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Esteri / Intervista

Storia vera e terribile tra Sicilia e America

“La riflessione su cosa è stato lo schiavismo in America ancora non c’è. In ogni cittadina c’è un museo dell’olocausto ma non della schiavitù”. Cinque anni fa il giornalista Enrico Deaglio, autore di un libro inchiesta sugli italiani linciati negli Stati Uniti di fine 1800, ebbe modo di raccontarci quel “cortocircuito”

Tratto da Altreconomia 174 — Settembre 2015

Sono passati 121 anni da quando cinque emigranti siciliani vennero linciati e appesi a Tallulah, una piccola cittadina del già Stato americano schiavista della Louisiana, nel mese di luglio. All’esecuzione dei fratelli Joe, Frank, Charles Defatta, Rosario Fiduccia e Giovanni Cirami, Enrico Deaglio, giornalista e scrittore, ha dedicato nel 2015 un bel libro-inchiesta che s’intitola “Storia vera e terribile tra Sicilia e America” (Sellerio editore Palermo). La ricostruzione che Deaglio compie della rotta economica Cefalù-New Orleans o delle drammatiche conseguenze dei pregiudizi razzisti verso quei “mezzi neri e mezzi bianchi” chiamati a sostituire gli schiavi d’un tempo è una mappa attuale da condividere.

L’intervista da Ae 174 – settembre 2015

Razzismo, intolleranza, migrazioni più o meno forzate, lavoro, sfruttamento, linciaggi. Nelle prime pagine del libro lei scrive che “molti elementi di quell’antico racconto ritornano”, che “Il razzismo, che si credeva morto, si scopre più vivo che mai” anche perché “In Italia è di nuovo praticamente accettato”. Corrado Stajano sul Corriere della Sera ha definito la vicenda che descrive come un utile “specchio” del nostro presente. Che cosa unisce quell’esecuzione di fine Ottocento ai nostri giorni?
ED
Diversi aspetti: a partire dallo specchio del luogo, identico e deformato. La Sicilia fu il teatro di quell’emigrazione, base di partenza più di cent’anni fa, e ora è la base d’arrivo. Sulla costa meridionale o settentrionale, poco cambia. È curioso che quello stesso posto sia di nuovo al centro del mondo ma a parti invertite. Altri elementi poi ritornano e cioè che alle grandi migrazioni collettive -che spingono milioni di persone a muoversi per motivi di povertà, per motivi economici- è strettamente collegato lo svilupparsi e il consolidarsi di idee razzistiche, che devono spiegare necessariamente come il nuovo arrivato sia inferiore, culturalmente e storicamente. La sua inferiorità serve al suo sfruttamento. Nel caso della storia raccontata nel libro c’era poi un elemento economico molto concreto: mentre il resto dell’emigrazione verso gli Stati Uniti vedeva in quegli anni un’Europa povera dirigersi verso un Paese che stava crescendo, dava opportunità, terra libera e costruiva città, in questo caso l’emigrazione era funzionale a sostituire una forza lavoro che per motivi politici era diventata del tutto improponibile. Gli schiavi, infatti, non erano più schiavi e ne occorrevano altri. I siciliani.

I migranti siciliani in quell’epoca -fine 1800- furono oggetto di un baratto tra il Regno d’Italia e la Louisiana. Come fossero pezzi sostitutivi nella filiera di sfruttamento dello zucchero, ad esempio. Dove e come è nato quest’accordo e che effetti ha prodotto?
ED Quest’accordo nasce da due parti: con l’Unità d’Italia e l’annessione della Sicilia al Regno dei Savoia si registrarono le prime rivolte, essenzialmente economiche, delle classi più basse. Quei contadini non dovevano avere le terre e il Regno aveva quindi l’interesse a mantenere l’ordine anche attraverso repressione e deportazioni forzate. Dall’altra parte, negli Stati Uniti del Sud (Florida, Texas, Louisiana, Mississippi), la sconfitta del sistema economico schiavista aveva imposto la necessità di farlo funzionare in un’altra maniera. Si pensi che a quei tempi il rapporto economico tra Sicilia e Stati Uniti era estremamente sviluppato a vantaggio nostro. Noi esportavamo agrumi, frutta -soprattutto limoni- e zolfo (la Sicilia era prima al mondo). C’era una flotta di navi mercantili che viaggiava dalla Sicilia al golfo del Messico e a New York e riforniva di frutta gli Stati Uniti. Era un business enorme. La Sicilia deteneva il monopolio dell’esportazione e di fornitura di frutta. Quella ricchezza prodotta non proveniva dal latifondo ma da una coltivazione su appezzamenti di più piccola scala, che necessitava di investimenti sempre più importanti. C’erano tante piccole aziende, soprattutto sulla costa a Nord della Sicilia, che sapevano come produrre, spedire, commercializzare, preservare la merce: i siciliani furono i primi ad usare le navi frigorifere per la maturazione del prodotto. Ecco questo patrimonio non fu tutelato dal Regno che invece preferì un accordo economico politico con la grande proprietà e con la Chiesa a beneficio della cultura e dell’economia del latifondo. Nacque così il riflesso d’ordine e la borghesia mafiosa dei gabellieri, che manderà di lì a poco in rovina quel tipo di economia, sostituita dal grande latifondo, che è un’economia iniqua e soprattutto incapace di stare sul mercato. Quindi la scelta strategica fu letteralmente quella di mandare via i contadini, sottopagati e immobilizzati nelle terre del Sud degli Stati Uniti. Stiamo parlando di 80-100mila persone negli ultimi vent’anni del 1800. Il punto è che si verificò una cosa imprevista: quella massa di persone, concentrate a New Orleans, aveva formato una classe sociale ascendente, con un peso crescente nel commercio, innovando nel grande trasporto della frutta. I siciliani furono i primi ad andare nel Centro America a organizzare l’importazione delle banane e questa politica del linciaggio fu uno scontro politico contro un’etnia che stava acquistando potere.

