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Shock economy abruzzese
Facendo leva sull’urgenza post-terremoto, la ricostruzione minaccia la ripresa dell’economia locale, agricola e cooperativa. A favore di una visione mercantile L’onda lunga del terremoto d’Abruzzo si è arrampicata fino ai 900 metri di Aglioni di Capitignano, a una trentina di…
Facendo leva sull’urgenza post-terremoto, la ricostruzione minaccia la ripresa dell’economia locale, agricola
e cooperativa. A favore di una visione mercantile
L’onda lunga del terremoto d’Abruzzo si è arrampicata fino ai 900 metri di Aglioni di Capitignano, a una trentina di chilometri da L’Aquila. L’idea che leggo negli occhi di Giuseppe Commentucci è che le istituzioni vivano il sisma del 6 aprile come un’occasione unica: l’opportunità di fare tabula rasa di realtà come quella dell’azienda agrituristica biologica “La Canestra”, che lui gestisce con la moglie. Anticorpi economici, sociali e culturali da debellare, in nome di un ritorno alla normalità: è shock economy, per dirla alla Naomi Klein. Ripartirà solo ciò che è funzionale al sistema.
Capelli lunghi e folta barba bianca, Giuseppe mi accoglie sotto una veranda di legno coperta da un telo di plastica. Montata a fianco di una tenda blu del ministero dell’Interno, è il “punto ristoro” provvisorio de La Canestra. Quello vero è a qualche centinaio di metri, nel centro storico di questo piccolo borgo del ‘700, e non è agibile. “Anche se il terremoto non ha lasciato crepe nei muri -mi racconta-, su una delle pareti poggia un edificio pericolante, una casa vecchia, chiusa dagli anni Cinquanta. Durante il primo sopralluogo della Protezione civile ci hanno consigliato di mettere in sicurezza tutta la piazzetta di Aglioni -racconta ancora-, ma nessuno è venuto a farlo. Non c’è nessun interesse a far ‘ripartire’ un agriturismo, che pure è un’attività economica. L’ultima volta che sono stato in Comune, a Capitignano, il tecnico mi ha invitato a darmi da fare senza aspettare ‘un aiuto dal cielo’”.
A oltre due mesi dal sisma, non è cambiato nulla: non si può lavorare nemmeno nel laboratorio dove i Commentucci trasformavano in biscotti e pane cereali antichi coltivati nei dieci ettari della loro azienda. Mi accompagna a vederli: “Non che i problemi prima non ci fossero, ma adesso li sentiamo di più: le istituzioni hanno abbandonato l’agricoltura, anche culturalmente”.
“Il problema dell’Abruzzo interno precede il terremoto. La montagna è sempre stata vissuta come una iattura, produttrice di miseria”. Manuela Cozzi è un agronoma. È arrivata in Abruzzo dalla Toscana all’inizio degli anni Ottanta. Oggi è dirigente nazionale della Confederazione italiana agricoltori (Cia): “Esperienze come questa -spiega- non sono ‘di retroguardia’, ma ‘visionarie’. Le istituzioni, però, non hanno mai creduto in una microeconomia in grado di tenere in vita il territorio”.
Per far fronte alle spese di ricostruzione, “La Canestra” ha deciso di mettere in vendita alcuni animali, un asino, una cavalla e una mucca. “La mucca l’ha comprata un amico -racconta Giuseppe-, ma ha voluto lasciarla qui da noi. L’aiuto più importante ci è venuto dai Wwoofer, la rete internazionale di volontari. In molti hanno accettato ospitalità sotto la nostra tenda, e con noi si sono rimboccati le maniche per ripartire”. Seminando mais quarantino, roveglia (un antico pisello di montagna), ceci e il fagiolo “carnacione” di Capitignano. Scendendo il sentiero verso le bestie, Giuseppe mi mostra un muretto di pietre a secco, “ricostruito dai volontari: affrontare i danni del terremoto e continuare le attività che la campagna e gli animali impongono sarebbe stato impossibile”. Anche perché ad Aglioni chi vorrà restare in pista dovrà farlo da solo. Qui gli aiuti -gli sgravi fiscali, lo sconto sulle bollette previsti dal decreto “Abruzzo”- non arriveranno: Capitignano, infatti, secondo la Protezione civile non rientra tra i Comuni “danneggiati dagli eventi sismici”, non è nell’elenco pubblicato dal decreto numero 3 del 19 aprile. È fuori dal “cratere”. Un controsenso: “Da quando c’è stato il terremoto, nessuno si approvvigiona più dai piccoli produttori del territorio. Il sisma ha distrutto il nostro mercato di riferimento, che fondamentalmente era la città de L’Aquila, il centro storico”.
