Altre Economie / Varie
Relazioni contadine
I giovani francesi protagonisti di un nuovo modello agricolo e dell’incontro finale del progetto “Solibam”, nella Loira —
Laurence, cuoca e nutrizionista, mi dà tra le mani un pacchetto di farina di mais, sull’etichetta gialla si legge: “Ferme de Ribeyrolles / Semoule de mais / Semences de ferme / Variétés locales”. I dettagli si susseguono: è un miscuglio di diverse varietà coltivate biologicamente, macinata a pietra e confezionata dall’azienda di Joelle e Bertrand Lassaigne, a Le Change, che è un piccolo paese dell’Acquitania francese. La farina è un dono che devo riportare in Italia, a Giandomenico Cortiana, presidente dell’Associazione veneta dei produttori biologici (A.ve.pro.bi., www.aveprobi.org), che a Isola Vicentina (Vi) coltiva ortaggi, mele e l’antico mais Marano. Così, una manciata di mais annulla gli oltre mille chilometri che separano agricoltori di diversi paesi: crea relazioni contadine. Succede grazie a progetti internazionali seguiti in Italia da Rete Semi Rurali (www.retesemirurali.net), come quello che lo scorso luglio ha portato 200 persone a Nantes (“capitale verde d’Europa” nel 2013), nella Francia occidentale, per il congresso conclusivo di Solibam, acronimo di “Strategies for organic and low-input integrated breeding and management” (in italiano, “Strategie per l’integrazione di riproduzione e gestione in agricoltura biologica e a basso input”, www.solibam.eu).
Il progetto -finanziato dall’Unione europea- ha coinvolto per 4 anni, dal 2010, 12 paesi (tutti europei, tranne l’Etiopia e il Mali) e 23 organizzazioni, ma anche finanziato 16 dottorati e realizzato oltre 80 incontri in altrettante aziende agricole. L’obiettivo era creare un ponte tra il mondo della ricerca e quello contadino, per sperimentare nuove forme di miglioramento partecipativo nella selezione delle sementi in agricoltura biologica. Per tutti noi, un’occasione per incontrare ricercatori e scienziati di diverse provenienze e ambiti di ricerca e visitare direttamente le aziende agricole che hanno partecipato alla sperimentazione in campo, coltivando antiche varietà di grani. In Francia, si tratta soprattutto di aziende condotte da giovani agricoltori. Florent Mercier ha 32 anni e gestisce l’azienda avviata dai genitori, “Le pont de l’arche”, 70 ettari di terra a Bouchemaine, coltivati biologicamente dal 1978. Il simbolo dell’azienda è una mucca che guarda una spiga: tra i cereali (sono 400 le diverse varietà messe a dimora), infatti, pascolano 25 mucche da latte Braunvieh (una razza svizzera) per produrre formaggi a latte crudo: “Questo lungo lavoro di sperimentazione in campo ci ha permesso di lavorare con i ricercatori, e acquisire nuovi strumenti per portare avanti la selezione naturale di alcune varietà, riportando nelle mani degli agricoltori le sementi e i saperi che le accompagnano”, dice Florent a proposito di Solibam. Mentre ci accompagna a visitare i campi dove ha coltivato i cereali del progetto Solibam, si ripara dal sole con un cappello e tiene in una mano un microfono portatile e nell’altra una fascina di una pianta elegante, rossa. È trifoglio, “Trifolium vesiculosum” -come mi scrive sul quaderno- un’erba foraggera. “Sono agricoltore da più di 10 anni”, sorride Florent quando gli chiedo l’età. La “dotation jeunes agriculteurs” (Dja) è uno strumento con cui il ministero francese dell’Agricoltura garantisce un sostegno economico e un percorso formativo ai cittadini europei tra i 18 e i 39 anni, diplomati in agricoltura o tecnici, che vogliano crearsi un lavoro in agricoltura.
Il percorso prevede la stesura di un progetto per l’insediamento da realizzarsi nei 5 anni successivi, con un contributo che varia dagli 8mila ai 35mila euro a seconda del tipo di progetto. L’età media di insediamento dei giovani in agricoltura è 28 anni; un terzo di loro non viene da famiglie contadine e il 22% è donna. Dal 2010, sono oltre 5mila i giovani che hanno ricevuto la dotation, e il 95% delle aziende avviate con questi contributi sono ancora attive dopo 10 anni.
Kévin Sperandio, trentenne, è uno dei 4 dipendenti di Germinance (www.germinance.com), una piccola ditta “artigianale e indipendente”, come si definiscono, che -grazie a una rete di 40 produttori certificati Demeter- dal 1985 vende oltre 400 varietà di sementi biologiche e biodinamiche di ortaggi, aromatiche, piante medicinali e fiori. Germinance segue la riproduzione dei semi presso gli agricoltori, fatta sempre a partire da coltivazioni bio, e si occupa della vendita in Francia, direttamente o nelle botteghe biologiche “Sartoriz”. Il prezzo è equo per i produttori (pagati anche 100 volte di più rispetto al mercato convenzionale) e accessibile per i consumatori: “È così costosa una bustina di semi da 2,25 euro per 100 grammi, se pensiamo che potremmo raccogliere, se tutto va bene, almeno 300 lattughe, o 20 chili di carote, o 100 chili di pomodori bio? E che, inoltre, queste piante possono fornire sementi per l’anno successivo?”, fa riflettere François Delmond, presidente di Germinance.
Mathieu Beliard è uno dei produttori di Germinance: ha 29 anni e gestisce un’azienda biologica a St Laurent de la Plaine, nella Loira. La sua azienda diventa il palcoscenico di alcuni atelier in campo nell’ambito di una giornata sui semi contadini organizzata da Réseau Semences Paysannes (www.semencespaysannes.org), a cui Mathieu è associato. Potagère, mais e blé: sono 3 i laboratori tematici -dedicati rispettivamente a ortaggi, mais e frumenti, le specialità dei Pays de la Loire- durante i quali i partecipanti ruotano, proprio come le colture, da un terreno all’altro, per conoscere direttamente in campo quel di cui si parla.
Il raccolto, poi, è trasformato in cucina da tre donne: Bernadette, Nolwenn e Marie. Lavorano in 3 diverse cooperative che fanno parte della stessa rete, “Coopérer pour entreprendre” (Cpe, www.cooperer.coop): nata negli anni 80 per dare una risposta alla disoccupazione in base al principio entreprendre collectivement, la Cpe riunisce oggi 68 cooperative per l’impiego in diversi settori, con 145 sedi in tutta la Francia, e dà lavoro a 4mila persone, il 54% donne. “La nostra è una cucina ricca di legumi e cereali, usiamo con moderazione formaggi, carni e pesci. Per insaporire usiamo spezie, alghe ed erbe aromatiche”, spiega Bernadette, aggiungendo l’attenzione alla stagionalità, alla filiera corta e all’agricoltura biologica. La loro è una “cucina itinerante e mutualistica”, come dicono, un catering che utilizza “ingredienti locali trasformati secondo i sapori del mondo” e dove le cucine degli altri diventano teatro di un lavoro comune, chiudendo così la filiera di un’esperienza collettiva. —