Opinioni
Polizia due pesi e due misure
In Italia la legge sulla tortura è una chimera, come il numero identificativo per le forze dell’ordine. Gli agenti potranno però usare i Taser e riprendere i manifestanti con micro- telecamere sulla divisa
Il Parlamento italiano è molto restio a occuparsi delle forze dell’ordine, specie quando si parla di novità e riforme sgradite ai vertici degli apparati e ai sindacati organizzati (gli uni e gli altri, peraltro, spesso allineati sulle medesime posizioni). Lo dimostra la sorte toccata ai progetti di legge sull’introduzione dei codici di riconoscimento per gli agenti in servizio di ordine pubblico, ormai blindati in qualche “cassetto della vergogna”, o la fine del provvedimento sul reato di tortura, tuttora in attesa di approvazione ma pressoché stravolto rispetto alla versione iniziale, per assecondare corpi di polizia incardinati a una visione assai arretrata della loro posizione all’interno di una società democratica.
La rinuncia e l’inerzia diventano però attivismo quando si tratta di favorire le tendenze già in atto, per quanto regressive esse siano. Ecco allora l’approvazione di due significative riforme, se vogliamo chiamare così provvedimenti che accentuano la chiusura dei corpi di sicurezza rispetto al resto della società: l’introduzione del Taser (nella foto a destra) fra gli strumenti in dotazione agli agenti e l’installazione di micro-telecamere sulle divise. Il Taser è ufficialmente un’arma non letale: una sorta di pistola che permette di colpire a distanza con una scarica elettrica in grado di immobilizzare la vittima. È usata dalle polizie di vari Paesi ma è anche al centro di forti contestazioni. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia, ha messo in campo qualche cifra: “Dal 2001, data di acquisizione dell’arma in Nord America, i morti ‘taserizzati’ sono stati 864; il 90% era disarmato”. Questi dati sulla pericolosità del Taser, specie se usato su soggetti sotto stress o che soffrono di disturbi cardiaci, sono stati del tutto ignorati dal dibattito parlamentare e anche dai sindacati di polizia, quasi tutti favorevoli allo strumento. E nemmeno si è colta l’occasione per imbastire una seria discussione sul funzionamento reale delle forze dell’ordine, sulla loro preparazione, sul deficit di trasparenza evidenziato negli ultimi anni. Forza Italia e Pd hanno votato a favore del Taser in commissione Affari costituzionali alla Camera dei deputati e ora il progetto di legge passa in aula.
L’altra “riforma” riguarda l’uso di microtelecamere sulle divise degli agenti, approvato anche dal Garante della privacy. È un provvedimento che dovrebbe servire a scoraggiare l’aggressività dei manifestanti e anche ad aiutare i magistrati chiamati ad indagare su eventuali reati commessi durante cortei, presidi, manifestazioni. Il fatto che si dica sì alle telecamere e no ai codici di riconoscimento -una misura di trasparenza e di garanzia adottata da numerosi Paesi- è lo specchio della difficile relazione esistente in Italia fra forze di polizia e cittadinanza, con il Parlamento incapace di svolgere un ruolo di indirizzo rispetto alle prime, che non hanno intanto minimamente fatto i conti con l’abissale perdita di credibilità democratica avuta con il G8 di Genova del 2001 e altri gravissimi episodi degli anni successivi. Rivela molto, sotto questo punto di vista, l’avversione manifestata dai sindacati di polizia per un altro progetto di legge, presentato da un gruppo di senatori del Pd e del Movimento 5 Stelle, primo firmatario Luigi Manconi, che vorrebbe introdurre procedure di formazione alle tecniche non violente di gestione dell’ordine pubblico. Ciò permetterebbe di affrontare gli evidenti limiti operativi mostrati dalle forze dell’ordine dal G8 di Genova in poi, come scrive Manconi nella presentazione del testo di legge, parlando di “troppi e frequenti episodi di abusi” imputabili non “a casi di singoli” ma alla “inadeguatezza della loro preparazione”. La reazione, anche stavolta, è stata negativa: sindacati e vertici degli apparati considerano simili proposte frutto di pregiudizio, nonché atti espliciti di sfiducia, quasi un’accusa di scarsa attitudine al rispetto delle regole. Un’obiezione che mostra quanto sia debole la cultura democratica nelle forze di polizia e ormai quasi spenta la disponibilità al dialogo con il resto della società, mentre la trasparenza dovrebbe costituire l’architrave delle relazioni fra corpi di polizia e cittadinanza. E tuttavia a scorrere le dichiarazioni dei vari leader sindacali, colpisce soprattutto un’altra obiezione rivolta a Manconi (vedi le dichiarazioni del Sappe, del Sap e altri) e cioè l’insistenza sui tagli effettuati alla spesa pubblica per il comparto sicurezza e in particolare ai fondi per la formazione. Che quindi, ammettono involontariamente i sindacati, si fa poco e probabilmente anche male. —