La cooperativa Asca di Anversa degli Abruzzi (Aq), di cui è socia Manuela Cozzi, fa parte del consorzio produttori biologici “Parco produce": “Pensa -racconta-: uno degli associati, l’azienda agricola ‘Feudo della Pezzana’, aveva consegnato a una bottega de L’Aquila due chili di zafferano. È il frutto di un raccolto di 300mila fiori, all’ingresso vale 10mila euro ed è il lavoro di un anno. Rimasto sotto le macerie. I nostri associati -continua- non chiedono aiuti, ma di poter vendere i propri prodotti”.
A fine maggio l’Associazione regionale allevatori (Ara) ha firmato con la Protezione civile un protocollo d’intesa che prevede l’approvvigionamento locale, “in via prioritaria e fino al 31 dicembre 2009”, dei beni necessari all’alimentazione delle persone ospitate nei campi (ancora 23mila, a metà giugno). Un accordo rimasto sulla carta. A Bazzano, nella zona industriale de L’Aquila, visito anche la Centrale del latte. Qui è ancora una società cooperativa, ed è rimasta l’ultima in Italia, con un’ottantina di soci conferitori: “Lo stabilimento è agibile, ma non c’è gas. Così mandiamo a lavorare il latte fuori, tra Sulmona, Isernia e l’Umbria. Ci manca, però, un mercato”, mi racconta Dino Rossi. È un socio conferitore della Centrale, e le sue mucche “terremotate” (ad Ofena) continuano a fare il latte. “Solo Com1 e Com6 hanno acquistato” spiega, introducendo anche alla nuova topografia del territorio (e anche alla toponomastica), dove ai Comuni si sono sostituiti otto Centri operativi misti (Com) gestiti dalla Protezione civile. “Qualcuno, tra i politici aquilani, aveva già deciso che l’esperienza della cooperativa, nata nel ‘58, doveva finire nelle mani di Granarolo”, conclude Rossi.
Il terremoto è arrivato solo a dare una mano.
Anche l’accoglienza agli sfollati si presta a questa lettura: sono qualche decina di migliaia gli aquilani che restano negli hotel lungo la costa. Sono ospiti in 474 strutture ricettive tra le province di Teramo, Pescara, Chieti e Ascoli Piceno, i cui gestori ricevono ogni giorno 45 euro dalla Protezione civile a persona. Io, invece, dormo da solo in una stanza dell’agriturismo “La Canestra”. È completamente vuoto: “Da aprile, sono arrivati solo un paio di ospiti, amici che tornano ogni anno e che il terremoto non ha fermato” racconta Giuseppe. Lo scrivono anche sul loro sito i Commentucci: “Possiamo ospitare 15 persone in 5 camere antisismiche”. Pensione completa a 55 euro. Qui acqua e gas nelle case ci sono, a differenza de L’Aquila città, dov’è le reti hanno subito danni e la fornitura è ancora sospesa. Tra Anversa degli Abruzzi, Cocullo e Scanno c’è invece l’albergo diffuso “Dimmidove”: “Le nostre strutture sono vuote -racconta Manuela Cozzi-. A ‘La Porta dei Parchi’ (l’agriturismo della cooperativa Asca, ndr) c’è una famiglia aquilana: il capofamiglia ha ripreso a lavorare, e non potevano restar sulla costa, fare 200 chilometri al giorno”. Una decisione “fai da te”. Ma passata la fase dell’emergenza, avrebbe un senso che fosse la Protezione civile a sfruttare il turismo a ricettività contenuta (massimo 30 posti letto) degli agriturismi nei Parchi del Gran Sasso e Monti della Laga e della Majella. Basta poco, purtroppo, per fiaccare economie già residuali a cose normali. Che all’abbandono, rispondono, per fortuna con fantasia: il consorzio “Parco produce” ha scelto i “Pacchi famiglia”, e offre a gruppi d’acquisto solidale (Gas), Cral e parrocchie di tutta Italia prodotti biologici della terra d’Abruzzo. Parco produce, nato nel 1996, prima del terremoto poggiava su gambe solide (un fatturato di 500mila euro): alle aziende del consorzio, una dozzina, adesso se ne sono aggiunte altre.
