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Più affitto per tutti
Dati alla mano, per garantire un tetto a tutti serve rivedere il mercato delle locazioni (compresa la loro tassazione) e il recupero degli immobili abbandonati. Costruire nuovi edifici arricchisce solo gli speculatori edilizi Per sottolineare l’alto grado di benessere raggiunto,…
Dati alla mano, per garantire un tetto a tutti serve rivedere il mercato delle locazioni (compresa la loro tassazione) e il recupero degli immobili abbandonati. Costruire nuovi edifici arricchisce solo gli speculatori edilizi
Per sottolineare l’alto grado di benessere raggiunto, Silvio Berlusconi ama ripetere che l’80 per cento degli italiani vive in una casa di proprietà. Difficile dar torto al presidente del Consiglio: poche cose nella vita danno più serenità di un tetto che, comunque vadano le cose, rimarrà per sempre sulla nostra testa. Il problema è l’altro 20% di italiani, di cui si parla molto meno. Per una parte consistente del popolo degli affitti la casa è un problema serio: precari, famiglie a basso reddito, immigrati, studenti si scontrano con un mercato delle locazioni piccolo e asfittico, con costi irrigiditi verso l’alto, inaffrontabili in ampie fette delle grandi città e non solo. Negli ultimi dieci anni, stima il Sunia, il sindacato inquilini della Cgil, il costo del canone di locazione in Italia è aumentato in media del 130%. Non c’è altra scelta, dicono gli addetti ai lavori, bisogna mettere sul mercato nuovi alloggi in affitto, possibilmente a canone sociale. Per farlo, però, non è necessario cementificare di più. Gli alloggi ci sono, basta andarli a cercare. Quando ci affacciamo alla finestra continuiamo a vedere foreste di gru e ponteggi, ma sono davvero una piccola minoranza i cantieri in cui si lavora per garantire un alloggio a chi è escluso dalla festa. Cominciamo dai numeri. In Italia, calcola l’Agenzia del territorio, ci sono 31 milioni 375mila abitazioni per 59 milioni 128mila abitanti. Significa più di un alloggio ogni due persone. La metà, circa 15 milioni, è utilizzata come abitazione principale dal proprietario e dalla sua famiglia. In affitto ne vanno 5 milioni 230mila. Le case di proprietà concesse gratuitamente a un familiare fanno il grosso della categoria “altri utilizzi”, che ne comprende 7 milioni 942mila. Altri 4 milioni 944mila alloggi sono “a disposizione”: seconde case o appartamenti sfitti. Sapere quanti siano esattamente questi ultimi è difficile, perché esiste una quota di affitto in nero e di blocco momentaneo: liti familiari, eredità contese, figli in procinto di sposarsi, “buchi” nel passaggio da un affittuario all’altro. Gli esperti, comunque, sono concordi nel dire che la quota di sfitto che potrebbe essere rimesso sul mercato con gli opportuni incentivi è elevato.
“Nel 1971 solo il 50 per cento degli italiani viveva in una casa di proprietà, ma la situazione di oggi non è un progresso”, commenta Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia, associazione che raccoglie circa 10mila proprietari lombardi. “La casa di proprietà è tipica delle società agricole, non di quelle avanzate. La rigidità del mercato degli affitti blocca la mobilità: cerco il lavoro dove ho la casa, non il contrario, e il sistema economico perde competitività. Anche in una grande città come Milano la quota di case in affitto è bassa, il 25 per cento del totale. I canoni troppo cari spingono le persone fuori, così aumentano i problemi di traffico, di inquinamento e nascono squilibri nei bilanci degli enti locali: troppe persone usano le città dove non risiedono”. Per convincere i proprietari a mettere sul mercato gli immobili sfitti, continua Colombo Clerici, la strada è quella del fisco: “Oggi il reddito da affitto si accumula a quello da lavoro ed è quindi molto tassato. Proponiamo di equipararlo alla rendita finanziaria, ai Cct per intenderci, dove si paga la ‘cedolare secca’ del 12,5 per cento. Con l’obbligo di versare l’affitto in banca o in posta, con questi enti che diventano sostituti d’imposta, staniamo anche il nero”.
