Ambiente / Attualità
Sulle tracce del lupo. Così i branchi sono ritornati sulla catena alpina
Il progetto europeo LIFE “WolfAlps” ha permesso di mappare la presenza dei lupi sulle Alpi italiane. Dall’autunno 2019, l’indagine si allargherà a Francia, Svizzera, Austria e Slovenia. L’importanza della ricerca per interventi efficaci
Il punto di partenza, spesso, è l’orma di una zampa sulla neve. “A quel punto segui a ritroso la traccia e, se sei fortunato, puoi trovare segni del passaggio del lupo: resti di predazione, escrementi, urina o peli. Raccolti i campioni e compilata una scheda geo-riferita al ritrovamento, il tutto viene mandato in laboratorio dove, grazie all’analisi del DNA è possibile identificare ogni singolo animale e ricostruire i legami familiari”. Irene Borgna, antropologa e guida naturalistica, è uno degli oltre 500 operatori che tra il 2013 e il 2018 ha partecipato al progetto europeo LIFE “WolfAlps” (attraverso il programma LIFE l’Unione europea eroga finanziamenti per progetti di salvaguardia dell’ambiente e della natura. Il programma è stato istituito nel 1992 per sostenere progetti nell’Ue e in alcuni Paesi candidati e limitrofi) che ha permesso di mappare la presenza dei lupi sulle Alpi italiane, dove si stima ci siano 46 branchi e 5 coppie per un totale di almeno 293 lupi nel periodo 2017-2018.
“Con ‘Wolfalps’ abbiamo potuto raccogliere i dati in modo sistematico su tutto l’arco alpino, dal Piemonte al Friuli, grazie al coordinamento di 46 istituzioni -Regioni, Province, Parchi nazionali e regionali, Carabinieri forestali- che hanno siglato dei protocolli ad hoc”, spiega Francesca Marucco, zoologa, coordinatrice scientifica e project manager del “Progetto Lupo Piemonte”. Dall’autunno 2019 è previsto l’avvio di una seconda fase del progetto europeo (“WolfAlps Eu”) che allargherà l’indagine e i progetti per la gestione della specie a tutti i Paesi della catena alpina (Francia, Italia, Svizzera, Austria e Slovenia) mettendo in rete 19 partner istituzionali e più di 100 enti.
L’analisi dei dati genetici di ogni singolo animale ha permesso ai ricercatori di identificare con precisione ciascun lupo, ricostruire i legami di parentela all’interno del branco, ma non solo. La lettura di queste tracce permette di seguire gli spostamenti dei branchi e le “dispersioni” dei cuccioli ormai diventati adulti, che lasciano il nucleo di appartenenza per andare a occupare nuovi territori. Seguendo così passo dopo passo il processo che dalla fine degli anni Novanta sta portando il lupo a riprendere possesso dei territori della catena alpina dove si era estinto negli anni Venti del Novecento.
“A partire dagli anni Settanta -spiega Marucco- si sono verificate tre condizioni che hanno permesso a questo animale di tornare sulle Alpi: la progressiva ri-naturalizzazione degli ambienti montani, il ritorno degli ungulati selvatici (cervi, camosci e caprioli) e la protezione legale della specie grazie a una maggiore attenzione per l’ecologia e la biodiversità”. Partendo dall’Appennino centrale -dove non si è mai estinto- il lupo ha iniziato così a riguadagnare spazio, prima verso l’Appennino settentrionale negli anni Ottanta e poi verso le Alpi Occidentali. “Si è espanso naturalmente -sottolinea Marucco-. Il primo branco documentato sulle Alpi è stato avvistato in alta Valle Pesio (in provincia di Cuneo, ndr) nel 1996. Oggi la maggior parte degli animali si trova in Piemonte e Valle d’Aosta, ma già nel 2012 è stato documentato il primo branco nelle Alpi centrali e nel 2017-2018 sono presenti otto branchi nelle Alpi centro-orientali, in particolare tra il Veneto e la provincia di Trento.
Avere dati affidabili sui numeri e sulla reale presenza del lupo è essenziale per conoscere lo stato di salute della popolazione, per gestire la specie e pianificare politiche di intervento efficaci. “Il ritorno del lupo in territori dove è stato assente per oltre un secolo crea conflitti a livello locale con il mondo venatorio e con gli allevatori, perché preda gli animali domestici -spiega Francesca Marucco-. Per un amministratore locale e nazionale sapere quanti animali ci sono è il primo passo per attuare normative efficaci per la gestione della fauna selvatica”.
Sulle Alpi italiane si stima ci siano oggi 46 branchi e 5 coppie per almeno 293 lupi nel periodo 2017-2018. Un processo di riconquista iniziato negli anni Settanta
Nelle valli dove è tornato il lupo, la vita e l’attività degli allevatori di montagna hanno subito profondi cambiamenti, non sempre positivi, per una categoria che già vive molte difficoltà dal punto di vista economico, con margini di guadagno spesso modesti. “Chi prima poteva lasciare gli animali al pascolo per giorni ora deve chiuderli all’interno recinzioni elettrificate ogni sera e custorire l’alpeggio tutti i giorni per tutta la stagione”, spiega Irene Borgna. Per questo motivo, uno degli ambiti di intervento di “WolfAlps” è stata la prevenzione dei conflitti, attraverso l’installazione di reti elettrificate, la fornitura di cani da guardiania per proteggere le greggi e le mandrie nelle zone di nuova ricolonizzazione. Sono inoltre stati attivati progetti per la valorizzazione dei prodotti caseari con una linea chiamata “Terre da lupi”, di allevatori che devono fare i conti con la presenza del grande predatore.
Un’ultima sfida, per i ricercatori, si gioca sul piano della comunicazione e della corretta informazione: “Sul lupo tutti hanno un’opinione o pregiudizi: in positivo o in negativo -spiega Irene Borgna-. Da un lato il lupo viene usato come capro espiatorio per attirare di rimando l’attenzione sugli altri problemi di carattere economico e burocratico -più gravi dei predatori, ma anche più difficili da far capire all’opinione pubblica- degli allevatori in montagna, dall’altro ci sono gli ‘entusiasti’ che santificano il lupo e minimizzano i problemi degli allevatori perché non li vivono sulla loro pelle. I ricercatori, che hanno a cuore la conservazione della specie, invece hanno il compito di spiegare le cose in modo oggettivo e sulla base di dati scientifici”.
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