Altre Economie
Racconti di pasta madre
Quella del pane è sempre una storia di relazioni, come descrive Chiara Spadaro nell’introduzione a "Il pane & la madre", il nuovo libro di Altreconomia edizioni: "Ricette e farina del nostro sacco". Lo troverete in anteprima a "Fa’ la cosa giusta!"
Il pane che impasto racchiude le voci di Napoli e il calore del Vesuvio; i colori delle foreste malgasce; la scienza e la filosofia di un amico professore e cuoco per passione; l’energia delle donne con cui preparo il pane in casa; la storia epica delle terre calabre attraversate da Alarico; il profumo del grano d’estate, sulle colline pisane di Peccioli.
La prima pasta madre la portai dal Madagascar: con Nicola, cooperante di Reggio Emilia, sulle montagne malgasce impastavamo pane, da condividere nei villaggi e mangiare al mattino con il miele. Imparai su quelle alture a fare il pane, per riavvolgere – una volta tornata a casa – tutti quei chilometri e riportare l’arte della pasta madre a casa, azzerando le distanze.
Pur essendo da allora una “panificatrice a filiera corta”, di ritorno dai miei viaggi – anche brevi – porto spesso con me i lieviti di altri territori. Gianpietro, del collettivo napoletano "La ragnatela", teneva la pasta madre in una grande bacinella sotto al bancone di pietra della cucina, accanto a una cesta di noci. Me ne regalò una pallina, e l’indomani mi scrisse una mail con alcune indicazioni per usarla. Il suo è un racconto che fa sorridere e dal quale traspare una vera passione – quasi un culto – per il lievito madre: “Questa madre che ti ho dato è sposata con più madri, in particolare con una di 300 anni sarda e una di 150 anni di provenienza andalusa, portata in Italia diversi anni addietro da Antonio de Falco e Fortunato Fabbrocini, allievi di Emilia Hazelip (tre nomi simbolo dell’agricoltura sinergica) – scrive -. Per ravvivarla c’è un movimento con la mano che agevola il processo, praticamente consiste nel simulare uno schiaffo ripetuto con la mano moscia”.
Ricordo bene il profumo del suo pane colore dell’oro: nell’impasto metteva la curcuma. Per avere un po’ della pasta madre di Valentina – cuoca del ristorante L’Elibelinde, a Rende (Cs) -, ho dovuto aspettare che tramontasse il sole: deve essere scambiata con il buio – mi disse -, da donna a donna. Ad assistere a questo rito magico, stava l’Elibelinde dell’insegna del ristorante, la “donna con le mani sui fianchi” (dal turco), un archetipo della dea madre diffuso durante il periodo neolitico: sono certa che tra i seni, o sotto le vesti, porta una pallina di pasta madre.
Appartengo a quella parte della popolazione sempre imprecisa in cucina: abolirei l’uso della bilancia, a favore di mani e occhi, abili a valutare gli impasti. Piergiorgio, professore di filosofia in un liceo di Vicenza e cuoco per passione, prova invece a insegnarmi che “la pasta madre è un’arte scientifica”, da trattare con la matematica. Conservo ancora una serie di appunti complicati, con dosi e numeri, orari e temperature, presi mentre mi raccontava questa scienza, ma ne faccio scarso uso. “Quanta pasta madre hai usato?”, si ostina a chiedermi quando gli presento una pagnotta per avere il suo giudizio. Non lo so (quasi mai la peso), ma ho imparato a dosare il sale, questo sì: “Il pane senza sale è il pane per i ricchi, che hanno sempre a disposizione un companatico – mi disse -; quando fai il pane metti il giusto sale, così avrai un pane buono per tutti, anche per chi non può accompagnarlo con nulla”. È una delle lezioni sul pane più belle che porto con me.
Anche questo libro è una condivisione: di esperienze comunitarie e ricette eretiche, saperi diffusi e manualità abili. A partire dall’impasto più semplice, d’acqua e farina. Una raccolta di voci (cui speriamo di aggiungere delle altre in futuro) tra cum panis, compagni: coloro che si spartiscono il pane.