Economia / Opinioni
I referendum “autonomisti” e la questione fiscale
Nel nostro Paese il carico fiscale è estremamente concentrato in capo a una fascia molto limitata della popolazione. E il 45,5% degli italiani paga solo il 3,13% del totale Irpef. Si tratta di palesi asimmetrie che mettono in crisi l’idea di “cittadinanza condivisa”. L’analisi di Alessandro Volpi
I recenti referendum “autonomisti” in Lombardia e Veneto hanno sollevato una questione rilevante relativa ai temi più generali della sostenibilità e dell’equità dei conti pubblici italiani. In particolare due aspetti emergono con evidente chiarezza dalla disamina dello “Stato sociale” del nostro Paese.
Il carico fiscale è estremamente concentrato in capo a una fascia molto limitata della popolazione. Nel 2016, i contribuenti italiani hanno pagato 171,1 miliardi di Irpef, a cui va sottratto lo sgravio di 8,96 miliardi legato al bonus del governo Renzi, di cui hanno beneficiato 11.155.355 contribuenti, pari al 27,3% dei dichiaranti. Tradotto in percentuali, il 45,5% degli italiani paga solo il 3,13% del totale Irpef; ciò significa che, se si considerano anche i redditi compresi fra i 15 e i 20mila euro, il 59,8% dei cittadini paga poco più di 17 miliardi, ma ne riceve solo per la sanità oltre 50.
È interessante poi mettere in luce chi sono i principali contribuenti Irpef perché da tale dato si profilano palesi asimmetrie. I lavoratori dipendenti pagano ben 103 dei 171 miliardi dell’Irpef e rappresentano il 54% di quanti dichiarano redditi positivi con una fedeltà fiscale molto vicina al 100%. I 16 milioni di pensionati -di cui quelli che pagano almeno 1 euro di imposte sono circa 11,5 milioni- versano ogni anno quasi 60 miliardi di Irpef, pari al 34,7% del totale, con una concentrazione anche in questo caso molto forte; il 45,4% dei pensionati paga il 6,25% del totale della categoria mentre il 36,6 paga l’81,1%.
Assai diversi risultano i numeri dei lavoratori autonomi che sono 7,5 milioni, ma di cui solo 5,1 milioni presentano una dichiarazione dei redditi e soltanto 2,6 milioni dichiarano redditi positivi. In estrema sintesi, solo il 6,75% degli autonomi, pari a 335mila soggetti, versa imposte sufficienti a pagarsi la sanità. Dunque, come accennato, il fisco italiano manifesta una cattiva distribuzione a cui si aggiunge un ulteriore elemento di rilievo. Nel 2016 gli italiani hanno dichiarato, ai fini Irpef, quasi 833 miliardi, di cui oltre 455 sono stati erogati dallo Stato stesso tra pensioni, prestazioni assistenziali, sostegno al reddito e altre forme. Ciò significa, come hanno messo in luce studi recenti, che gli italiani producono da soli, senza l’aiuto dello Stato, meno della metà del reddito totale del Paese. Nel caso italiano è decisamente squilibrato anche il rapporto tra spesa previdenziale e spesa assistenziale, con la seconda che è pari a circa il 60% della prima, ma che, a differenza di essa, grava per intero sulla fiscalità generale, contribuendo a peggiorare i meccanismi redistributivi.
Questi dati sono resi ancora più insostenibili dalla loro distribuzione geografica che, per molti versi, alimenta le pulsioni autonomistiche. Un osservatorio particolarmente eloquente in tal senso è costituito dal versamento dei contributi Inps che sono stati nel 2015 pari a quasi 135 miliardi, di cui il 64,5% proviene dalle otto regioni del Nord, il 20% dalle quattro del Centro e il 16,4% dalle otto regioni del Sud, con una netta sperequazione in termini di spesa perché su un totale di uscite pari a 177 miliardi -dunque assai più alte dei versamenti- il Nord assorbe il 55,8% del totale, il Centro il 19,7 e il Sud il 24,4%. Ciò vuol dire, calcolando il saldo pro-capite in rapporto alla popolazione, che lo Stato per il solo sistema pensionistico trasferisce ad ogni cittadino del Sud oltre 1.000 euro l’anno a fronte dei 658 del Centro e i 474 del Nord.
Allargando il campo di osservazione e aggiungendo ai contributi previdenziali, le entrate fiscali dirette e tutte le spese per pensioni, assistenza, invalidità e sanità, il dato è ancora più netto: le regioni del Nord generano un attivo di circa 27 miliardi, il Centro si avvicina ai 4 miliardi, mentre le regioni meridionali registrano un disavanzo di 36,6 miliardi che assorbe quindi l’intero attivo di Nord e Centro e ha bisogno anche di 1/5 dell’intera Ires. In un panorama siffatto, con il complesso della spesa sociale che viene finanziata da un parte ridotta della popolazione e, al contempo, molto circoscritta a poche aree geografiche ben definite, risulta davvero difficile mantenere in vita un’idea di cittadinanza condivisa, soprattutto nel momento in cui faticano a operare i collanti della politica e gli appelli all’appartenenza a denominatori comuni di carattere generale.
Università di Pisa
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