Mani, volti, ricotta e caciocavallo: le basi da cui ripartire per non restare sotto le macerie di un modello di sviluppo insostenibile.
Riconversione al 100%
Cento per cento ricostruzione, partecipazione, trasparenza, dignità: è il decalogo della “Campagna 100×100”, promossa da una dozzina di realtà aquilane ed abruzzesi. Molte sono sigle, coordinamenti nati dopo il terremoto, come la rete “3e32” (la cui sede, nel tendone di via Strinella, è l’unico spazio d’incontro aperto della città, www.3e32.com) o il “Collettivo 99”, gruppo di giovani tecnici aquilani -architetti, urbanisti, ingegneri- che dopo il terremoto si sono riuniti per lavorare al progetto “L’Aquila-riconversione oltre la ricostruzione”. I promotori chiedono la riparazione di tutti i danni (con contributi a 100%, non solo per le case ma anche per le attività produttive e culturali), il coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte sulla ricostruzione, la rendicontazione pubblica delle spese, la revisione del piano per portare gli aquilani fuori dalle tende, la riapertura di scuole e Università. Il 100% degli aquilani a L’Aquila. E il 100% di riconoscenza ai Vigili del fuoco, “gli unici veramente sempre al nostro fianco”: www.100x100aq.org
Aquila zona rossa
Non convince il Piano C.a.s.e. della Protezione civile
La favola delle “casette” per i terremotati non regge. Mentre gli sfollati restano “attendati”, la Protezione civile inaugura intorno a L’Aquila i cantieri per il “Piano Case”. C.a.s.e. sta per Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili e indica nuovi quartieri, 20, dove realizzare condomini a due o tre piani. Non prefabbricati. “La prospettiva di una casa ha appeal su chi sta nelle tendopoli, che non sa cosa l’aspetta. I media danno un’immagine falsa”. Rita Innocenzi è segretario degli edili della Cgil e ha spiegato il suo punto di vista al convegno Città policentrica o città compatta, organizzato dall’Associazione per la ricostruzione de L’Aquila, una delle promotrici della Campagna 100% (box a p. 9). Citando la legge per la ricostruzione dell’Umbria: “Prevedeva il metodo della partecipazione nelle decisioni”. Prassi sconosciuta, oggi, in Abruzzo: chi è rimasto senza casa partecipa come può, agli incontri in cui si parla di urbanistica e architettura.
La Protezione civile non ascolta nemmeno: i bulldozzer sbancano già colline per far posto alle C.a.s.e.: “L’Aquila dov’era e com’era e il progetto C.a.s.e., insieme, non reggono” dice l’Innocenzi. È il terremoto sociale, che colpirà L’Aquila attraverso la destrutturazione del tessuto urbano ed economico. La gente teme che il governo non intenda riaprire il centro storico della città, destinato a diventare una “Zona rossa” perenne. Tra quelli che s’infervorano di più nelle assemblee c’è Antonio Perrotti. Architetto, già direttore dell’area Territorio e ambiente della Regione Abruzzo, Perrotti ha messo in fila i numeri delle particelle catastali che verranno espropriate per realizzare le C.a.s.e.: “Le nuove urbanizzazioni occuperanno circa 167 ettari, non i novanta descritti”. Una volta ultimati i quartieri ospiteranno circa 13mila persone. “Le localizzazione scelte non sono proporzionali alle case distrutte o inagibili. In alcune frazioni, come Cese di Preturo, dove vivevano 3-400 abitanti, si costruirà per ospitarne 1.200. E non è crollato un alloggio”. Perrotti è un tecnico prestato alla società civile: “La procedura di Valutazione dell’impatto ambientale non è stata fatta, e nemmeno la Valutazione ambientale strategica. Tutto il Piano ‘C.a.s.e.’ è una deroga: la Protezione civile non ha mai compiti di ricostruzione”.
