Si fa presto a dire pace o mondo equo – Ae 33
Numero 33, novembre 2002Le nostre denunce, le nostre campagne hanno sfondato. Anche grazie a un movimento mondiale che, per la prima volta, è davvero plurale. Ma ora confrontiamoci sul mondo che vogliamo costruireCon le nostre denunce, le nostre campagne, le…
Numero 33, novembre 2002
Le nostre denunce, le nostre campagne hanno sfondato. Anche grazie a un movimento mondiale che, per la prima volta, è davvero plurale. Ma ora confrontiamoci sul mondo che vogliamo costruire
Con le nostre denunce, le nostre campagne, le nostre petizioni, per anni abbiamo svolto una funzione di lievito. Giorno dopo giorno abbiamo fatto crescere la consapevolezza sui gravi squilibri ambientali provocati da un sistema mondiale al servizio del profitto e della crescita.
Abbiamo denunciato i danni sociali provocati da un disordine mondiale chiamato globalizzazione. Alla fine c'è stata un'esplosione inaspettata e ciò che prima era solo un brusio, all'improvviso è diventato un boato grazie al coinvolgimento di vasti movimenti di ogni lingua, latitudine e appartenenza sociale.
Come tutte le esperienze spontanee, anche noi ci siamo conosciuti sul campo e abbiamo consolidato i nostri rapporti grazie ad esperienze come Seattle, Genova, Porto Alegre, Johannesburg.
Ora dobbiamo fare crescere questo movimento mondiale che, per la prima volta nella storia, non poggia su un apparato organizzativo, ma sulla condivisione delle idee. Distante anni luce dalla concezione dei partiti e di qualsiasi altra associazione di grande dimensione, il collante del nuovo movimento si chiama partecipazione, condivisione di valori e grande voglia di cambiamento in un'ottica di equità e sostenibilità. Ma siamo solo all'inizio perché il movimento deve crescere in termini di chiarezze e di alleanze.
Ecco l'importanza del forum mondiale e dei forum continentali come Firenze concepiti come grandi momenti per parlare con chi ancora ci osserva da lontano e per discutere al nostro interno di analisi, strategie, alleanze, tappe, obiettivi.
In questi anni di impegno abbiamo imparato che il cambiamento non si provoca con la bacchetta magica della rivoluzione. Piuttosto abbiamo capito che si provoca attraverso trasformazioni trasversali, che vanno dal livello personale a quello delle grandi istituzioni internazionali passando per i governi locali.
Abbiamo capito che si provoca attraverso l'uso intelligente di un ampio ventaglio di azioni che a partire dalle piccole battaglie per arrestare violazioni specifiche si estendono alle grandi lotte per condizionare le politiche nazionali ed internazionali.
Abbiamo capito che si provoca attraverso azioni di resistenza e di partecipazione che non si attuano solo col voto e lo sciopero, ma anche col boicottaggio, il consumo critico, la denuncia, le manifestazioni di massa, la disobbedienza nonviolenta.
Infine abbiamo capito che si provoca anche attraverso la sperimentazione, qui e ora, di iniziative economiche e stili di vita ispirati all'equità, alla condivisione e alla sostenibilità.
Proprio perché il cambiamento passa attraverso una pluralità di azioni e di trasformazioni, sarebbe un errore fatale voler irreggimentare il movimento in un'unica organizzazione, un unico pensiero, un'unica modalità d'intervento.
La diversità è la nostra forza e la nostra ricchezza. Ma al tempo stesso dobbiamo confrontarci sulle urgenze, sull'efficacia delle azioni, sulle grandi battaglie attorno alle quali fare muro comune.
Infine dobbiamo approfondire come concepiamo il nuovo mondo che per certi versi stiamo già costruendo.
Si fa presto a dire pace, equità e sostenibilità. Ma realizzare tutto ciò in un mondo fortemente violento, fortemente iniquo e fortemente deteriorato è un altro paio di maniche.
Proprio ragionando attorno a questi temi ci rendiamo conto che il vero cambiamento lo dobbiamo fare noi opulenti della terra. Se vogliamo costruire davvero un mondo equo, nonviolento e sostenibile dobbiamo smettere di fare i prepotenti con le risorse del pianeta, col lavoro dei Paesi poveri, con gli spazi ambientali comuni. Ciò significa che dobbiamo abbandonare un modello economico orientato alla crescita, al gigantismo, al superconsumo, all'alta velocità e orientarci verso la sobrietà, l'economia locale, le tecnologie dolci, la lentezza.
Una scelta possibile, ma che ci spaventa perché dovremo rimettere in discussione non solo il nostro stile di vita, ma le stesse regole di funzionamento dell'economia e dell'organizzazione sociale.
La sfida, infatti, sarà di sapere coniugare sobrietà, piena occupazione e soddisfacimento dei bisogni fondamentali per tutti. Questo è il grande progetto che dobbiamo cominciare a costruire e mi auguro fortemente che Firenze serva per porre la prima pietra.