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“Quanto peseranno le lotte sindacali nel mondo del lavoro nello scontro Harris-Trump”

© Nelson Ndongala - Unsplash

Il giornalista Mike Elk è fondatore di Payday Report, portale di informazione online dedicato al mondo del lavoro negli Usa e, soprattutto, alle lotte che lo attraversano. Monitora gli scioperi nei 46 Stati e tiene il punto delle trattative in corso con le aziende (Stellantis inclusa) e le istituzioni. Il suo è un osservatorio privilegiato per capire che aria tira in vista del 5 novembre. Con il disastro palestinese sullo sfondo

Un lavoratore in picchetto ucciso di fronte ai cancelli della sua azienda in Missouri, l’aumento salariale ottenuto dai portuali della East coast con il loro sciopero, i sindacati dell’auto pronti a incrociare le braccia.

È anche questa l’America che si prepara a votare alle elezioni del 5 novembre: la racconta quotidianamente Mike Elk, ex giornalista di Politico e fondatore di Payday Report, un portale di informazione online dedicato al mondo del lavoro statunitense e, soprattutto, alle lotte che lo attraversano.

La sua newsletter fornisce quasi quotidianamente informazioni sugli scioperi nei 46 Stati americani e aggiornamenti relativi ai sindacati e alle trattative in corso con le aziende e le istituzioni pubbliche. Sul sito è disponibile anche una mappa degli States con quasi tremila punti segnalati: tanti sono gli scioperi avvenuti negli Stati Uniti e registrati da Mike Elk e dai suoi collaboratori dall’inizio della pandemia da Covid-19, nel marzo 2020.

Payday Report è una testata unica nel suo genere e Mike Elk, grazie alla sua carriera prima da giornalista e poi da editor di un portale online, è uno dei più importanti e non convenzionali osservatori dell’America di oggi, quella che si sta preparando alla sfida presidenziale tra Kamala Harris e Donald Trump. Lo abbiamo intervistato. 

Elk, a metà agosto Donald Trump si è complimentato con Elon Musk per le sue condotte antisindacali all’interno delle proprie aziende. Un’eventuale vittoria di Trump alle elezioni di novembre sarebbe una minaccia reale al diritto di sciopero negli Stati Uniti e, più in generale, ai diritti dei lavoratori?
ME Sì, Trump è una estrema minaccia per i diritti di tutti i lavoratori. Si comporta da uomo forte come aveva provato a presentarsi anche uno come Mussolini, ma non lo è per davvero. È quel tipo di persona che ama raccontarsi come uno duro, uno forte che vorrebbe abbattere chiunque possa diventare potente: per questo vorrebbe sbarazzarsi dei sindacati e dei diritti che rafforzano i lavoratori. Vorrebbe, ad esempio, che le cosiddette leggi “right to work” fossero adottate in ogni Stato americano per indebolire le organizzazioni dei lavoratori.

Mike Elk al lavoro

Le affermazioni di Trump hanno preceduto giorni e settimane di diffusa mobilitazione sindacale, che vede come protagonisti anche i lavoratori della multinazionale dell’auto Stellantis. L’anno scorso i suoi lavoratori hanno scioperato per sei settimane e anche quest’anno i rapporti tra l’azienda e i sindacati, in particolare lo United auto workers (Uaw), rimangono tesi, con minacce di sciopero da un lato e azioni legali dall’altro. Come mai?
ME È un rapporto davvero complicato e antagonista. L’azienda è accusata di non rispettare degli accordi sindacali. Di solito negli Stati Uniti i lavoratori possono scioperare solo alla fine dei contratti: la minaccia di farlo in questa fase, con un contratto ancora in vigore, è davvero inusuale ma anche indicativa di quanto potere hanno alcuni sindacati. Hanno deciso di minacciare lo sciopero ora perché è un momento intenso: i Democratici hanno bisogno del voto dei lavoratori mentre i Repubblicani stanno cercando di conquistarlo. Soprattutto negli Swing States (cioè gli Stati considerati decisivi per la vittoria alle elezioni presidenziali, ndr) come la Pennsylvania, dove ci sono persone che hanno molta fiducia nel sindacato, ma non sempre e non tutti votano per il Partito democratico. Chiunque voglia prevalere in Pennsylvania, però, lo sa bene di aver bisogno del voto dei lavoratori e quindi dell’appoggio dei sindacati. E la posta in gioco è alta: nelle ultime quattro elezioni solo chi ha vinto in Pennysilvania ha ottenuto più seggi al Congresso.