Perrotti mi accompagna in un tour de L’Aquila. Lo raccolgo all’ingresso del “suo” campo, vicino alla basilica di Collemaggio. Mi porta sul Colle di Roio: dall’alto, mi mostra la città distrutta e indica le zone di più recente urbanizzazione all’interno delle mura del centro storico, la punta Sud-Ovest: “È lì che ci sono stati i morti”. Mi consegna un documento, che riassume la posizione del Comitatus Aquilanus, di cui è animatore: “Bisogna battere la logica della cieca urgenza, dell’episodicità dell’interesse singolo per riproporre una visione collettiva del nostro futuro urbano e produttivo”. Richieste legittime, ma resteranno lettera morta: c’è chi ha deciso di sfruttare il terremoto per imporre varianti di fatto al Piano regolatore (Prg). Eppure, L’Aquila è piena di cantieri edili, fermi: non avrebbe senso terminarli, dopo aver verificato che le fondamenta non hanno subito danni, prima di aprire nuovi cantieri? Secondo Perrotti, che cita l’Ance aquilano, ci sono anche “3mila alloggi inoccupati disponibili e agibili”. Perché non requisirli e affittarli agli sfollati a prezzi calmierati? Eviterebbe nuovi spargimenti di cemento. “Alcuni lotti erano al centro dell’attenzione da almeno 20 anni -racconta Perrotti-. L’Aquila Est, ad esempio, zona finora agricola” scelta come location per gli insediamenti 8, 9 e 10 (la mappa completa è su protezionecivile.it). “Le tre aree corrispondono ai Prusst 7, 8 e 9”, racconta Perrotti, e mi mostra l’elenco di tutti i Programmi di riqualificazione del territorio (i Prusst) promossi da soggetti privati e censiti da una cooperativa per conto del Comune. Basta sovrapporre la mappa dei Prusst a quella delle C.a.s.e. per trovare nomi e cognomi di chi, dopo aver acquistato ettari di terreno al prezzo agricolo, riceverà per l’esproprio dalla Protezione civile il valore di un terreno edificabile. Il massimo risultato con il minimo sforzo, che ripaga l’attesa di anni dovuta a un’amministrazione non prona agli interessi degli immobiliaristi.
Il Comitato Aquilanus non è contrario a (ri)costruire: “Avrebbero potuto scegliere aree demaniali, aree oggetto di progetti urbanistici di riconversione con le ‘casette Co.Ge.Far’ di Assergi, le vecchie caserme, localizzarli in sostituzione degli edifici da abbattere”. Niente di tutto questo: Perrotti mi accompagna a Lenze di Coppito. A due passi dall’Università, vicino all’Ospedale regionale “San Salvatore”, in un area giù urbanizzata: “Qui ci sono 20 ettari rimasti inspiegabilmente fuori dal Piano C.a.s.e.; è terreno immediatamente edificabile, classificato dal Prg ‘Zona per attrezzature territoriali’”. Perfetta per ospitare nuove residenze universitarie, se la favola del campus non fosse solo la “narrazione” ufficiale del post-terremoto. Intorno al Piano C.a.s.e. c’è aria di bufera: la realizzazione degli edifici, per un importo di 315 milioni di euro, è stata affidata con gara, ma il calcestruzzo per le piattaforme antisismiche su cui poggeranno i nuovi quartieri, arriverà dalla Colabeton, che ha vinto una gara a inviti. Un appalto da 16,5 milioni di euro per l’impresa che fa capo alla famiglia Colaiacovo, proprietaria anche di Colacem (3° produttore di cemento in Italia). Chi non crede a Berlusconi e Bertolaso, e ne ha la possibilità, ha scelto la ricostruzione “fai da te”: casette in legno spuntano come funghi, vicino alla città e nelle campagne, su terreni agricoli e spesso in zone dove non arrivano l’acquedotto né la corrente elettrica. Il sindaco de L’Aquila ha autorizzato in via transitoria, ma tra qualche anno arriverà il condono. Così anche un’esigenza legittima degli sfollati, che non vogliono passare l’estate in una tenda, si trasforma in una speculazione provvisoria. Che un giorno, superata l’emergenza terremoto, sarà un’emergenza ambientale. La dispersione de L’Aquila.
