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Stefano Cucchi, pestaggio di Stato
di Duccio Facchini —
Seconda udienza del processo d’Appello per la morte del 31enne romano occorsa il 22 ottobre 2009. Dodici gli imputati dinnanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Roma. In oltre tre ore l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, ha ricostruito il dramma di Stefano, vittima di un atroce "schiaffo del soldato". E che abbiamo ricostruito minuziosamente nel libro "Mi cercarono l’anima. Storia di Stefano Cucchi"
“Si è trattato di un pestaggio di Stato. E lo Stato deve rintracciare i responsabili”. Lunedì 6 ottobre è toccato alle parti civili iniziare la seconda udienza del processo di Appello per la morte di Stefano Cucchi, presso l’aula della Corte d’Assise d’Appello della cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio. Dodici gli imputati: tre agenti di polizia penitenziaria, sei medici e tre infermieri dell’ospedale carcere Pertini.
Prendendo la parola, l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi insieme tra gli altri all’avvocato Alessandra Pisa, ha scelto di impiegare la metafora dello “schiaffo del soldato”. “Stefano Cucchi è di spalle, qualcuno lo colpisce, proprio in questi ambienti -quelli del tribunale-, lui si volta e lo Stato agita il dito in aria scaricando alla rinfusa ogni responsabilità”. L’obiettivo dell’immagine di Anselmo è quello di sintetizzare in poche battute alla Corte d’Assise d’Appello di Roma quanto emerso dalla sentenza di primo grado del giugno 2013, sulla quale la stessa Corte è chiamata a pronunciarsi. Ai giudici -9 i popolari e due i togati (il presidente e il giudice a latere)- Anselmo ha offerto per oltre tre ore una complessa ricostruzione dei fatti occorsi tra il 15 e il 22 ottobre 2009 al 31enne Stefano Cucchi, morto -secondo la Corte d’Assise di primo grado- per “inanizione” (di fame e di sete) presso il presidio ospedaliero protetto Sandro Pertini di Roma e non per le lesioni e le fratture seguite ad un “pestaggio” pur riconosciuto.
Le basi del pronunciamento di primo grado, secondo Anselmo, non reggono. E richiedono un’immediata “rinnovazione dibattimentale”. Una riapertura del caso, in sostanza (“perché più gradi di giudizio sono una ricchezza, alla faccia di chi li vuole ridurre” ha aggiunto Anselmo), poggiata sulla testimonianza di un’avvocatessa rimasta nell’ombra sino alla fine dell’ottobre 2013. “Contraddittorie”, “confuse” e “false” sarebbero poi le testimonianze dei Carabinieri che portarono Cucchi dalla stazione di Tor Sapienza al tribunale, tra il 15 e il 16 ottobre 2009. E scientificamente “insostenibili” gli esiti della perizia dei consulenti dell’Università Statale di Milano coordinati dalla dottoressa Cristina Cattaneo e disposta dalla Corte di primo grado.
Le parti civili, dal canto loro, hanno richiesto con forza la giusta valorizzazione della testimonianza chiave del cittadino gambiano Samura Yaya -la “voce di Stefano” per l’avvocato di Ferrara-, che quel 16 ottobre 2009 vide e sentì provenire dei lamenti e dei colpi dalla cella di sicurezza in cui tre agenti di polizia penitenziaria “sistemarono” Stefano Cucchi, pestandolo -secondo Anselmo- “d’impeto” prima dell’udienza di convalida dell’arresto.
E con quell’”impeto” -sempre secondo la parte civile- i tre agenti di polizia penitenziaria gli avrebbero spezzato la schiena -a Cucchi-, fratturandogli più vertebre e causandogli quella cascata di ripercussioni neurologiche che lo porteranno a morire di dolore. “La schiena di Stefano è la morte di Stefano”, ragiona a voce alta Anselmo. Analizzarla significa avvicinarsi alla verità.
Chi ha scelto di farlo sommariamente è stata però proprio la perizia “terza” disposta dalla Corte d’Assise di primo grado, che alla schiena di Cucchi ha dedicato un referto non firmato, non datato e centrato solamente sulle vertebre post taglio settorio, e non prima.
“Esiste un obbligo di chiarezza e approfondimento”, ha concluso Anselmo, chiedendo ai giudici di riaprire sostanzialmente una nuova fase di analisi dei fatti e degli atti processuali. È una strada in salita, come ha riconosciuto lo stesso procuratore generale Mario Remus –che ha svolto la sua requisitoria il 23 settembre scorso, che giunge a conclusioni difformi da quelle della famiglia di Stefano Cucchi-.
Si riprende il 14 ottobre, a quasi cinque anni dalla “presunta morte naturale” del geometra con la passione per la boxe.
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