locali interessati -, a predisporre ed attuare il piano di emergenza esterno. Ed anche in questo caso per i principali impianti di stoccaggio italiani mancano i piani di emergenza esterni. Accade per i progetti “Fiume Treste” in Abruzzo, “Brugherio”, “Settala”, “Sergnano”, “Ripalta” e “Bordolano” in Lombardia (solo per per quest’ultimo il piano di emergenza è disponibile parzialmente, per una parte degli impianti), tutti della Stogit (Stoccaggi gas Italia), ovvero il maggiore operatore italiano, e tra i principali in Europa, che arriva a stoccare quasi 12 miliardi di metri cubi di gas all’anno, oltre ai 4,5 miliardi di metri cubi di riserva strategica.

Nel merito, l’azienda ha ottemperato a quanto richiesto dalla Seveso, come abbiamo potuto leggere nel verbale conclusivo di una serie di visite ispettive di Arpa e Vigili del fuoco presso l’impianto di Sergnano, in provincia di Cremona. Ddal quale si evince però anche il totale immobilismo di Enti locali e Prefetture.




Nel merito, invece, non si è ancora espresso il ministero dello Sviluppo economico, per il quale la sicurezza dovrebbe rappresentare una delle principali prerogative. Sul sito dell’Ufficio nazionale minerario per gli Idrocarburi e la geotermia (Unmig), infatti, è possibile leggere che “l’applicazione coordinata delle normative di sicurezza mineraria (di competenza dei tecnici del Ministero dello sviluppo economico) e della normativa ‘Seveso’, relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti (di competenza dei Comitati Tecnici Regionali (CTR) presieduti dai comandanti regionali dei Vigili del Fuoco), garantiscono alti livelli di sicurezza per i lavoratori e la popolazione. In particolare l’esame del progetto da parte dei CTR, finalizzato alla identificazione e quantificazione del rischio, permette la definizione e l’applicazione di programmi di prevenzione e protezione della popolazione specifici per ogni impianto”. Pertanto, allo stato attuale, mancano i “programmi di prevenzione e protezione della popolazione”. Per gli impianti già esistenti. Per i nuovi progetti, invece, la situazione è da tenere sotto controllo, tra nulla-osta di fattibilità richiesti ed autorizzazioni ministeriali ricadenti in regime di Sblocca-Italia. 



L’assenza dei Piani di emergenza esterna è oggetto di battaglia quotidiana per il Coordinamento comitati ambientalisti della Lombardia, che ha più volte sollecitato la Regione sulla situazione degli impianti localizzati in provincia di Cremona, in conflitto con i Piani di governo del territorio. A Cornegliano Laudense (Lodi), invece, il locale comitato di cittadini che si batte contro il progetto di stoccaggio “Cornegliano” della Ital Gas Storage si è rivolto direttamente alla Procura di Milano, inviando un esposto nel quale si evidenza la non applicazione della Seveso, unitamente ad altre criticità dell’opera di carattere tecnico ed ambientale. Lo stesso ha fatto agli inizi del 2014 il gruppo di Rifondazione comunista di Cupello in merito alla mancanza del piano di emergenza esterna per lo stoccaggio “Fiume Treste”. Siamo in Abruzzo e la Procura interpellata è quella di Vasto (Chieti).

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