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Sadali, il borgo che prova a rinascere

Il comune sardo, meno di mille abitanti, incentiva coloro che vi si trasferiscono con un buono spesa mensile

Tratto da Altreconomia 146 — Febbraio 2013

Sadali è un comune di montagna nell’entroterra cagliaritano. Oggi vi risiedono 960 persone, ma all’inizio degli anni ‘60 erano più di 1.400, Da allora e fino al 2010 Sadali ha subito uno spopolamento apparentemente inarrestabile. Poi l’amministrazione guidata da Romina Mura (42 anni, e una laurea in Scienze politiche), propone una misura per invertire la rotta (almeno nel breve periodo): ai nuovi residenti che si trasferiscono da un comune con più di 3mila abitanti, l’amministrazione offre buoni spesa per 200 euro al mese (per 2 anni), con cui acquistare beni e servizi in paese. Beneficiano così dell’iniziativa sia le nuove famiglie residenti (7 nel 2011, altre 8 nel 2012), sia i gestori delle attività commerciali, produttive e terziarie di Sadali. Il costo dell’operazione nel 2012 ha inciso solo per l’1,3% sul bilancio comunale, che è di 4 milioni di euro. A questa si affiancano due misure di emanazione regionale: l’erogazione di contributi a fondo perduto per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di immobili da destinare a prima abitazione, a favore di chi ha meno di 60 anni e trasferisce la propria residenza a Sadali da un comune con più di 5mila abitanti. L’altro è l’assegnazione di contributi a fondo perduto a persone (residenti e non) che decidano di avviare o trasferire a Sadali un’attività non presente nel territorio comunale. Contrastato lo spopolamento, Sadali deve far fronte a due ulteriori sfide: la necessità di immobili da affittare ai nuovi residenti (nonostante il patrimonio edilizio esistente sia in grado di accogliere fino a 5mila abitanti) e la mancanza di opportunità occupazionali.
Per far fronte al problema casa l’amministrazione valuta  di abbassare l’aliquota Imu per chi affitta seconde case a nuovi residenti, e l’istituzione di un fondo di garanzia per tutelare i proprietari degli immobili affittati. Il lavoro è invece un problema difficile da risolvere senza interventi strutturali di carattere sovra locale. L’iniziativa regionale dispone di risorse esigue, e non consente di ipotizzare ricadute positive sull’economia locale. —

Economia di montagna
Spopolamento e crisi dell’economia agricola caratterizzano un numero sempre più vasto di piccoli comuni montani. Eppure anche in questi territori non mancano storie di giovani agricoltori che decidono con la loro attività di ristabilire un forte legame con i luoghi, mantenere in vita antiche tradizioni e conservare quel paesaggio culturale che al tempo stesso consente di preservare fragili equilibri ecologici e rendere attrattiva la montagna italiana.
Barbara Del Gener ne è testimonianza. Risiede a Mese, un piccolo comune di 1.740 abitanti nel fondovalle alle porte di Chiavenna (So): ha trentanove anni, due figli di 5 e 7 anni, e 30 capre. Nel 2005 ha lasciato il lavoro presso uno studio di commercialisti per dedicarsi all’allevamento, una tradizione di famiglia. Aiutata da genitori, suoceri e marito (che lavora in banca), avvia una piccola attività a conduzione familiare. Oggi nella sua azienda agricola si contano trenta capi, nutriti prevalentemente con foraggio proveniente dallo sfalcio dei terreni della valle, di proprietà della famiglia o in affitto. In estate, quando le scuole sono chiuse, Barbara si trasferisce con i suoi bimbi e le capre in alpeggio, al Laguzzolo, in comune di San Giacomo Filippo (415 abitanti, erano 472 nel 2001): l’alpe si trova in Valle del Drogo a 1.744 metri di quota, raggiungibile esclusivamente a piedi. Ricoverate in baita solo durante la notte, le capre vengono munte una volta al giorno: l’azienda agricola produce meno (perché in assenza di energia elettrica il latte munto deve essere lavorato quotidianamente), ma questa scelta garantisce al bestiame una vita migliore.

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