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Perché in parlamento – Ae 74

Da Mani Tese e Banca Etica ai banchi della Camera, dall’impegno civile all’impegno politico diretto: le motivazioni, i rischi e le speranze. Intervista a Sabina Siniscalchi Otto minuti, la prima volta in aula, ed è “come per gli esami all’università:…

Tratto da Altreconomia 74 — Luglio/Agosto 2006

Da Mani Tese e Banca Etica ai banchi della Camera, dall’impegno civile all’impegno politico diretto: le motivazioni, i rischi e le speranze. Intervista a Sabina Siniscalchi


Otto minuti, la prima volta in aula, ed è “come per gli esami all’università: quando sei lì ti ricordi tutto e hai la lucidità necessaria”.

Sabina Siniscalchi, neoletta per Rifondazione comunista, non ha dovuto aspettare neanche un giorno per l’esordio alla Camera.

A lei è toccato, al momento del voto di fiducia, l’intervento in aula a nome del suo gruppo parlamentare sulla politica estera del governo.

Sabina è stata per 13 anni, fino al 2003, segretario nazionale di Mani Tese e in questa veste ha collaborato con alcune delle campagne civili più significative di questi anni: la mobilitazione per la messa al bando delle mine antiuomo (che nel 1997 ha vinto il premio Nobel per la pace), quella per la cancellazione del debito estero dei Paesi poveri, la campagna “Acquisti trasparenti” per la responsabilità delle imprese, quella contro il lavoro minorile. Ma, soprattutto, con Mani Tese si è fatta le ossa nei progetti di cooperazione Nord/Sud e nell’abitudine a pensare i temi della giustizia e della solidarietà internazionale in termini “politici”: il ruolo delle grandi istituzioni internazionali, dall’Onu alla Banca mondiale, il peso delle organizzazioni non governative, le scelte di politica economica. Sì, bisogna riconoscerlo: non è strano che, come dice lei, “alla sua età (54 anni), con la sua esperienza”, ora sieda in Parlamento e abbia scelto la Commissione Esteri della Camera per il lavoro più “quotidiano”. Ma per il mondo nel quale per tanti anni si è spesa -la cooperazione internazionale, la Rete Lilliput, l’associazionismo, insomma quella che chiamiamo “società civile” (fino alle elezioni è stata direttore della Fondazione Banca Etica, ora è in aspettativa)- questo passaggio non è indolore, qualche volta addirittura viene guardato come un tradimento.



Critiche?

“No, anzi, ho ricevuto molto sostegno”.



Ma perché candidarti?

“Per continuare a fare quello che ho sempre fatto nella mia vita: contribuire a costruire rapporti di maggiore giustizia, prevenire i conflitti, garantire una presenza e un ruolo dei Paesi del Sud del mondo. La politica, la gestione della cosa pubblica è stato un tema sotteso a tutte le mie scelte. Ho accettato di candidarmi proprio perché il programma di politica estera dell’Unione è un buon programma e perché, pur guardando con un po’ di diffidenza alle istituzioni -nonostante le pressioni e gli sforzi profusi per influenzarne le decisioni in questi anni i risultati sono stati minimi-, ho sempre pensato che il ruolo delle istituzioni fosse fondamentale proprio per gli obiettivi che abbiamo perseguito. Non possiamo farne a meno”.



Ti occuperai molto di politica estera e di qui passa una delle possibili “fratture di faglia” di questa maggioranza: Iraq, Afghanistan, Iran… Come vedi la situazione?

“15 giorni dopo l’inizio dei lavori parlamentari ho partecipato a una riunione della Tavola della pace a Riccione e ho esordito leggendo brani del programma: in interi passaggi si può dire che sono state recepite le istanze e addirittura ripreso il linguaggio della società civile. L’Iraq è una questione che si va a chiudere, diverso invece il discorso per il rifinanziamento della missione in Afghanistan e delle altre missioni. In particolare l’Afghanistan, non so se per scelta o per dimenticanza, non c’è nel programma elettorale dell’Unione e quindi ora abbiamo la difficoltà di trovare una posizione comune senza avere un testo

