Ambiente / Attualità
Ponte sullo Stretto, il ritorno. Perché è un incubo da abbandonare
Le prime ipotesi di attraversamento tra Sicilia e Calabria risalgono al 250 a.C., ricorda l’esperto Antonio Di Natale. Ora torna in auge, senza prestare alcuna attenzione all’ambiente marino e terrestre. Ma le evidenze smontano il progetto
Riparlare dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina è come affrontare per l’ennesima volta lo stesso virus che si presenta di tempo in tempo. Come ben riporta l’utile libro di Aurelio Angelini del 2007, che rifà la storia integrale delle ipotesi dell’attraversamento dello Stretto, se ne discute dal 250 a.C., quando Lucio Cecilio Metello fece realizzare un ponte di botti ed assi per trasportare i suoi elefanti da Messina sino alla Calabria.
Ma le discussioni e le ipotesi si intensificarono dopo l’Unità d’Italia e con la realizzazione delle ferrovie. Da allora, le ipotesi fatte non sono dissimili da quelle attuali: tunnel sub-alveo, tunnel sospeso o alveo, ponte a più campate e ponte a campata unica. L’unica differenza è che nessuno propone più di costruire un istmo come quello che progettò l’ingegner Del Bosco nel 1953.
Mi sono occupato delle varie ipotesi, per la parte ambientale sin dal 1986, quando vennero presentati i dieci volumi e gli studi accessori in relazione alle varie ipotesi. Quindi posso dire di avere una buona conoscenza degli elaborati e di quanto i vari tecnici hanno scritto sinora. Occorre riconoscere che, per la parte economica e in relazione all’ipotesi di ponte a campata unica, gli economisti dicevano chiaramente come si trattasse di un investimento che non avrebbe mai potuto avere un ritorno e già allora indicavano la possibilità di migliorare l’attraversamento marittimo. Una motivazione ulteriore veniva da una considerazione tecnica: con venti superiori a 60 chilometri orari, che occorrono per circa 45-60 giorni l’anno, le oscillazioni del ponte avrebbero comportato la chiusura al traffico dello stesso e, quindi, per salvaguardare il collegamento, occorreva comunque mantenere sempre in funzione i mezzi navali, con i costi conseguenti.
Mentre la parte strettamente tecnica di reale fattibilità è stata sempre problematica (anche se garantita dall’impresa proponente), la parte ambientale lo è stata anche di più. Infatti lo Stretto di Messina rappresenta un insieme ecologico e ambientale tra i più ricchi, complessi e importanti dell’intero bacino del Mediterraneo, con peculiarità uniche, comprovate da migliaia di pubblicazioni scientifiche nel corso dei secoli. Ospita periodicamente grandiosi flussi migratori di avifauna, nei due sensi, essendo uno dei corridoi principali di migrazione tra l’Africa e l’Europa. Analogamente le acque vedono imponenti flussi migratori di pesci e cetacei. Sulla sponda siciliana ci sono siti tutelati dall’Unesco come i laghi di Faro e Ganzirri, mentre le due sponde ospitano protezioni paesaggistiche e ambientali di vario livello.
Sott’acqua ci sono, oltre a buone praterie di Posidonia, anche biocenosi ricchissime, di cui alcune che rappresentano un unicum, come quelle che sono sulla sella dello Stretto, tra pinnacoli rocciosi ricoperti da concrezioni organiche, dove c’è una comunità di tantissime specie rare che risale all’ultimo periodo interglaciale Riss-Würm. Non tenerne conto rappresenterebbe un delitto. L’ambiente delle acque vede anche un ricchissimo plankton e la presenza di specie abissali portate in superficie dalle correnti di upwelling. Proprio le correnti, che possono raggiungere la velocità di cinque nodi in superficie e di oltre 12 sul fondo, sono un altro fattore importante da considerare. Così come occorre sempre tenere presente che ci si trova in una zona dalla geologia complessa, una delle più sismiche dell’intero Mediterraneo, attraversata da faglie attive dove le tensioni si accumulano.