Sicurezza fai da te
Se le C.a.s.e. non bastano, arrivano i M.a.p., una sigla che sta per Modulo abitativo provvisorio. Dopo oltre due mesi, il governo ha detto sì alle casette di legno, almeno 2.300, “che -si legge in un comunicato della Protezione civile- dovranno sostituire le tende dei campi base e offrire un’abitazione temporanea a chi ha la casa distrutta o inagibile nei Comuni del ‘cratere sismico’, esclusa L’Aquila”. Ogni Map misurerà tra i 40 e i 70 metri quadri, e poggerà su basamenti in calcestruzzo debolmente armato. Anche in questo caso, come quelli delle C.a.s.e., verranno realizzate da un’impresa scelta con una “gara a inviti”. Nessun concorso di idee, invece, sul “modello per la ricostruzione”. Una quarantina di giovani tecnici aquilani under 40, però, si sono riuniti nel Collettivo99 (www.collettivo99.org), elaborando un master plan che poggia sui cardini dell’autosufficienza. “Siamo o non siamo una palestra di sperimentazione?”, mi chiede l’ingegner Maura Scarcella, coordinatrice del progetto. Architettura senza frontiere (Asf), intanto, ha elaborato un piccolo vademecum per la ricostruzione. Contiene schede sul patrimonio edilizio esistente e su quello nuovo. Per far capire che la sicurezza del manufatto non è data dal materiale utilizzato (come il cemento armato). E che sono importanti le modalità con cui si interviene sul patrimonio esistente. L’obiettivo: “Far capire alle persone che l’unica risposta possibile non è farsi la casa in legno in giardino -racconta Chiara Rizzi di Asf- e che è possibile intervenire in sicurezza sul patrimonio edilizio. Il manufatto edilizio -spiega- cresce e vive con la famiglia: una casa ha bisogno di manutenzione per essere sicura”. Il vademecum sarà diffuso nei campi e sui siti di Abruzzo social forum, comitati e Asf (www.asfit.org).
La scossa dei media
A L’Aquila il lavoro d’inchiesta di Site.it e "Sollevati Abruzzo"
Le uniche antenne alzate tra le tende dei terremotati e nella “Zona rossa” de L’Aquila sono quelle del free press d’inchiesta Site.it. Il giorno di Pasquetta, la redazione ha scoperto che “migliaia di metri cubi di ogni genere di detriti, venivano finemente triturati e mescolati all’interno di enormi macchine” a Piazza d’Armi. In zona militare, scomparivano eventuali prove dei crolli avvenuti durante il sisma. Due giorni dopo, anche grazie alle denunce fotografiche di Site.it, i siti del centro storico sono stati posti sotto sequestro dalla Procura e l’asportazione delle macerie è stata interrotta. Nella ressa dei primi giorni post-terremoto, nessuna testata nazionale monitorava ciò che stava accadendo: “A L’Aquila il governo ha usato il modello irakeno: i giornalisti embedded hanno visitato la città scortati dalla Protezione civile”. Angelo Venti è l’anima di Site.it. Oggi è un direttore “precario” -nel senso che la redazione è ospite di una famiglia terremotata, dopo esser stata nei campi di Villa Sant’Angelo e Paganica-: “A Pasquetta abbiamo percepito l’accelerazione dei problemi legati alla ricostruzione. E l’unica risposta possibile era quella d’informare la gente nei campi, di moltiplicare ‘gli occhi’ attenti sui movimenti intorno alle macerie della città”. È per questo che nasce SollevatiAbruzzo (site.it/sollevatiabruzzo), un foglio ciclostilato e distribuito nelle tendopoli. Il numero 6, uscito a metà giugno, racconta la manifestazione di Roma contro il decreto “Abruzzo”. A inizio giugno Site.it e Libera hanno ufficializzato la nascita di un Presidio per la legalità, per monitorare l’avvio dei lavori di ricostruzione e la presenza eventuale di soggetti legati alla criminalità organizzata: “Dal 2006 abbiamo denunciato investimenti sospetti a Tagliacozzo, in provincia de L’Aquila, che hanno portato nel marzo del 2009 all’arresto di tre persone” spiega Venti. Secondo la Procura distrettuale antimafia dell’Aquila e la Guardia di finanza erano prestanome di Vito Ciancimino. La mafia è già arrivata in Abruzzo, come descrive il dossier Mafie e monti di Libera Informazione, pubblicato a metà aprile. “Oggi le funzioni vitali dello Stato non sono più garantite, e tutto dipende dalla Protezione civile -denuncia Venti-. La gestione dei rifiuti è fuori controllo, come pure le attività estrattive. E ricorda: in Abruzzo non esiste un Piano cave”. Dove governa l’effetto emergenza, un Presidio di legalità. Ospitato nella nuova biblioteca che verrà costruita a Paganica (biblipaganica.wordpress.com), “attrezzata, funzionante e soprattutto ‘non provvisoria’”.
