Interni / Reportage
Piazza della Loggia è piena di fiori. Cinquant’anni fa la strage fascista di Brescia
Il 28 maggio 1974 una bomba nel cuore della città uccise otto persone e ne ferì 102. Le testimonianze di chi era presente ripercorrono i fatti di quello che non fu un grave atto terroristico locale quanto un tentativo dell’estrema destra di destabilizzare un intero Paese. Ma la comunità resistette, senza dimenticare e senza stancarsi di pretendere verità e giustizia
In Piazza della Loggia, tra le lastre del pavimento e la torre dell’Orologio Astronomico, poco più in alto dell’altezza di uno sguardo, c’è una targa che invita i cittadini bresciani a una manifestazione antifascista. Il 28 maggio 1974 il Comitato permanente antifascista aveva organizzato per le dieci l’assembramento in piazza in concomitanza con lo sciopero generale indetto dai sindacati. Quel giorno, due minuti dopo l’inizio del discorso dell’onorevole Franco Castrezzati, alle 10:12 scoppia una bomba che uccide otto persone e ne ferisce 102. La colonna bianca che regge la targa e la stele in marmo rosso alla sua destra ricordano la strage di stampo neofascista.
“Quell’anno lì, ma anche l’anno prima, capitava che in Camera del lavoro, in Cgil, arrivassero delle telefonate minacciando che c’erano delle bombe; io avevo 19 anni, lavoravo come segretaria e rispondevo alle chiamate: a volte chiamavo la polizia, a volte li mandavo a quel paese, come facevamo a sapere se erano scherzi o meno?”, racconta Luisa Longhi, presente in Piazza della Loggia quel 28 maggio 1974. “Si parlava già di strategia della tensione e anche di colpo di Stato, visto che in Cile era successo l’anno prima, c’era stata la strage di Piazza Fontana, poi il fatto di Silvio Ferrari. Insomma c’era un clima di paura ma anche molto vivace e per dare un segnale forte è stata organizzata la manifestazione del 28 maggio”.
Silvio Ferrari era un giovane appartenente a Ordine Nuovo, movimento politico e organizzazione terroristica di estrema destra extraparlamentare nato nel dicembre 1969 e sciolto ufficialmente nel 1973 (ma che ha continuato a operare nella clandestinità fino al 1977). Ferrari è saltato in aria il 19 maggio 1974 in via IV Novembre a Brescia mentre con la sua Vespa trasportava un ordigno esplosivo. Con la sua morte fu evidente per l’opinione pubblica che in città esistevano movimenti di estrema destra.
“Come tanti altri cittadini ho ritenuto di aderire a quella manifestazione”, riflette Pietro Garbarino, avvocato e autore del libro “Piazza della Loggia. Cinquant’anni dopo”, edito da Red Star Press nell’aprile di quest’anno. “Io allora ero attivo nella Cgil scuola, avevo 25 anni. La manifestazione era gestita dai sindacati e aveva lo scopo di denunciare all’opinione pubblica che da alcuni mesi a Brescia si stavano ripetendo provocazioni, attentati, a volte anche episodi di violenza personale e sfondamenti di picchetti operai per mano di gente di estrema destra. Bisognava reagire e la manifestazione è stata appunto la reazione a tutto questo”.
La strage di Piazza della Loggia si inserisce in un contesto politico più ampio e non può essere relegata a un atto terroristico locale. Il 12 e 13 maggio 1974 aveva avuto luogo in Italia il referendum per l’abrogazione della legge che nel 1970 aveva istituito il divorzio, e tra i promotori c’erano le correnti politiche più a destra, compresa la Democrazia cristiana e la Chiesa. Aveva vinto il “no”, con un ruolo trainante dei partiti di sinistra. Due anni prima, alle elezioni politiche, aveva vinto la Democrazia cristiana, segnalando la preferenza dei cittadini per partiti più moderati e centristi. Nel 1973 veniva sciolto per decreto Ordine Nuovo. Gli attentati si inseriscono allora in una volontà di frenare “l’avanzata comunista” da parte dell’estrema destra, per destabilizzare il Paese, promuovere leggi speciali, provvedimenti repressivi da parte delle forze dell’ordine e avere un esecutivo più forte. La storia delle stragi degli anni Settanta, tra cui quella di Piazza della Loggia, è legata da un filo rosso che, come accertato da sentenze passate in giudicato, coinvolge giovani neofascisti più o meno conosciuti (la manodopera per gli attentati), i gruppi di estrema destra (da Ordine Nuovo al Movimento sociale italiano – Destra nazionale), le istituzioni italiane (i carabinieri, i servizi segreti) e quelle straniere (la Nato).
