Ambiente / Attualità
Pesticidi: l’Unione europea è in ritardo sulle alternative e manca un monitoraggio adeguato
La Corte dei Conti europea ha dedicato una relazione sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. I risultati non sono tranquillizzanti: diversi Paesi europei hanno recepito in ritardo le disposizioni in materia mentre gli agricoltori sono ancora poco incentivati ad adottare metodi alternativi. Non solo: la Commissione europea non sarebbe in grado di monitorare con precisione effetti e rischi. Intanto Corporate Europe Observatory denuncia l’attività di lobby sui residui pericolosi presenti negli alimenti importati
Sono pochi i passi avanti nella misurazione e nella riduzione dei rischi associati all’utilizzo dei pesticidi. Il rilievo della Corte dei conti europea, contenuto nella relazione speciale n. 5/2020 sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, non tranquillizza. I revisori di Lussemburgo hanno infatti evidenziato come diversi Stati membri non abbiano recepito tempestivamente -e, in alcuni casi, neppure totalmente- l’insieme delle disposizioni della direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi adottate nel 2009, complice anche un inadeguato monitoraggio da parte della Commissione europea che pure dal 2016 aveva aumentato gli interventi per farla rispettare.
Fra i punti indicati dalla legge, e non da tutti recepito, c’è l’obbligo delle “difesa integrata” che prevede il ricorso, prima di passare ai pesticidi, a metodi alternativi, naturali e non chimici, “che perturbino il meno possibile gli ecosistemi agricoli e che promuovano i meccanismi naturali di controllo fitosanitario”. Si tratta di un insieme di pratiche agricole sostenibili, come la scelta delle sementi che resistono agli organismi pericolosi o la rotazione delle colture. Inoltre, la Corte Ue ha sottolineato come uno dei motivi che ha impedito la possibilità di rendere esecutivo l’obbligo di “difesa integrata” sia stata l’assenza di criteri chiari nella sua applicazione nonché la mancanza di una modalità di verifica precisa da parte delle autorità. A scoraggiare gli agricoltori nell’utilizzare metodi alternativi ai pesticidi ci sarebbe pure il fatto che, fra le condizioni per ottenere i pagamenti PAC (Politica Agricola Comune), l’applicazione dei princìpi di difesa integrata non figurerebbe neppure. La raccomandazione della Corte dei conti europei è dunque quella di inserirla come condizione che gli agricoltori sono tenuti a rispettare se vogliono assicurarsi gli aiuti diretti previsti dalla PAC.
Inoltre, sempre secondo la relazione, il numero dei “prodotti fitosanitari a basso rischio” a disposizione sarebbe insufficiente: si tratta di appena 16 sostanze su 487 attive approvate, tutte quelle cioè che possono essere usate nei pesticidi. Delle sostanze attive approvate, la Commissione ne avrebbe peraltro individuate 57 come “potenzialmente” a basso rischio alle quali ha dato “priorità per il rinnovo rispetto ad altre sostanze attive”. Comunque una minoranza. Se questi sono i dati, si comprende bene quanto ancora i fitofarmaci siano ospiti indesiderati nelle nostre campagne. La statistica è del resto una buona alleata per ponderare attentamente i rischi connessi ai pesticidi: è per questo che la Corte dei Conti ha invitato la Commissione europea a migliorare quelle sui prodotti fitosanitari in occasione della revisione della normativa “per renderle più accessibili, utili e comparabili”, visto che si è trovata nell’incapacità di mettere a punto indicatori comuni sui rischi e sulla influenza delle sostanze nell’ambiente.
Le statistiche sui pesticidi dell’Ue di pubblico dominio -si legge nel rapporto- riguardano le sostanze attive aggregate in macrogruppi come insetticidi, erbicidi, fungicidi presenti nei pesticidi venduti. “Ciò significa che la Commissione non può pubblicare informazioni sulle singole sostanze attive e sulla percentuale di sostanze approvate come ‘a basso rischio’”. La Corte dei Conti è critica sulle statistiche relative alle sostanze attive pubblicate dalla Commissione (Eurostat). L’appunto è diretto soprattutto alla impossibilità di comparare i dati forniti da ciascuno Stato membro dal momento che la scelta discrezionale delle colture e dei periodi di riferimento non rende omogenei i dati stessi. Bocciata anche l’inefficacia degli indicatori di rischio (che dipendono da diversi fattori come: composizione e dosaggi delle sostanze attive, luogo etc.) a livello Ue: la necessità segnalata nel rapporto risulta infatti quella di armonizzare gli indicatori stessi per rendere anche in questo caso possibile i confronti fra Stati membri.
L’invito è stato accolto dalla Commissione, che ha però ribadito anche la necessità di disporre di dati pertinenti differenti dalle statistiche, grazie a monitoraggi più accurati o studi di ricerca. Di fatto la Commissione, come rilevato dalla Corte, non dispone attualmente di “una solida base di dati concreti per stabilire se la direttiva abbia conseguito l’obiettivo dell’Ue di rendere sostenibile l’uso dei pesticidi”. In più, i pericoli nell’uso dei pesticidi arrivano non soltanto dalle inefficienze di sistema di casa nostra ma anche dai prodotti importati: secondo il nuovo rapporto di Corporate Europe Observatory “Residui tossici attraverso la porta di servizio” viene svelato per esempio come l’Ue abbia mantenuto una posizione meno ferma di quanto ci si potesse aspettare rispetto ai residui pericolosi presenti negli alimenti importati, pressata dalle più importanti potenze commerciali e dalle stesse società che producono i pesticidi. La triste conseguenza di tutto questo è che nel Vecchio continente rischiano di arrivare da oltreconfine alimenti che contengono quelle stesse sostanze chimiche dannose che erano state bandite nei pesticidi secondo la legge Ue del 2009. Gli standard di sicurezza alimentare dell’Ue possono essere compromessi sotto i colpi di massicce campagne di lobby aziendali. A fine marzo si attende la pubblicazione della valutazione REFIT (cioè il programma della Commissione di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione europea) sulle norme relative ai pesticidi e ai residui massimi, nel periodo 2017-2019. Da lì sarà possibile capire la maggiore o minore forza nell’approccio Ue a temi delicati e decisivi per la salute pubblica e l’ambiente, presente e futura.
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