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Serve un nome nuovo per le nostre democrazie in crisi

Jordan Bracco © Unsplash

Le politiche di molti Paesi europei verso i migranti o chi protesta nelle banlieue richiedono il ricorso a termini meno rassicuranti per definirci. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 262 — Settembre 2023

Se non riusciamo a trovare i vocaboli giusti per capire meglio il difficile momento storico che stiamo vivendo abbiamo bisogno di parole adeguate. Se non riusciamo a trovare i vocaboli giusti diventa impossibile comprendere un mondo che sta cambiando vorticosamente. Tanto più che siamo sottoposti a forme di comunicazione giornalistiche, politiche e istituzionali che seguono la via dello stereotipo, se non della propaganda.

Il clima da guerra globale legato al conflitto in Ucraina aggiunge elementi di rigidità nel lessico e inevitabilmente nel pensiero. Si è affermato ancora una volta, in questo critico contesto, il preteso contrasto di civiltà tra “noi” e “loro”, tra “buoni” e “cattivi”, fra “democrazie” e “dittature”. Una dicotomia che non aiuta a comprendere la realtà e che soprattutto non regge il confronto con i fatti. Se proviamo a concentrare l’attenzione sulla nostra parte, quella dei “buoni” e delle “democrazie”, i conti (cioè le parole) cominciano subito a non tornare.

Pensiamo alla Francia, alle rivolte nelle banlieue seguite all’incredibile esecuzione (come altro definire quell’omicidio con un colpo di pistola alla testa, a fine giugno?) di un giovane in automobile da parte di un poliziotto. Il governo francese ha risposto mobilitando migliaia di agenti in un clima di coprifuoco, mostrandosi poco interessato ad affrontare il conflitto sociale e le discriminazioni subite da una parte della popolazione con gli strumenti del dialogo e dell’intervento sociale; ha preferito l’uso della forza. A luglio ha preso forma un accordo tra Unione europea e Tunisia che prevede un nuovo patto di militarizzazione dei confini marittimi dell’Ue.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, hanno gioito per il memorandum stretto con l’autoritario regime tunisino, incuranti della sua natura lesiva dei diritti umani fondamentali. Per i politici europei è un accordo da spendere nella sempre più miserabile propaganda interna (l’ennesimo “Stop all’immigrazione clandestina”); nella sostanza un’intesa che desertifica la retorica sulla “civiltà europea” e sui “nostri valori”. Potremmo aggiungere altri recenti casi di cronaca, parlando per esempio della democrazia israeliana che scatena l’esercito nei campi profughi palestinesi, di quella britannica che allestisce “chiatte di concentramento” in cui detenere persone (poco desiderate) in attesa di risposta alla loro domanda d’asilo, di quella statunitense che invia le rivoltanti bombe a grappolo all’Ucraina in guerra.

Sono 1.311 le persone arrestate durante le rivolte nelle banlieue francesi dopo l’uccisione di Nahel, 17 anni, a fine giugno 2023. Un terzo sono minorenni.

Qualche decennio fa lo scrittore Predrag Matvejević usò il termine “democrature” per definire i regimi nati dal crollo dell’Unione sovietica: gli Stati ex satelliti di Mosca non erano più dittature o autocrazie, ma nemmeno Paesi davvero democratici. Avremmo bisogno di un termine analogo per definire noi stessi. Qualcuno ha parlato di post-democrazie, ma la nozione è rimasta relegata all’ambito accademico; potremmo decidere di usare la locuzione ex-democrazie. O adottare una fraseologia più neutra ma meno benevola e rassicurante: potremmo parlare di “regime europeo”, “regime francese”, “regime italiano”. Ci avvicineremmo maggiormente alla realtà, evitando di scomodare etichette più nobili ma ormai consunte. Non si tratterebbe -tutt’altro- di mettere “noi” e “loro” sullo stesso piano, perché i “nostri” regimi sono ancora preferibili a quelli autocratici o militari coi quali ci confrontiamo, ma almeno saremmo più onesti con noi stessi e avremmo una percezione più realistica del mondo in cui viviamo.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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