Racconti in questura
L’Italia e le politiche migratorie secondo Gianpaolo Trevisi, l’ex dirigente dell’ufficio immigrazione di Verona autore del libro “Fogli di via” “Non mi è mai piaciuto il termine ‘clandestino’. Ho sempre pensato di avere di fronte esseri umani. Ribadirlo non era…
L’Italia e le politiche migratorie secondo Gianpaolo Trevisi, l’ex dirigente dell’ufficio immigrazione di Verona autore del libro “Fogli di via”
“Non mi è mai piaciuto il termine ‘clandestino’. Ho sempre pensato di avere di fronte esseri umani. Ribadirlo non era scontato negli uffici dove ho lavorato”. Gianpaolo Trevisi ha 39 anni ed è vice questore alla squadra mobile. Un poliziotto, insomma. Per sei anni ha diretto l’ufficio immigrazione della questura di Verona, lui che è romano. Da quell’esperienza è scaturito un libro, Fogli di via: una collezione di 18 racconti che danno conto, forse per la prima volta, del punto di vista di chi sta dall’altra parte della scrivania nella delicata trafila che stabilisce chi ha diritti di cittadinanza, e chi no.
Come lavora l’ufficio immigrazione di una città come Verona?
Tutto il Nordest vive molti problemi legati all’immigrazione. Gli uffici immigrazione sono in prima linea, sia da un punto di vista poliziesco, sia da quello dei rinnovi dei permessi di soggiorno. A Verona sono stato sei anni, dal novembre 2002, in piena sanatoria, al marzo 2008, e ho fatto un po’ di tutto. Il 90% del personale dell’ufficio, tutti poliziotti, si occupa del rilascio dei permessi, attività che richiede la maggior parte del tempo. Solo in pochi si occupano delle espulsioni. Faccio una valutazione: è un paradosso che parli di immigrazione un ufficiale di Polizia.
È per questo che gli uffici immigrazione funzionano così male?
La Polizia deve pensare ad altro: mancano risorse umane e materiali da dedicare alla burocrazia legata all’immigrazione.
Il risultato sono tempi di attesa troppo lunghi per il rinnovo del permesso, risposte che non arrivano mai. Tutto questo è vissuto male anche da parte di chi in quegli uffici ci lavora. Ogni mattina ci toccava fare la triste classifica delle priorità. Accontentare tutti è impossibile e arrivare a casa soddisfatto del proprio lavoro quasi. Poiché non ci sono soluzioni a questa situazione all’interno della struttura, l’intervento deve essere normativo. Non possiamo togliere pattuglie dalle strade.
Uno dei racconti parla di un ricongiungimento familiare negato per cavilli burocratici.
Chi si riempie la bocca di parole come ‘integrazione’, deve tener conto del fatto che il ricongiungimento familiare è uno dei fattori più importanti. E bisogna facilitare le persone che da tempo stanno qui. Ad esempio andrebbero allungati i permessi di soggiorno: ci vuole un anno per ottenerli, e poi durano altrettanto. Nelle ultime elezioni si è vinto parlando di sicurezza. Su questo tema direi: troviamo una soluzione sulla gestione dei permessi, così da aiutare gli stranieri e garantire che i poliziotti si possano davvero dedicare alla sicurezza e meno alla burocrazia.
La difficoltà a mettersi in regola può essere causa di criminalità?
Senz’altro c’è un legame, ma questo non vuol dire che ogni mese si deve fare una sanatoria. Di sicuro c’è gente che delinque perché risucchiata dalla difficoltà di regolarizzarsi. Penso alle ragazze costrette alla prostituzione, o ai venditori ambulanti. In generale, gli stranieri vogliono regolarizzarsi. Il lavoro nero è causa o effetto? Il dubbio resta.
Che risultati ha avuto la “Bossi Fini”?
Su alcuni aspetti c’è stato un giro di vite troppo stretto, che ha complicato ulteriormente un mondo già complicato. Anche durante il governo centro sinistra, dal punto di vista umano e lavorativo non ci sono stati i cambiamenti che mi aspettavo. Molte diatribe ma pochi risultati. L’allungamento della durata dei permessi non c’è stato. Credo anche che per lo meno a livello amministrativo gli immigrati dovrebbero poter votare.
Quali sono le categorie più vulnerabili tra gli stranieri?
Vedo molti pregiudizi nei confronti dei maghrebini. In tutta Italia c’è difficoltà nei confronti dei lavoratori stagionali agricoli, che sono meno tutelati e sfruttati al massimo. Le donne rappresentano un’altra categoria molto debole. Qualche dato di realtà c’è, e va capito: a livello di reati registrati dalla polizia, alcuni sono riconducibili a certe etnie. Ma sarebbe molto sbagliato generalizzare.
Qual è l’atteggiamento dei poliziotti nei confronti degli stranieri?
La polizia è fatta di uomini: è compito di chi sta ai vertici punire i pregiudizi e i colpevoli degli episodi che emergano. Il G8 di Genova, con tutti gli errori che vi sono stati commessi, continua a insegnare: servono più formazione e informazione, e non lasciare soli gli agenti che lavorano sulle strade. Molto si è fatto. Cose negative accadono ancora, ma si tratta di una minoranza. Se così non fosse non starei in Polizia.
Il libro
Un vice-questore racconta storie di vite migranti e di burocrazia, raccolte da un osservatorio privilegiato: l’ufficio immigrazione della Questura di Verona, che Gianpaolo Trevisi (nella foto) ha diretto per sei anni. Da “L’Africa in un cassonetto” a “L’asilo di un colombiano”, nei 18 racconti del suo libro “Fogli di via” (Emi, 8 euro) riesce a sostituire volti e sentimenti ai numeri delle statistiche.