Proprio Assoedilizia ha realizzato uno studio secondo il quale in Italia ci sono oltre due milioni di alloggi inutilizzati in edifici diroccati o inagibili, soprattutto nelle campagne. Una recente inchiesta di Repubblica ha svelato che a Milano ci sono non soltanto 30mila appartementi sfitti, ma centinaia di edifici completamente abbandonati, per lo più ex fabbriche; un milione di metri quadrati di vecchi scali ferroviari da riconvertire; interi palazzi adibiti a uffici dove non entra a lavorare neppure un impiegato. Tutto questo patrimonio potrebbe essere recuperato senza cementificare ulteriormente una città già satura. “Si può dare una risposta senza necessariamente consumare il territorio, per esempio recuperando il degrado”, conferma Daniele Barbieri, segretario nazionale del Sunia.
“Il problema non è costruire nuovi alloggi in sé, visto che attualmente ce ne sono circa 300mila invenduti, soprattutto nelle cinture delle aree metropolitane, ma mettere sul mercato appartamenti in locazione a canoni sopportabili”. Anche il Sunia punta sugli incentivi, perché “si può anche pensare a un grande piano decennale, ma la domanda di affitti a prezzo basso è un problema di adesso, sul quale è necessario intervenire subito”. La proposta è sempre quella di agire sulla leva fiscale, anche verso i costruttori, “defiscalizzando i canoni di locazione per chi edifica alloggi ad affitto agevolato”.
Ad aggravare la situazione è arrivata la crisi economica, che sta portando a un aumento degli sfratti per morosità, circa il 20 per cento nel 2008 rispetto al 2007, sempre a danno delle categorie più deboli. Il Sunia stima che negli ultimi cinque anni sono state 100mila le famiglie che hanno perso la loro abitazione per questa ragione, ma saranno 150mila quelle che subiranno la stessa sorte da qui al 2011. Altre 750mila famiglie hanno il contratto in scadenza, dunque si vedranno aumentare notevolmente il canone, mentre 600mila sono in fila per ottenere un alloggio popolare. Si torna al problema che affligge quel 20 per cento di esclusi dalla corsa alla proprietà: “La pressione della domanda provoca un fenomeno incredibile”, continua Barbieri. “I prezzi di vendita degli immobili diminuiscono, i canoni di locazione no. E sono talmente alti che neppure una caduta del cinque per cento risolverebbe i problemi”.
Il discusso e travagliato “piano casa” lanciato a marzo non ha molto a che fare con questi problemi. Berlusconi lo ha pensato per rilanciare l’economia, non l’abitazione. La semplificazione delle procedure per aumentare i volumi delle case di proprietà, o per abbattere e ricostruire un po’ più grandi gli edifici fatiscenti, ha l’obiettivo di convincere le famiglie a mettere in circolo un po’ di soldi, con le imprese edili a far da cinghia di trasmissione. Più che un piano casa, un piano costruttori.
Il vero piano casa, disatteso
Ci sono 550 milioni di euro per la costruzione o la riqualificazione di 12mila alloggi popolari in tutta Italia ma, denuncia il Sunia, sono bloccati da più di un anno. I fondi, stanziati originariamente dal governo di centrosinistra nell’ottobre del 2007 e già ripartiti tra i diversi interventi, sono stati assorbiti nel Piano casa varato in parlamento il 21 agosto 2008, con il governo Berlusconi. Al piano sono stati aggiunti altri 568 milioni da destinare in parte a edilizia residenziale con affitti agevolati o a edilizia residenziale pubblica. A 16 mesi dal primo stanziamento scritto sulla carta, afferma il sindacato degli inquilini, neppure un cantiere è stato aperto per i 12mila alloggi popolari e gli altri fondi sono stati ridotti. Il piano casa, quello vero, non ha ancora visto la luce.