“Lo Stretto di Messina rappresenta un insieme ecologico e ambientale tra i più ricchi, complessi e importanti dell’intero bacino del Mediterraneo”
Bene, dopo la redazione di un progetto definitivo per un ponte a campata unica ci fu una sonora bocciatura da parte del ministero dell’Ambiente nel 2013, proprio in relazione alla compatibilità ambientale, che poi risultò in una posta in liquidazione della società Stretto di Messina Spa, concessionaria del progetto. I fondi spesi per il progetto, gli studi e il mantenimento della società ammontarono a diverse centinaia di milioni di euro. Le storie da raccontare sarebbero tante, tutte poco edificanti.
Negli ultimi anni, l’idea è stata ripresa più volte e, infine, nel 2020 l’allora ministra Paola De Micheli istituì un Gruppo di lavoro ad hoc presso la Struttura tecnica di missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza dell’attuale ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili (Mims). La ministra, però, aveva dimenticato di far valutare anche l’opzione del mantenimento e miglioramento dell’attraversamento dinamico marittimo (cioè, quello attuale), lacuna colmata dal nuovo ministro Enrico Giovannini.
“Il 30 aprile 2021 è stato reso pubblico il rapporto del Gruppo di lavoro. Che delusione. Il Gruppo non aveva tra i suoi componenti nessun ecologo marino o terrestre”
Il 30 aprile 2021 è stato reso pubblico il rapporto del Gruppo di lavoro. Che amara delusione. Il Gruppo non aveva tra i suoi componenti nessun ecologo marino o terrestre, nessun oceanografo o biologo o naturalista e, anche durante le audizioni di specialisti e amministratori, non hanno mai consultato nessuno con quelle caratteristiche. E dire che la bocciatura del progetto precedente riguardava proprio l’incompatibilità ambientale.
Delle 158 pagine del report presentato a fine aprile, solo 26 mezze righe sono dedicate alla biodiversità ambientale marina, peraltro con riferimenti superficiali
Ovviamente il rapporto mostra pochissima sensibilità ai temi ecosistemici e ambientali in relazione ai vari progetti. Su 158 pagine solo 26 mezze righe sono dedicate alla biodiversità ambientale marina, peraltro con riferimenti superficiali quasi di tipo giornalistico. Il Gruppo, ad esempio, sembra più preoccupato degli effetti delle correnti marine sull’opera, più che di quelli dell’opera sulle correnti, elemento che non viene mai citato. A parte la carenza di attenzione ambientale, il rapporto è molto problematico anche sui dati e sui concetti. Si cita il miglioramento dei tempi di attraversamento ferroviario, ma poi si mettono tempi attuali che sono anche il doppio di quelli dell’orario ufficiale di Trenitalia. Si esamina la critica situazione occupazionale e socio-economica delle due Regioni e sembra che tutti i problemi derivino dalla mancanza di un collegamento stabile. Si fanno ipotesi di collegamenti autostradali e ferroviari per le diverse ipotesi, dimenticandosi che le due Regioni, in corrispondenza dello Stretto, rappresentano ognuna il terminale di due assi direzionali e non di uno. Peccato aver speso tanto tempo e risorse per ottenere un documento del genere.
Magari sarebbe il caso di migliorare in modo rilevante le infrastrutture viarie e ferroviarie esistenti nelle due Regioni, su tutte le direttrici, e riportare i sistemi di attraversamento dinamico marittimo (bel termine) a livelli funzionali. Si spenderebbe certamente molto meno e ne godrebbero tutti. E dimentichiamoci il ponte o il tunnel, per favore.
Antonio Di Natale è segretario generale della Fondazione Acquario di Genova Onlus. È membro del gruppo di esperti delle Nazioni Unite in tema di ambiente marino (WOA II e WOA III).
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