Economia / Attualità
Vola la spesa militare globale: superato il tetto dei 1.700 miliardi di dollari
Nel 2017 è stato toccato il più alto livello di spesa dalla fine della guerra fredda. I nuovi dati del Sipri, l’istituto svedese di ricerca sulla pace, confermano il protagonismo di Stati Uniti, Cina e Arabia Saudita. I primi 15 Paesi al mondo -Italia inclusa- rappresentano l’80% del mercato. L’appello della Campagna globale sulle spese militari: “I fondi attualmente destinati ad usi militari devono essere urgentemente reindirizzati verso i veri bisogni umani”
La spesa militare mondiale cresce e raggiunge quota 1.739 miliardi di dollari nel 2017. Si tratta del 2,2% del Prodotto interno lordo mondiale: 230 dollari pro capite. I nuovi dati del Sipri (https://www.sipri.org/), l’istituto svedese di ricerca sulla pace, mettono in luce il più alto livello dalla fine della guerra fredda. Dal 1999 al 2011 si sono susseguiti 13 anni di crescita, tra 2012 e 2016 anni “piatti” di spesa, fino al “più” 1,1% del 2017.
Nella classifica dei primi cinque acquirenti al mondo ci sono Stati Uniti, Cina, Arabia Saudita, Russia e India. Da soli rappresentano il 60% della spesa complessiva. Se gli USA risultano stabili -610 miliardi di dollari nel 2017-, la Cina (228 miliardi di dollari secondo le stime) ha fatto registrare un incremento della spesa del 5,6%, l’Arabia Saudita (69,4 miliardi) del 9,2% e l’India (63,9 miliardi) del 5,5%. La Russia, invece, ha drasticamente tirato il freno: meno 20%, attestandosi su 66,3 miliardi.
L’investimento militare è una scelta di fronte alla quale la Campagna globale sulle spese militari (GCOMS, demilitarize.org), le cui “Giornate di azione” internazionali si concluderanno domani, ha ribadito la richiesta di una riduzione della spesa militare con conseguente spostamento di fondi su altre più urgenti necessità.
“I fondi attualmente destinati ad usi militari devono essere urgentemente reindirizzati verso i veri bisogni umani -si legge nella Dichiarazione internazionale diffusa oggi dalla GCOMS-. I fondi che oggi vengono spesi negli eserciti sono necessari invece e con urgenza per ridurre le disuguaglianze, per aumentare la cooperazione mondiale, per eliminare le ingiustizie energetiche, per sfidare le dinamiche che stanno spingendo la massiccia crisi di rifugiati e sfollati, per implementare regolamenti globali di mercato basati sulle persone e per costruire un mondo pacifico”.
“Come primo passo, chiediamo pertanto una riduzione del 10% della spesa militare in tutti i Paesi e le Alleanze, compresa la NATO, al fine di uno spostamento di questi fondi verso i veri bisogni umani e obiettivi sostenibili” è la richiesta della mobilitazione internazionale promossa dall’International Peace Bureau e sostenuta da centinaia di organizzazioni della società civile di cinque continenti.
Spostando il fuoco sull’Europa ci si accorge infatti che i principali Paesi per spesa militare sono la Francia (57,8 miliardi di dollari, -1,9%), Gran Bretagna (47,2 miliardi, +0,5%), Germania (44,3 miliardi, +3,5%) e Italia. Stando alle valutazioni del Sipri, anche il nostro Paese avrebbe fatto registrare una spesa militare in rialzo (+2,1%), stimata intorno ai 29 miliardi di dollari (pari all’1,5% del PIL). “Sono numeri che confermano il trend in rialzo già evidenziato dalle analisi dall’Osservatorio Mil€x, più specifico nelle valutazioni sul bilancio dello Stato Italiano”, chiarisce la Rete italiana per il disarmo (http://www.disarmo.org/).
A chiudere la classifica dei primi 15 Paesi al mondo per spesa militare -che da soli coprono l’80% del mercato- è la Turchia, con 18,2 miliardi investiti nel 2017 e una crescita del 46% rispetto a dieci anni fa. Un andamento in linea con quello della regione del Medio Oriente, che tra 2016 e 2017 ha aumentato la spesa di oltre 6 punti. Si tratta di un dato parziale visto che sono stati esclusi dal conteggio Paesi chiave come Siria e Yemen oltre che di storici “speditori” militari come Qatar ed Emirati Arabi.
Un esercizio utile del Sipri è poi l’analisi degli incrementi di spesa più significativi dell’ultimo anno. Colpisce il dato della Romania: 4 miliardi di dollari nel 2017, più 50% rispetto al 2016. O del Gabon: 299 milioni di dollari, oltre il 40% in più. Così come Benin, Sudan, Mali, Burkina Faso e Iraq (7,4 miliardi, più 22%).
A sostenere la voce di GCOMS c’è anche la Rete italiana per il disarmo. La richiesta di partenza è la “riduzione del 10% delle spese militari, a partire da quelli italiane che in particolare sono sbilanciate sulla spesa per il personale e prevedono quasi 6 miliardi di euro annui per l’acquisto di nuovi armamenti”. “Produrre e vendere armi è un affare molto redditizio che uccide le persone, mentre l’acquisto di armi sottrae denaro da obiettivi positivi centrati sulle esigenze umane”.
© riproduzione riservata