di riferimento condiviso. Come Commissione esteri abbiamo già chiesto al governo la possibilità di votare separatamente il rifinanziamento delle singole missioni: ognuna ha bisogno di una valutazione ad hoc. Come si fa a mettere insieme il Kossovo e la Somalia? Come si fa a decidere in una materia così delicata se non c’è la possibilità di approfondire, di darsi obiettivi diversi per le diverse realtà? Sono convinta che gran parte dei parlamentari che in aula dovranno votare il ‘pacchetto’ non sanno neppure tutti i Paesi nei quali il nostro esercito è coinvolto. Ma il vero problema è che siamo immersi in una vera e propria retorica a favore dell’esercito, per cui ogni dichiarazione, ogni espressione che non sia a favore delle forze militari non ha diritto di cittadinanza: la realtà militare è intoccabile, indiscutibile. Il caso Menapace (le sue dichiarazioni sulle ‘Frecce tricolori’ che sono state il pretesto per negarle la presidenza della Commissione Difesa, ndr) insegna. C’è poi un altro terreno importante su cui le visioni nella maggioranza sono diverse, le scelte di politica economica: c’è ancora chi sostiene la politica dei due tempi (prima il risanamento poi la redistribuzione) e chi, come Rifondazione dice che i due tempi devono andare almeno insieme. Si tenga presente che il programma dell’Unione smentisce la politica dei due tempi”.



Nel programma di governo c’è la riforma della legge sulla cooperazione?

“Sì, e penso e spero di potermici impegnare. Ma bisogna riconoscere che non è la cosa più urgente e che l’iter sarà lungo. Sarebbe importante invece, già dalla prossima Finanziaria, riuscire a dare un segnale di inversione di tendenza, e aumentare i fondi per la cooperazione che in questi anni sono scesi al lumicino”.



Perché hai scelto di presentarti con Rifondazione comunista?

“L’associazione culturale Punto Rosso di Milano ha proposto a me e ad altri di rappresentarla a Roma. Rifondazione, con il processo ‘verso la sinistra europea’, sta costruendo una realtà politica nuova e si è aperta ai movimenti. In questa legislatura ci sono una quindicina di persone esterne che vengono da questi mondi ed è vero che a loro Rifondazione riconosce soggettività concreta e importanza. Per esempio: nessuno mi ha chiesto di leggere prima il mio intervento, a nome del gruppo, sulla politica estera del governo. Mi sembra che ci sia davvero un grande rispetto e uno spazio di libertà”.



Perché ti sei presentata nel Friuli-Venezia-Giulia che non è il territorio dove vivi e dove sei più conosciuta?


“Qui ha deciso il partito, volendo assicurare ‘collegi certi’ ai candidati dei movimenti”.



Questa designazione dell’alto non inficia il rapporto con il territorio e con la gente che vi ha eletti?

“Ero infatti preoccupata : prima della campagna elettorale mi sono chiesta come mi avrebbero accolto, visto che io sono estranea al partito e, appunto, anche alla regione. Invece sono stata circondata da grande attenzione e calore. Abbiamo fatto campagna elettorale con Lidia Menapace, tra l’altro un’esperienza fondamentale sia dal punto di vista personale sia politico, ed ora quella gente considera Lidia e me come i loro deputati: ci chiamano e siamo già tornati più volte, l’ultima per il Cpt di Gradisca”.



Quanto hai speso per la campagna elettorale?

“Solo i viaggi e gli alberghi e per un volantino. Ma si tenga conto che stavolta non c’erano le preferenze”.



Il mondo da cui vieni ha spesso messo sotto accusa gli stipendi dei parlamentari. Ora che ci sei dentro che cosa ne pensi?

“Sto ancora facendo i conti. I parlamentari di Rifondazione lasciano al partito il 55 per cento di tutti gli emolumenti, stipendi e contributi vari. Se dai 14 mila euro netti si tolgono le spese per la casa a Roma e per i collaboratori, restano circa 3500 euro netti. Che forse sono il corrispettivo dello stipendio di un direttore di una media filiale di banca”.



Come pensi di organizzare il tuo lavoro?

“Ogni parlamentare ha un ufficio, se sarà necessario io ho dato la disponibilità a condividerlo, poi il gruppo parlamentare avrà a disposizione, insieme, una quindicina di persone tra esperti e ricercatori, sono in corso le selezioni.

Io conto di avvalermi  anche di un ricercatore ‘personale’, e se lo stipendio me lo consentirà, anche di un secondo collaboratore”.



Com’è il rapporto con l’opposizione?

“Il clima è pesantissimo. I rapporti con l’opposizione sono duri anche dal punto di vista fisico: in aula ci sono insulti continui, interruzioni, cori da stadio”.



Cinque anni o di più?

“No, credo cinque anni, anche perché il dispendio di energie è enorme”.



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