Mentre gran parte delle sigle sindacali, a partire da Afl-Cio, Teachers union o ancora la Uaw, hanno espresso pubblicamente il proprio appoggio ad Harris, quella dei camionisti (International brotherhood of teamsters) ha deciso di non schierarsi né con il partito democratico né con quello repubblicano. Perché?
ME Su questo punto vale la pena fare una precisazione: molte sezioni locali del sindacato dei camionisti in Stati come il North Carolina, Winsconsin, Michigan, per fare alcuni esempi, avevano già espresso chiaramente il loro supporto per Kamala Harris. La posizione del presidente dei Teamsters è un’uscita del tutto personale: non avrà grandi ripercussioni.

In generale, che cosa significa nel concreto il sostegno, l’endorsement, di un sindacato nella corsa presidenziale negli Stati Uniti?
ME Il supporto pubblicamente espresso di un sindacato a un candidato o a un altro è davvero importante qui. Le persone in genere sono legate ai sindacati: avere il loro supporto significa poter contare su finanziamenti e, soprattutto, su una rete di persone che vanno porta a porta a convincere gli elettori a votare per un candidato o per l’altro.

Un radicale cambio di passo”, ha definito così, in un reportage dalla sua città, Pittsburgh in Pennsylvania, la scelta di Kamala Harris come candidata democratica alla Casa Bianca. Perché ha scelto questa immagine potente? Che cosa ha significato la sua nomina?
ME Nei giorni precedenti al dibattito con Donald Trump, tra i più importanti della storia della politica statunitense, Kamala Harris ha deciso di venire proprio qui, a Pittsburgh. Ha detto di amare questo posto, dove i sindacati sono nati e sono ancora importanti. Per farti capire, è girato molto il video in cui, proprio qui in un negozio di Pittsburgh, la candidata ha stretto tra le braccia una signora in lacrime, rassicurandola. È stata una mossa strategica venire qui a mostrarsi vicina all’elettorato popolare di queste zone. Il vero problema è che Kamala Harris è perfino più brava di Barack Obama sia a mostrarsi vicina ai sindacati e alle persone comuni sia alle esigenze di Wall Street. Vuole di fatto creare un’alleanza tra i sindacati dei lavoratori e le élite finanziarie.  

Oltre al lavoro, uno dei temi più importanti che influenzeranno l’esito del voto del 5 novembre sarà la questione palestinese e l’incondizionato supporto garantito dall’amministrazione Biden al governo israeliano e ai massacri compiuti a Gaza, in Cisgiordania e ora in Libano. Quanto e come influirà sul voto dell’elettorato americano?
ME Penso che le politiche statunitensi in Palestina siano terribili, permettendo un genocidio, ma il modo con cui i vertici democratici stanno gestendo le cose all’interno sia veramente furbo. È un po’ come fece il presidente Johnson dopo la morte di Kennedy: c’era la guerra in Vietnam, è vero, ma allo stesso tempo la sua amministrazione sosteneva le lotte sindacali e favoriva l’adozione di leggi avanzate per i diritti sociali e civili. È la stessa dinamica che ha portato avanti Biden con la sua amministrazione, sostenendo le rivendicazioni e gli scioperi dei sindacati e allo stesso tempo dando il via libera ai bombardamenti israeliani. Per questo è davvero forte il sostegno tra i sindacati del ticket democratico Harris-Waltz. Se Biden non avesse lasciato mano libera al governo israeliano, i Democratici avrebbero probabilmente vinto queste elezioni. L’assurdo sistema elettorale americano, però, fa sì che Democratici o Repubblicani vincano o perdano solo per una manciata di voti in pochi Stati cruciali. Per Harris questo è un rischio ben presente: nonostante sia la candidata più vicina ai lavoratori da anni, rischia di non avere il sostegno, decisivo, di alcune migliaia o anche di poche centinaia di votanti per le sue posizioni acriticamente filoisraeliane. Molte persone hanno già deciso di preferirle o la candidata dei Verdi, Jill Stein, o Cornel West, pur di interrompere il flusso continuo di armi a Israele. Nelle urne la guerra sarà sicuramente una questione importante. 

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