Ambiente / Opinioni
Perché non conviene “sacrificare” un parco
A gennaio a Milano è stato cancellato un bosco urbano da 6mila metri quadrati. Un danno che, dati alla mano, è dura “compensare”. La rubrica del prof. Paolo Pileri
L’occasione questo mese ce la dà il taglio di un parco urbano di 6mila metri quadrati per costruire un nuovo dipartimento nel campus Città Studi del Politecnico. Un consumo di suolo per me molto doloroso perché avvenuto dentro il mio ateneo del quale stimo il ruolo guida per il futuro dei cittadini e del Paese. Doloroso anche per centinaia di colleghi, studenti e cittadini. Ci sono state mail, articoli, discussioni, petizioni, assemblee, presìdi, cortei fin sotto le finestre del sindaco per cercare di rivedere la decisione, pur formalmente legittima, presa alcuni anni fa. Ma nulla da fare. All’alba del 2 gennaio 2019, protette da un inaspettato cordone di polizia locale, polizia di Stato e carabinieri, le motoseghe sono entrate in azione: 37 grandi alberi sono caduti. Il cantiere ora può iniziare.
6mila metri quadrati: l’estensione di un parco di Milano dove gli alberi sono stati abbattuti per costruire un nuovo dipartimento del campus Città Studi del Politecnico
In tutto questo trambusto, il Politecnico si è offerto di compensare il danno. Ed è su questo che voglio soffermarmi. La compensazione è la soluzione al consumo di suolo? Se sì, come si calcola? Quanto vale un parco? Basta contare gli alberi e ripiantarli da qualche parte? Bisogna conteggiare anche il valore secondo gli abitanti? E se la città è in emergenza climatica come Milano? Chiariamo: la compensazione non è la soluzione, ma solo un rimedio imperfetto da attivare dopo che sono state tentate tutte le vie per evitare il consumo, per ridurlo e mitigarlo (Ispra, 2018). Altrimenti perde di senso: dal dissuadere il consumatore si finisce per offrirgli una strada facile, pagando. In Italia questo concetto non vuole entrare in testa. Comunque, quando si arriva a dover compensare va calcolato il danno per decidere che fare. Taglio due alberi e ne pianto tre? Trenta? Trecento?
Per evitare di essere additato come ideologo green e signor ‘no’, non ho preso uno studio fatto da ecologi, ma da autorevoli economisti olandesi (Bockarjova, 2018) basato su centinaia di casi al mondo e interviste a 41mila persone. Così hanno scoperto che il valore di un parco dipende dai suoi servizi ecosistemici ma anche, e molto, dal ruolo culturale e ricreazionale, dal PIL dei cittadini, dalle tasse e dalla densità abitativa. Un solo ettaro di un medio parco europeo arriva a valere 250-500mila dollari per anno. Badate: per anno! Significa che se si elimina un suolo o un parco si interrompe la produzione di quei valori per un tot di anni, almeno fino a quando non saranno tornate allo stesso livello le compensazioni realizzate. Ci vogliono milioni di euro, quindi, per compensare: altro che ripiantare le piante e aspettare che crescano. È come per un prestito: per compensare chi ha deciso di prestare dei soldi, li si devono restituire con interessi, visto che non li ha potuti usare per sé. Se poi si è già debitori, si è meno credibili e più alti sono gli interessi da pagare. Così se una città è in crisi climatica, tagliare anche un piccolo parco è di gran lunga più grave di quel che pensano i suoi decisori politici. E neppure si può dire che consumare suolo si può se è una scuola o un asilo a farlo perché significa prendere fischi per fiaschi: sono entrambi servizi pubblici irrinunciabili e non ha senso metterli in competizione.
Oggi la responsabilità del pensiero ecologico applicato alla politica in fondo sta esattamente qua: considerare l’ambiente non sacrificabile e smettere di arrampicarsi sugli specchi di ogni compromesso che passa. La cultura della responsabilità, ricordava il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a fine anno, è il più forte presidio di difesa dei principi su cui si fonda la Repubblica. E la tutela ambientale è tra quelli.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)
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