Intervista a Gabriele Rabaiotti, del Politecnico di Milano
Un occhio ai bisogni reali della città
Problema: se in Italia ci sono già abbastanza appartamenti, perché si continua indefessamente a costruire? Perché, se le statistiche ci dicono che il suolo è saturo e tanti alloggi sono vuoti, l’edilizia è sempre tra i settori che “tirano”? “Gli appartamenti nuovi non si riempiono ma si vendono”, spiega Gabriele Rabaiotti, ricercatore al dipartimento di Architettura e pianificazione del Politecnico di Milano. “La nuova produzione soddisfa soprattutto una domanda di investimento, non di abitazione. In un Paese così polarizzato tra quelli che hanno poco e quelli che hanno molto, questi ultimi vedono l’acquisto di una casa come un’alternativa sicura all’investimento finanziario. Il guadagno di un affitto andrebbe a confluire in un reddito già alto e tassato al 40%, così molti di quegli investimenti restano vuoti”. Un’altra componente della domanda è rappresentata da chi una casa già ce l’ha, ma vuole migliorare la sua condizione. “Lascio un bilocale in città e con il ricavato prendo un quadrilocale costruito dalle cooperative. Soltanto che così le cooperative si snaturano: godono di agevolazioni perché dovrebbero dare una casa alle fasce più deboli, invece si rivolgono a un mercato sempre più ‘alto’”. La fuga dalle situazioni abitative più scomode può aprire la strada al degrado di certi quartieri, come è accaduto intorno alla Stazione centrale di Milano o a San Salvario a Torino, diversi anni fa. L’appartamento lasciato diventa il posto da affittare a dieci migranti che non hanno altre possibilità.
Sono tante, e non tutte scontate, le categorie di cittadini tagliate fuori dal mercato della proprietà. Non solo i precari e i ceti impoveriti dalla caduta del potere d’acquisto, ma anche persone che si muovono da una città all’altra per lunghi periodi di formazione specialistica, per esempio i medici. O gli italiani che si spostano, in genere da Sud a Nord, per cercare lavoro, per studiare all’università. Tutte queste persone si scontrano contro il muro del 20%, la quota di alloggi destinata all’affitto in Italia. In Germania è il 57%, in Francia il 43, nel Regno Unito il 31. “L’Italia si colloca con i Paesi più arretrati”, afferma Rabaiotti, “cioè Grecia, Portogallo, Spagna”. Ci sono tanti interventi che funzionano più in fretta e meglio dell’apertura di nuovi cantieri. “In Spagna hanno riaperto il ministero della Casa, in Belgio danno gli incentivi fiscali per la ristrutturazione solo a chi poi dà l’appartamento in affitto”. Da noi si potrebbe fare leva sull’Ici, “che dovrebbe essere molto alta per chi tiene le case vuote e a zero per chi le affitta a canone calmierato”. Gli incentivi sono necessari perché, lasciato solo, il mercato tira da tutt’altra parte. A Milano il Comune ha messo a bando gratuitamente otto aree con l’obiettivo dichiarato di massimizzare la locazione. “Due lotti sono andati deserti, nelle altre sei hanno vinto progetti che non presentavano le percentuali più alte di locazione. Per un bando simile a Bologna, al primo invito non si è presentato nessuno”. I costruttori, dai grandi immobiliaristi alle cooperative bianche e rosse, preferiscono incassare tutto e subito, anche a costo di tenersi qualche appartamento vuoto per un po’, piuttosto che godere i frutti a lungo termine dell’affitto. “E qui entra in gioco il problema del credito e dell’assenza di grandi operatori immobiliari”. Qualche esperimento si fa. Nel 2003, a Torino, il Comune ha dato un assegno di 1.500 euro al proprietario di casa per ogni contratto di affitto a canone concordato sottoscritto. “Può fare impressione, ma è anche il segno del punto cui siamo arrivati”. Un banco di prova per cambiare strada potrebbe essere l’Expo 2015 di Milano. “Per le Olimpiadi di Torino si è pensato di costruire i villaggi per i giornalisti vicino all’università, così ora ci vivono gli studenti”, conclude Rabaiotti. “Perché non approfittare di queste occasioni per progettare gli interventi in funzione dei bisogni reali e attuali della città?”.