Economia / Opinioni
Riforma fiscale e “Flat tax”: i rischi per lo Stato e la coesione sociale
Il regime agevolato per gli autonomi rischia di provocare distorsioni e aumentare le disparità tra i lavoratori. Il commento di Matteo Jessoula e Michele Raitano per l’Osservatorio per la coesione e l’inclusione sociale
La Legge di Stabilità per il 2019 ha modificato il regime fiscale per i lavoratori autonomi con l’obiettivo di ridurre il livello del prelievo per questi contribuenti. Due sono le innovazioni introdotte. Primo, si è stabilito un deciso ampliamento, a partire dal 2019, della platea di lavoratori autonomi che possono accedere al regime fiscale agevolato con aliquota del 15%, ulteriormente ridotta al 5% per i primi cinque anni di attività: rientrano così nel nuovo regime i lavoratori autonomi con reddito annuo fino a 65.000 euro lordi (la norma precedente prevedeva un reddito massimo di 30.000 euro per gli under 35 e di 25-50.000 per gli altri). Secondo, a partire dal 2020, si è creato un nuovo regime fiscale, con aliquota fissa al 20% per i lavoratori autonomi con redditi annui tra i 65.000 e i 100.000 euro. Alcune stime mostrano come, con tali regole, circa l’80% dei lavoratori autonomi non sarebbe soggetta all’imposizione fiscale sui redditi (Irpef) caratterizzata dal principio di progressività del prelievo, e, a parità di reddito, pagherebbe molte meno imposte dei lavoratori dipendenti, soggetti ad aliquote marginali del 23% su redditi annui fino a 15.000 euro per arrivare al 41% per i redditi fino a 75.000 euro e al 43% oltre tale soglia.
La frammentazione in materia di normativa fiscale conseguente a tali novità produce diverse distorsioni: 1) iniquità tra i lavoratori dipendenti e la maggior parte degli autonomi; 2) iniquità tra i lavoratori autonomi che accedono al regime fiscale agevolato e quelli che ne sono esclusi; 3) una sensibile riduzione della progressività del sistema; 4) un incentivo ad assumere autonomi al posto di dipendenti per ridurre il costo della manodopera; 5) una riduzione delle entrate dello Stato, per effetto delle più basse aliquote fiscali e per l’incentivo a non superare la soglia dei 100.000 euro. Inoltre un dibattito sempre più intenso è emerso attorno alla “Flat tax”. La proposta mira a superare la progressività dell’attuale regime fiscale con l’introduzione di un sistema duale di prelievo caratterizzato da un’aliquota unica al 15% per tutti i redditi fino a 80.000 euro annui, combinata con un’aliquota del 20% per le quote di reddito superiori a tale soglia. Poiché il principio della progressività fiscale è saldamente ancorato alla Costituzione, è prevista una deduzione pari a 3.000 euro finalizzata a mantenere una limitata progressività.
50 miliardi di euro, la riduzione delle entrate annue nel bilancio dello Stato se venisse introdotta la “Flat tax” proposta nel “Contratto di governo”
Se venisse approvata, la “Flat tax” produrrebbe una serie di significative conseguenze. Un’analisi a cura di Baldini e Rizzo (“Flat tax”, Il Mulino, 2019) mostra che non solo verrebbe ridotta la progressività del sistema -la maggior parte dei risparmi fiscali andrebbe a vantaggio dei più ricchi- ma deriverebbero anche conseguenze preoccupanti sulla finanza pubblica, con una diminuzione delle entrate attorno ai 50 miliardi l’anno. Da un’altra prospettiva, alcune nostre simulazioni mostrano che l’introduzione della Flat Tax avrebbe importanti conseguenze negative, incrementando la disuguaglianza: i valori del coefficiente di Gini, che misura la disuguaglianza dei redditi, aumenterebbero infatti da 0,348 a 0,381 nel caso di redditi da lavoro (prima del prelievo fiscale il valore è del 0,391) e da 0,342 a 0,372 per i redditi da pensione (il valore è 0,384 prima delle tasse). I rischi sia per lo Stato sia per la coesione sociale paiono dunque essere rilevanti, specie in un Paese caratterizzato da persistenti difficili condizioni di finanza pubblica e da tassi di disuguaglianza (e povertà) tra i più elevati d’Europa.
Michele Raitano è docente di politica economica alla Sapienza di Roma. Matteo Jessoula insegna scienza politica all’Università degli Studi di Milano. Entrambi fanno parte dell’Osservatorio sulla coesione sociale.
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