“Il nuovo arrivato veniva considerato inferiore. Perché la sua inferiorità serviva al suo sfruttamento”

Le esecuzioni sommarie frutto dell’insofferenza verso qualsivoglia processo (o presunto tale) erano tristemente frequenti nella New Orleans che racconta, con quelle chiamate alle armi “venite preparati all’azione” fuori dalle carceri. Oggi in Italia c’è un movimento politico che si ritrova nella ruspa, chiamata a spazzare via ostacoli, burocrazia, “lungaggini”. Che ne pensa?
ED La pratica del linciaggio puntava all’istituzione di un clima di terrore quotidiano per impedire l’emancipazione dei neri -che in certe zone erano numericamente la maggioranza- e, nel nostro caso, dei siciliani. Pacificamente ed elettoralmente avrebbero preso il potere. L’obiettivo era farli andare via. Ad ogni linciaggio seguiva infatti un’emigrazione, e all’epoca milioni di neri si spostarono dalle zone agricole verso le grandi città (Chicago, o in California, o a Saint Louis), in luoghi dove non fossero uccisi. Il riferimento all’attualità è ovviamente dissimile ma la questione di fondo è questa: sotto sotto la Lega capisce benissimo che se ci fosse mai una legge sullo ius soli che dia rappresentanza politica e diritto di voto agli immigrati, il risultato elettorale cambierebbe, spostando nettamente il voto del Nord. Quel movimento quindi crea questo clima, aizzando continuamente gli istinti più bassi, e si pone abbastanza in linea con quel che facevano in America in quei tempi, ovviamente in forma più violenta.

Lei trascorre parte della sua vita negli Stati Uniti, dove si contano numerosi episodi di uccisioni brutali di civili -specie neri- da parte di agenti in divisa. Qual è il suo giudizio a proposito?
ED Il rosario di quelle uccisioni è fatto di statistiche incredibili. In un anno e mezzo 250 ragazzi neri sono stati uccisi dalle forze dell’ordine e l’addestramento di quei corpi ha mostrato la sua vera natura: sparare per dare l’esempio. Ma quel che è accaduto a Charleston -Carolina del Sud, dove un ragazzo di 21 anni ha sparato e ucciso 9 persone nella Emmanuel African Methodist Episcopal Church, ndr– è a suo modo ancor più grave. Il ragazzo aveva la bandiera confederata sulla giubba come tutti gli edifici pubblici in quella parte degli Stati Uniti, e i confederati erano gli stati schiavisti. Il cortocircuito è stato immediato: gli USA hanno scoperto che il risultato finale della guerra civile non è stato accettato. Quando parlano della guerra civile, e ne parlano in continuazione, la chiamano “guerra tra gli Stati”. ‘Perché la chiamate così?’, chiedo ogni volta. Mi rispondono che non c’era una parte buona e una cattiva. Avevano pari dignità. Ciò significa che la riflessione su cosa è stato lo schiavismo in America ancora non c’è. In ogni cittadina c’è un museo dell’olocausto ma non della schiavitù, in particolare poi del Sud. È un argomento rimosso. Da ambedue le parti. Ma è una situazione moderna e le frasi che ha detto l’omicida di Charleston erano quelle di 120 anni fa: stuprate le nostre donne e volete prendere il sopravvento. La stessa accusa dei linciaggi.

L’ultima domanda è sull’informazione, o forse più specificamente sul giornalismo. Tra le pagine che riporta relative al linciaggio di Tallulah c’è quella del Morning News, che quasi celebra la compostezza della “folla ordinata” che appese i “cinque assassini siciliani”. La matrice del linciaggio si ritrova in quell’inchiostro. Qual è stato il ruolo dell’informazione in quel periodo?
ED Fondamentale. Basti pensare che ancora oggi molti dei linciaggi sono sconosciuti, si ha una stima. Per rimanere nel nostro piccolo caso, il massacro del luglio 1899 a Tallulah non sarebbe stato scoperto se non fosse scampato nessuno. Da quel punto di vista l’informazione era importante, fondamentale, agendo talvolta da giustificazione. Una parte di quel binomio informazione-razzismo lo si ritrova anche oggi in Italia: penso alle ondate di xenofobia diffuse e gonfiate da Tv e giornali, ‘i rom che ammazzano la gente in macchina’, gli stupri (gli è andata male a Roma nel caso del militare italianissimo). È un sentimento alimentato in continuazione, soprattutto in periodi pre-elettorali. In città come Roma c’è sempre. Ecco il ruolo educativo e pedagogico della Tv e dell’informazione s’è perso, non esiste più.

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