La miglior cosa è venirci
“Il Rifugio è aperto. Molte altre strutture hanno riaperto dopo il terremoto… il migliore aiuto che potete dare all’Abruzzo è quello di tornarvi”. L’appello campeggia sul sito del Rifugio della Rocca, ospitato in un edificio del ‘400 nel borgo abbandonato di Rocca Calascio, 1.460 metri sul livello del mare a circa 25 chilometri dalla città de L’Aquila (www.roccacalascio.it). “Abbiamo un terzo dei lavoranti dello scorso anno. Uno fisso, e altri su chiamata, invece di 4/5. E se non c’è lavoro, la gente va via” mi dice Susanna Salvati, arrivata a Rocca Calascio col marito nel ‘94. “Oggi abbiamo 12 camere sparse per il borgo. E un ristorante. Organizziamo iniziative, soprattutto musicali. Pensa che dopo il 6 aprile, mi hanno telefonato dei ciclisti da Milano, chiedendomi se potevano venire, se non disturbavano”.
Le fa eco Manuela Cozzi, ad Anversa degli Abruzzi: “Il turismo partecipato è una risposta al terremoto”. L’idea di un “albergo diffuso” nella Valle del Sagittario (www.albergodiffusoanversa.it) è nata dopo il terremoto che nel 1984 aveva colpito la zona di Avezzano: “Arrivai nel 1982, e tutto sembrava abbandonato. L’ultimo esodo della popolazione era stato negli anni 70. I contributi post terremoto, allora, ci dettero la possibilità di creare l’Albergo diffuso, attirando un turismo che funzionava da volano per l’economia del territorio”. Un sentiero battuto da cui ripartire.
Sotto il sicomoro
“Il Sicomoro” ha subito la scossa, ma le sue radici sono ancorate al terreno. “Il Sicomoro” è l’associazione che gestiva una bottega del commercio equo nel centro storico de L’Aquila ed era punto di riferimento del “Gas L’Aquila” (www.ilsicomoro.org). All’ultima assemblea di Ctm ha presentato il progetto per un nuovo punto d’incontro per le economia solidali aquilane, promosso insieme alla cooperativa “Il Mandorlo” di Pescara e all’Abruzzo Social Forum: “L’acquisto di una struttura chiusa da sistemare nei pressi del centro storico o nelle zone dove nel prossimo futuro si svilupperanno la maggior parte delle attività della città”. Dove trovare anche Ae e Carta.
Quello del Sicomoro è uno dei 41 progetti monitorati dal Centro servizi per il volontariato dell’Aquila (www.csvaq.it), che intervistando una quarantina di associazioni attive sul territorio ha realizzato un database con tutte le necessità (da inviare a possibili donatori) e attivato presso Banca Etica un conto corrente. Incontro Gianni Pappalepore, presidente del CsvAq, nella tenda del Csv all’interno del campo dell’Acquasanta: “Sono stati raccolti circa 80mila euro (fino ai primi dieci giorni di giugno, ndr). Li utilizzeremo per un ‘Bando di idee straordinario per sostenere le associazioni di volontariato della provincia dell’Aquila attive sul territorio nell’emergenza’ -spiega- e per costruire una ‘Casa del volontariato’ aquilano di circa 700 metri quadri. Stiamo trattando con il Comune per individuare uno spazio adeguato”.