“Quando è iniziato il comizio in Piazza Loggia, dopo pochi minuti, abbiamo sentito un botto fortissimo, e abbiamo pensato a una esercitazione, visto che a Ghedi c’è l’aeroporto militare”, ricorda Michelangelo Ventura, ventenne all’epoca della strage. “Invece abbiamo visto una nuvola di fumo, la gente che sbandava”. Il ricordo di quei momenti è vivido nelle persone che quel giorno erano presenti, così come la commozione nel raccontarli. “Dopo lo scoppio urlavo, continuavo a urlare insulti contro i fascisti, sapevamo che c’era dietro Ordine Nuovo”, dice Longhi.
Garbarino quel giorno era a braccetto con due suoi compagni che hanno perso la vita: “Stavo con Luigi Pinto e Giulietta Banzi Bazoli, che erano oltre che compagni in Cgil Scuola anche amici. Li avevo lasciati un momento perché avevo intravisto una persona con la quale mi interessava parlare. Quando c’è stata l’esplosione ero a una decina di metri, me la sono vista in faccia. Una scheggia del cestino mi ha colpito l’addome, mi hanno protetto i corpi delle vittime”.
Le vittime dell’attentato terroristico sono otto: i già citati Luigi Pinto e Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda. I loro funerali si sono svolti il 31 maggio 1974, proprio in Piazza della Loggia, alla presenza di 600mila persone. “Ero nel servizio d’ordine -ricorda Longhi-. Quando è passato Giovanni Leone, allora presidente della Repubblica, ci siamo messi a fischiare contro i politici perché li ritenevamo responsabili”. “I politici sono stati accolti male, anzi malissimo, con insulti chiaramente verso la dirigenza democristiana di destra”, aggiunge Ventura.
Cinquant’anni dopo la strage si conoscono i promotori e gli organizzatori dell’attentato. Lo spiega bene Garbarino nel suo libro: “La costanza indagatoria della Procura di Brescia portò alla sbarra alcuni componenti delle cellule venete di Ordine Nuovo come ideatori e organizzatori dell’attentato di Piazza della Loggia, nonché l’ormai divenuto generale dei carabinieri Francesco Delfino, insieme a colui che risultò da sempre il capo carismatico e massimo ideologo di Ordine Nuovo: Giuseppe Umberto Rauti, detto Pino”.
La sera del 20 giugno 2017 la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati -Carlo Maria Maggi, coordinatore di Ordine Nuovo per il triveneto e Maurizio Tramonte, componente della cellula eversiva e collaboratore del Sid a Padova- condannati all’ergastolo per la strage di Piazza della Loggia da una sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano del 22 luglio 2015.
Restano da individuare gli esecutori materiali della strage: il nuovo procedimento è iniziato nel 2023 con imputati Roberto Zorzi e Marco Toffaloni (diciassettenne nel 1974), accusati di essere gli esecutori materiali della strage (per una descrizione più dettagliata dell’iter giudiziario si veda qui).
Piazza della Loggia va riempiendosi di fiori e corone mano a mano che si avvicina il giorno della ricorrenza della strage. “Bisogna dire grazie”, sottolinea Garbarino. “Intanto a una città che sin da subito ha reagito e ha reagito nel modo giusto, civile e composto, ma anche molto fermo e veramente antifascista. E poi ovviamente dobbiamo dire grazie all’apporto e alla spinta della Casa della Memoria e alla costanza dei pubblici ministeri. Insomma, questa città ha dimostrato fermezza e volontà di non dimenticare e di volere trovare le responsabilità, e questo è un fatto quasi unico, non solo in Italia, ma forse quasi in tutto il mondo”.
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